Di nuovo Amazon: dal G20 alle periferie dell’impero e ritorno

Dall’uscita della nostra ultima inchiesta incentrata sul magazzino di Castelguglielmo (Ro), Amazon non ha smesso di far parlare di sé, dalla sconfitta del sindacato in Alabama alle gite di Jeff Bezos nello spazio. Intanto continuano gli annunci di aperture di nuovi magazzini Amazon. Solo nel Nord Est i nuovi arrivi sono Udine, Trento, Vicenza, Treviso, Roncade (Tv), Casale sul Sile (Tv), Riese Pio X (Tv), Marghera (Ve) e Dese (Ve). Sarebbe un consumo di suolo di diverse centinaia di migliaia di metri quadri. In molte di queste zone, il consumo di suolo è ben oltre la media nazionale e la qualità dell’aria la peggiore in Europa. Un nuovo centro di distribuzione Amazon sta aprendo anche a Novara, la stessa città in cui FedEx ha deciso di delocalizzare il proprio magazzino di Piacenza e in cui è stato assassinato durante un picchetto il sindacalista del Si Cobas Adil Belakhdim. Si sa d’altronde che la pandemia ha fatto male a molti ma non al colosso di Seattle.

Amazon è stata inoltre al centro del dibattito sulle proposte di riforma fiscale a livello internazionale, tema di discussione al G7 appena tenutosi in Cornovaglia e all’ordine del giorno per il venturo G20 della Finanza a Venezia. Nel 2020, Amazon ha realizzato 44 miliardi di euro di proventi in Europa, 12 miliardi in più rispetto al 2019. Tuttavia, la sua sede legale per l’Europa è in Lussemburgo, dove Amazon ha dichiarato 1,2 miliardi di perdite. Risultato: la società dell’uomo più ricco del mondo ha pagato nella sua sede europea zero euro di tasse, ottenendo pure un credito d’imposta. Le riforme fiscali discusse durante i vertici internazionali dovrebbero chiudere le scandalose scappatoie di cui godono le grandi multinazionali, ma sembra che ancora una volta Amazon la farà franca.

Per approfondire ulteriormente il funzionamento del processo lavorativo Amazon, ci siamo spostati sul magazzino di Fiume Veneto (Pn), intervistando alcuni ex lavoratrici e lavoratori. La seguente ricostruzione è basata su testimonianze orali e potrà quindi contenere alcune imprecisioni, ma le informazioni chiave sono state verificate più volte.

Il magazzino di Fiume Veneto è stato aperto nell’autunno del 2019 e, a differenza del centro di distribuzione di Castelguglielmo, è un piccolo deposito di smistamento da 4.500 mq. Il numero di lavoratori cambia a seconda del periodo in base ai volumi di merci da smistare, ma siamo oltre il centinaio. Anche se tutte le età sono presenti, si tratta di una forza lavoro perlopiù giovane, con una composizione mista tra italiani e stranieri che si spostano da varie zone del Friuli e del Veneto orientale. La presenza femminile è sopra la media del settore.

Le merci arrivano nottetempo alla “station” (magazzino) già previamente impacchettate e con indirizzo di destinazione finale, dentro grandi casse chiamate “gaylord”. I “water spider” scaricano i gaylord dal “truck” (tir) e comincia la “sortation” (smistamento) dei pacchi. L’“unloader” (scaricatore) apre i gaylord e mette i pacchi sul “finger” (rullo). Poco più avanti, un lavoratore scansiona con l’“avery” (lettore di codici a barre) i pacchi e vi aggiunge un’etichetta indicante la “sort zone” (area del magazzino) dove dev’essere stoccato il pacco. I “diverter” smistano i pacchi da un rullo all’altro, finché i “picker” (ognuno davanti al proprio corridoio) li raccolgono dal rullo e li passano agli “stower”, che li inseriscono nelle “bag” (borse) appropriate. Quando il pacco viene letto dal “finger scanner” (lettore di codici a barre che si tiene sul dito), una luce indica automaticamente la borsa corretta in cui va inserito. A fine sortation si fanno le rotte, che indicano su quali furgoni e tir dovranno andare le borse. Queste ultime vengono caricate su carrelli e portate ai “driver” (autisti), che procedono alla consegna. Se ci fossero dubbi, almeno per ora i mezzi vanno tutti a diesel e benzina.

