Un’edizione unica, quella di Sherwood Festival 2021, che ha voluto dare ampio spazio alle questioni internazionali; infatti Ya Basta! Êdî Bese! ha proposto tre momenti di approfondimento all’interno di questo Sherwood Festival 2021, momenti che hanno guardato alla resistenza di tre territori in lotta: il Chiapas, ricalcando i principi dell’autonomia zapatista per prepararci alla carovana in arrivo, due appuntamenti sulla Palestina, confrontandoci con le seconde generazioni, e il Rojava. Nonostante la consapevolezza della poca costanza con cui negli ultimi anni abbiamo seguito ed appoggiato la rivoluzione in atto nel Nord-Est della Siria, vi è anche la certezza di affrontare questa questione con umiltà e non da tifosi.
Nel 2015 dopo la liberazione di Kobane e la carovana/staffetta di Suruç, proprio a Sherwood si lasciava il palco alla comandante Nasrin. Lì venne sancito un patto di amicizia e di fratellanza, un patto mai rotto che i centri sociali del nord est hanno sempre sentito vivo e forte nei loro cuori.
La rivoluzione in Rojava ha perso nell’ultimo periodo l’hype di anni fa, ma altri movimenti sono esplosi e ci insegnano nuovi modi di interpretare la lotta, senza però dimenticarsi che il processo rivoluzionario in Rojava – citando Davide Grasso – è l’unica rivoluzione in atto armi alla mano in questo periodo.
Questa, nel cuore del Medio Oriente, è un’area geografica dove i tentativi di cambiamento sono sempre naufragati e hanno dovuto fare i conti con la repressione autoritaria: il Rojava rappresenta oggi l’unico esempio controcorrente, contro due dei peggiori nemici della nostra epoca, ovvero l’Isis e la Turchia.
Alcuni nomi e date sono iconiche: la lista delle città riconquistate sono significative e da pelle d’oca, raccontano di morte e distruzione ma anche di liberazione, anche se a caro prezzo, sia in termini di devastazione che di vite umane. Migliaia di donne e uomini sono caduti per far fiorire questa rivoluzione.
Figure che sono diventate martiri secondo una logica mediorientale a noi difficile da comprendere, nomi entrati in una sorta di ideologia combattente, fatta anche di internazionalisti con spirito d’altri tempi che sono scesi a difendere la rivoluzione.
La rivoluzione ha prodotto un momento di euforia che ci ha portato a parlarne, prima di altri movimenti, introducendo nel nostro agire politico quotidiano parole e concetti. Parole e concetti a quanto pare ritenuti pericolosi nei loro contenuti, visto il tentativo della magistratura di punire la nostra meglio gioventù attraverso norme fasciste applicate in assenza di condanne, come è successo a Eddi Marcucci, attivista torinese no tav.
In seguito, l’intervista ad Alessandro Orsetti, padre di Lorenzo, caduto martire in Rojava mentre combatteva nelle YPG.
M.S. Come nasce l’idea libro e l’esigenza di raccogliere i pensieri personali di Lorenzo?
A.O. La storia di Lorenzo è la storia di una persona che ha vissuto a fianco di tanti amici, compagni… una persona normale, ma con tanta rabbia per le ingiustizie di questa società, la sua vita non poteva essere vissuta nelle contraddizioni, voleva vivere ciò in cui credeva. Sono vent’anni dopo Genova, io e Lorenzo c’eravamo, avevamo ragione. Oppure i licenziamenti di questi ultimi giorni, anche Lorenzo ha vissuto queste contraddizioni del mondo del lavoro, senza dignità, non le ha accettate e ha cercato alternative.
Ha scelto di vivere il Rojava, di appoggiare a pieno questa rivoluzione, e il libro si inserisce in questo percorso, raccoglie i suoi pensieri e le sue riflessioni dai giorni prima della partenza fino a pochi giorni prima di morire, ma senza retorica. Sono osservazioni dirette, a volte anche crude, sulla realtà della rivoluzione e della guerra: più volte mi ha ribadito di non essere andato là per scrivere un libro. Gli ho detto di rilassarsi nell’ultimo periodo in cui era lì, di scrivere impressioni, ma lui voleva essere in battaglia tra loro, e lì è morto assieme ad una brigata di arabi e curdi, che non abbandonarono il suo corpo ma che con perdite lo recuperarono. Insomma ci è piaciuta la mancanza di retorica e ricordare la rivoluzione attraverso le sue parole è importante, ricordare è importante.
Il libro è stato fatto da amici che hanno curato, come gesto di amore, raccolto foto e fonti, ma ci sono solo le sue parole proprio per evitare la retorica politica, lui si era innamorato di questa realtà. Questo è l’internazionalismo che va riscoperto, non la globalizzazione che lega le merci ma internazionalismo che lega i popoli.
