Sono 183 le vittime nel Nord Europa (il triste bilancio è aggiornato a domenica mattina) dopo due giorni di devastante maltempo che ha colpito in particolare la Germania e il Belgio, oltre a Lussemburgo e Olanda. Non smette di crescere il bilancio dei morti tedeschi, arrivato a 156 vittime, con il land Renania-Palatinato che da solo ne ha registrate 63, mentre nel vicino Nord Reno-Vestfalia se ne sono contate finora 43. Colpito duramente anche il Belgio, che conta 27 vittime per buona parte nella provincia di Liegi. Da oltre 24 ore si cerca di svuotare scantinati e cantine con le idrovore, mentre gli elicotteri dei soccorsi sono impegnati nella ricerca di circa 1.300 persone che risultano ancora disperse.
Queste catastrofi naturali sono solo le ultime di una sequela di fenomeni estremi, come la cupola di calore che si è sviluppata sopra il Canada, con temperature sopra i 40 gradi, o fenomeni molto più direttamente collegabili all’intervento umano, come l’incendio avvenuto nella baia di Campeche dalla rottura di un gasdotto, in cui si è visto letteralmente il mare bruciare, creando un occhio di fuoco visibile da chilometri di distanza.
Ora la crisi climatica sta colpendo sempre di più nel cuore dell’occidente industrializzato, spazzando via in maniera tragica la narrativa di greenwashing e di immobilismo portata avanti dai vari governi nazionali e ritualizzata in incontri internazionali come il g20 o la COP. L’ipocrisia con cui la politica istituzionale si è mossa finora, si è largamente palesata in Germania in queste ore. Proprio il governatore del land Renania-Palatinato Armir Laschet, candidato cancelliere per il partito di Angela Merkel alle elezioni federali di settembre, è al centro di grosse polemiche, perché considerato uno dei politici che più hanno difeso gli interessi dei gruppi industriali della Ruhr, in barba alle richieste degli ambientalisti.
Va sottolineato che l’area colpita dagli eventi dei giorni scorsi è una di quelle maggiormente soggette a consumo di suolo e l’urbanizzazione. E abbiamo visto più volte come questi fattori abbiano avuto un ruolo cruciale nel caso di queste alluvioni: andando a leggere il New York Times e altri giornali, si discute molto della tempestività dei sistemi di previsione meteorologica e di risposta all’emergenza, ma andando a guardare i fattori che hanno aumentato la gravità degli effetti, è innegabile che l’urbanizzazione spinta e un utilizzo del suolo che mirasse ad un’industrializzazione spinta, abbia avuto un ruolo cruciale.
Siamo ad un punto di svolta: come è stato ribadito molte volte, la crisi climatica non è qualcosa che arriverà ad un’ora X, non è riducibile ad un evento singolo e temporalmente limitato, la crisi climatica è un processo e sta già avvenendo. Il fatto che stia colpendo quelle parti del mondo che godono di economie floride, rende semplicemente molto più difficile negare questa realtà e costruire castelli retorici e politici per continuare il famoso “business as usual”.
La dimensione sindemica in cui viviamo ci sta dando una misura di cosa significa vivere dentro la crisi climatica e di come gli effetti di questi cambiamenti climatici siano un attacco diretto alla nostra vita.
Non esistono meccanismi di controllo di questi fenomeni atmosferici estremi, come non esiste una compatibilità tra questo modello di sviluppo e la possibilità di sopravvivere alla crisi climatica; è necessario un cambio radicale urgente del nostro sistema di produzione e consumo, l’alternativa è un mondo inospitale ed apocalittico.
La scelta è tra Apocalisse o Rivoluzione, non c’è più tempo né soluzioni di compromesso.