Si sarà notato come i magazzini Amazon siano caratterizzati da un uso alquanto gratuito di vocaboli in inglese. Ma la parola più importante è forse “device”. Il device è un computer palmare, simile a un telefono cellulare, in cui il lavoratore deve registrarsi a inizio turno per poi tenerlo al polso durante tutto l’orario lavorativo. Non è possibile usare l’avery o il finger scanner senza essere “loggati” nel device, e i pacchi devono essere scansionati a ogni passaggio. Il device assegna le “task” (compiti) al lavoratore e registra automaticamente la sua posizione e le operazioni che compie. Quando un lavoratore ha bisogno di prendere una pausa informale, per esempio per andare in bagno, deve “uscire” dalla task in modo da segnalare l’interruzione del lavoro. Si tratta del famoso “time off task”, che viene automaticamente registrato dal device al pari della velocità del lavoratore. Se il lavoratore abbandona il lavoro senza dichiararlo al device o compie errori di altro tipo, il device glielo notifica automaticamente.

Il device potrà sembrare distopico ai maliziosi, ma costoro penseranno anche peggio se si aggiunge che la maggior parte dei magazzinieri (come anche a Castelguglielmo) lavora con contratti interinali Mog (monte ore garantito) da tre mesi. Questo avviene in deroga al contratto nazionale della logistica, perché pare che Amazon – oltre ogni senso del paradosso – sia riuscita a farsi considerare come una start up. Affinché ciò abbia una parvenza di legalità è necessaria una firma da parte sindacale, ma non è dato sapere chi e come abbia firmato o con quale altro meccanismo il contratto nazionale sia stato aggirato. Adecco ha un ufficio nel magazzino e un suo responsabile è presente tutti i giorni (questa è stata in due occasioni la risposta alla domanda: “C’è il sindacato?”). Ad ogni modo, è chiaro che i dirigenti possono agevolmente comparare le prestazioni dei lavoratori dallo schermo dei propri computer, usando anche questo criterio per decidere a chi assegnare più turni, a chi rinnovare il contratto e a chi offrire l’indeterminato. Il lavoratore è quindi libero di andare in bagno quando vuole, ma se non vuole restare a casa è meglio che ci pensi sempre due volte.

Sarebbe però sbagliato pensare che un lavoro tanto precario, monotono e sorvegliato sia per questo odiato da tutti i lavoratori. Il numero di ex lavoratori intervistati è lungi dall’avere valenza statistica, ma abbiamo ascoltato giudizi che vanno dalla “schiavitù” al “molto bene”. I salari sono quelli determinati dal contratto nazionale della logistica. Sui lati positivi, è stato detto che i supervisori sono più educati e disponibili alla comunicazione rispetto ad altri posti di lavoro, avendo ricevuto corsi in “people management”. Questo è in controtendenza rispetto a inchieste su Amazon in altri paesi, dove è descritto uno stile di management duro che mette la rapidità prima di tutto. La ragione di questa differenza potrebbe stare nel fatto che, essendo l’espansione di Amazon in Italia ancora agli inizi, la società potrebbe stare investendo più sforzi nel salvaguardare la propria immagine e creare uno spirito di squadra nella forza lavoro. Ad ogni modo, in un processo lavorativo in cui la funzione di gestione e controllo è in gran parte automatizzata, digitalizzata e incorporata nella macchina, i supervisori umani possono pure permettersi la cordialità, lasciando a quel Grande Fratello che è il capitale informatico il compito di esercitare la disciplina.

Per quanto riguarda i lati negativi, sono stati citati la grande precarietà dei contratti, la velocità dei ritmi, la competizione tra lavoratori, lo sforzo fisico e mentale e il lavoro notturno. I lavoratori interinali vengono a sapere se il contratto sarà rinnovato o meno lo stesso giorno in cui questo scade. Inoltre, i pochi che riescono a passare all’indeterminato devono o passare dei test per progredire nella gerarchia o accettare di lavorare sempre e solo di notte. Il turno notturno più comune va dall’una di notte alle nove del mattino, ma le ultime tre ore non vengono pagate con la maggiorazione notturna, essendo già nell’orario mattutino. Le difficoltà legate al lavoro notturno sono note: alterazione dei bioritmi, stanchezza, pesante impatto sulla vita sociale e le relazioni personali. Secondo le testimonianze, i meno giovani non reggono i ritmi, il lavoro notturno e i danni alla schiena. Una lavoratrice che è stata nel magazzino nei primi mesi di apertura ha riportato casi di svenimenti e malessere sul lavoro. In ogni caso, chi non progredisce nella gerarchia lo vede come un lavoro temporaneo, non come una possibile fonte di reddito a lungo termine.

