Gli Attacchini vanno a Genova

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di Eleonora Bonaccorsi (Attac Milano)

Attac a Genova 2001 aveva la necessità di avere un gruppo di persone che si occupasse della comunicazione. Striscioni, slogan, iniziative dovevano essere ideate: quindi ci radunammo a partire dal lunedì precedente alle manifestazioni programmate, per iniziare ad elaborare una strategia comunicativa.

Prima di tutto il nome, il gruppo si auto nominò “Gli Attacchini”; un po’ perché eravamo quelli che materialmente andavamo a mettere i manifesti in giro per Genova, poi l’assonanza con Attac era perfetta.

Il gruppo era disomogeneo, ma determinato; tutti eravamo fermamente convinti che avremmo cambiato il mondo! E anche velocemente, dato l’entusiasmo traboccante. Pochi di noi avevano esperienze di manifestazioni, inoltre spesso eravamo talmente impegnati ad ideare slogan o costruire materiali per dare visibilità ad Attac, che non vivevamo direttamente l’evolversi anche drammatico della situazione di Genova, come se fossimo all’interno di una scanzonata bolla separata. Ci definivamo attacchini “ignoranti” perché non avevamo il tempo di seguire i seminari estremamente interessanti organizzati dal Genoa Social Forum, anche se in realtà eravamo preparati sulle tematiche economiche che affrontava Attac.

Lavorammo giorno e notte per preparare un enorme reticolo ricoperto di palloncini bianchi e rossi che formavano una percentuale, il simbolo dell’associazione, e che dovevano volare sopra le enormi transenne, alte fino a quattro metri, che la polizia aveva innalzato in Piazza Dante a protezione della zona rossa; poi l’elio a Genova in quei giorni era introvabile e quindi un compressore d’aria fu un ottimo compromesso, che se anche non avessero volato motu proprio oltre le transenne ce li avremmo buttati noi.

Iniziammo a capire che forse avremmo avuto serie difficoltà a cambiare il mondo, quando in Piazza Dante, mentre manifestavamo in modo esemplare la nostra correttezza e “purezza” delle nostre idee, raccogliendo persino le cartacce da terra, ci svegliarono brutalmente dal nostro “sogno” con un idrante al peperoncino!

La morte di Carlo fu una ferita mai guarita. Il giorno dopo decidemmo di sfilare con uno striscione nero in apertura del corteo. Lo realizzammo con la stoffa che avevamo comprato per riprodurre lo squalo della finanza. Sotto le nostre mani divenne plasticamente vero che il capitalismo finanziario non solo non è astratto, ma uccide direttamente quando viene messo in pericolo.

Partecipammo così assolutamente impreparati, a un servizio d’ordine più di nome che di fatto. L’idrante al peperoncino fu sostituito dai lacrimogeni e dai manganelli che trasformarono il nostro entusiasmo in presa di realtà ed indignazione.

Quando tornammo da Genova, eravamo stanchi, delusi, ma indomiti. Era necessaria una campagna di comunicazione sulla Tobin Tax, una tassa sui guadagni speculativi, che ora sembra ovvia e di assoluto buon senso, ma che nel 2001 sembrava una proposta estremista persino indecente. Partì così una campagna formidabile. Furono creati i fumetti sulla Tobin tax, un vero capolavoro, efficaci e divertenti al tempo stesso. La campagna si concluse con una importante iniziativa a Roma e coinvolse personaggi come Dario Fo.

Poi arrivò la raccolta di firme per la grande campagna contro la privatizzazione dell’acqua; il cui logo era una matita che dava un potere enorme al cittadino e quel potere venne capito e utilizzato efficacemente perché il referendum fu vinto.

Gli attacchini “ignoranti” erano diventati molto più sapienti anche se un po’ meno “illusi” e felici, ma continuano a credere che bisogna cambiare il mondo e che lo si debba fare in prima persona.

Photo credits: archivio fotografico di Attac Italia.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 47 di luglio-agosto 2021:  “20 anni di lotta e di speranza

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