Se nell’inchiesta precedente ci siamo soffermati sul ruolo di Amazon nell’avanzamento dell’automazione del processo produttivo (in particolare tramite lo sviluppo di veicoli automatici per lo spostamento delle merci negli hub), questa inchiesta mette più in rilievo l’automazione della supervisione sul lavoro vivo (attraverso il device). Entrambi gli elementi approfondiscono la tendenza a incorporare nel capitale fisso il controllo del processo lavorativo, facendo avanzare la trasformazione dei sensori e degli attuatori di tale controllo in estensioni del corpo stesso del lavoratore. Le macchine non sono certo programmate o telecomandate dai lavoratori, ai quali restano invece mansioni semplici e ripetitive da compiersi al ritmo determinato dal sistema informatico. Siccome tali mansioni possono essere imparate in pochi giorni, all’azienda conviene mantenere alti livelli di turn over, in cui la disciplina è garantita da una combinazione di sorveglianza digitale e minaccia del non rinnovo del contratto. La ristrutturazione tecnologica e organizzativa fatta di just in time estremo e Taylorismo digitalizzato che Amazon porta avanti sta imponendo forti pressioni competitive su tutto il settore della logistica (e su quello della distribuzione), cosa a cui non sono probabilmente estranei i recenti attacchi di FedEx ai diritti sindacali.

In vista della prossima possibile apertura di numerosi magazzini Amazon anche nella provincia di Treviso, l’EbiCom (ente bilaterale locale che unisce Confcommercio e sindacati confederali) ha appena presentato una ricerca che – senza addentrarsi nel processo lavorativo – conferma ampiamente la precarietà del lavoro imposto da Amazon. Nei diversi magazzini Amazon in Italia esaminati dalla ricerca, l’82% delle assunzioni sono state precarie, una cifra da far rabbrividire. Lo studio segnala anche i problemi relativi all’aumento del traffico e alla mancanza di servizi per gli autisti. Il consumo di suolo non è invece considerato un problema perché lo studio usa una definizione “burocratica” del concetto, che non considera il suolo di fatto verde e permeabile ma solo i terreni non destinati a uso industriale nei piani urbanistici.

TABELLA

Fonte: EbiComLab.

Ma se i sindacati confederali hanno giustamente denunciato tramite EbiCom la bassa qualità del lavoro Amazon e le pressioni che tale modello metterà sui posti di lavoro più sicuri, perché si sono schierati a favore della costruzione dei nuovi magazzini firmando protocolli di garanzia che – non avendo alcun valore legale o contrattuale – servono solo come foglia di fico per le amministrazioni locali che sostengono l’espansione di Amazon? Ritireranno tale sostegno alla luce dei risultati della ricerca?

Un’opposizione al dilagare del modello Amazon difficilmente potrà passare per una cogestione sindacale degli algoritmi che controllano il processo lavorativo e meno ancora per protocolli bidone. Si tratta piuttosto di costruire ampie alleanze di lotta tra posto di lavoro e territorio. Dove vengono progettati nuovi magazzini Amazon con evidenti impatti ambientali bisogna ostacolarne la costruzione. Nei magazzini già attivi, bisogna tentare di alzare il costo del lavoro riducendo la precarietà e rallentando i ritmi. Un esempio l’abbiamo trovato nel Comitato Residenti Colleferro, che prima si è opposto alla costruzione del centro di distribuzione Amazon locale e poi ha sostenuto il comitato dei lavoratori interinali in lotta per il contratto a tempo indeterminato. In provincia di Treviso ci sono state diverse iniziative di collegamento ambiente-lavoro in merito ad Amazon. Un esempio chiaro è stata la manifestazione dell’ADL Cobas a Casale contro l’espansione del modello Amazon in occasione dello sciopero della logistica del 26 marzo, a cui ha aderito il Comitato No Maxi Polo. Tuttavia, come sostiene anche la campagna Make Amazon Pay, l’opposizione al modello Amazon deve partire dal locale per arrivare all’internazionale. Per chiudere il cerchio, il G20 della Finanza di Venezia sarà un’ottima occasione per dire “basta” ai ponti d’oro per la precarietà e la devastazione ambientale.

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