M.S. Non possiamo far altro che concordare con la tua analisi su questi scritti. Ricordo che uno dei racconti di Lorenzo, quello sui bombardamenti sulle colline ad Afrin, ci portarono a chiederci da dove venissero quegli elicotteri, elicotteri prodotti da Leonardo Finmeccanica, anche a Tessera qui a fianco dell’aeroporto di Venezia. Questa scoperta ci spinse a sanzionare quello stabilimento, quella produzione e vendita criminale andava colpita e così entrammo nello stabilimento per sanzionare i nemici rivoluzione. Inutile negare come i racconti di Lorenzo ci ricordino le testimonianze dei nostri nonni partigiani: le attese, il vivere in gruppo, la fratellanza e gli ideali. Pensi sia possibile definire la rivoluzione del Rojava una lotta partigiana, e di conseguenza ovviamente Lorenzo un partigiano?
A.O. Sì, loro (gli internazionalisti) si sentivano partigiani internazionalisti antifascisti. Questa scelta non è detto che sia valida per tutti. Lorenzo si sentiva un partigiano, nel libro c’è un commento a proposito, anche i curdi si sentono legati alle nostre lotte partigiane. Noi purtroppo siamo abituati a cerimonie e celebrazioni solo rivolte al passato, fare memoria è diverso. Il concetto memoriale dei curdi è ricordarne i valori e portarli avanti, in questo sta la crisi dell’Anpi che non è capace di fare memoria attiva e non riconosce le nuove lotte di resistenza e i nuovi partigiani.
Lorenzo ha ricevuto la tessera come partigiano onorario dalla sezione dell’Anpi di Firenze che lo ha riconosciuto come nuovo partigiano, anche il valore del libro è stato riconosciuto dal centro di documentazione di Brescia. Essere partigiani significa schierarsi, contro qualcosa ma soprattutto a favore di qualcos’altro. Il confederalismo democratico rappresenta i valori in cui Lorenzo credeva fortemente, col rifiuto del fascismo e del capitalismo come mali che stanno distruggendo questo mondo. Le istituzioni di Firenze fanno fatica a comprendere la lotta armata…invece imbracciare il fucile è ancora necessario a volte, non si può essere pacifisti in Siria e Turchia. La realtà che si sta formando grazie a questa lotta, la cosiddetta democrazia senza stato, estranea ai nostri parametri occidentali, è l’unica soluzione per questi territori. Anzi, sarebbe auspicabile questa pratica anche qui da noi. Lorenzo ne era vicino perchè si definiva anarchico, nel senso di sviluppo personale per la ricchezza della comunità. Lì Lorenzo si sentiva a casa.
M.S. Quale era il pilastro preferito di Lorenzo tra quelli del confederalismo?
Potrei citare l’ecologia sociale, la condizione di rispetto e parità tra uomo e uomo, tra uomo e donna e tra persona e ambiente, concetti si basano sulle relazioni e la possibilità di creare qualcosa di comune. Lorenzo è sempre stato critico dell’individualismo dell’occidente. Lì in Rojava ha trovato un luogo dove persone normali possono fare cose eccezionali e viceversa. La nostra società non ama queste situazioni, capitali e potere rendono difficile un incontro, condannando a dover alzare la voce, come nel caso della sorveglianza speciale data ad Eddi, in nome di una presunzione, non di una condotta, e che ora viene applicata anche ad altri contesti. Oppure come i decreti sicurezza, che poi vengono applicati ad operai e manifestanti. In questo tritacarne le idee diverse sono condannate.
Uno dei principi che ammiro è il non limitarsi al momento: lo spirito di non arrendersi mai contro i peggiori nemici del mondo dà speranza, ancor di più se combattendo si continua comunque a costruire una società migliore. Anche il progetto del libro è su questa lunghezza d’onda, facendo informazione e col progetto dietro il libro ovviamente.
Addirittura nei campi degli sfollati si organizzano secondo i principi del confederalismo democratico, questo è un popolo che ha fatto della sua oppressione tesoro per fare una proposta, uscendo da parametri usuali e proponendo cose nuove, una terza via alternativa anche al marxismo oltre che al capitalismo.
Vorrei raccontare un episodio che ha modificato il modo di vedere quella rivoluzione per Lorenzo: durante un’esercitazione dietro le linee, bisognava mappare tutte le postazioni e lui ad un certo punto si stacca e disegna la mappa ma da solo, calcolando tutti i parametri e le distanze e facendo il lavoro meglio che poteva. Al ritorno però gli spiegarono che anche se la mappa era fatta bene la missione per lui era da ritenersi fallita: si parte insieme e si torna insieme, lui invece ha abbandonato il gruppo e questa è la loro ricchezza: il gruppo. Quando moriva qualcuno Lorenzo racconterà della fatica per riportare indietro il corpo. Stessa cosa che è stata fatta con lui.
M.S. Cosa fare per sostenerli?
A.O. In primis è importante parlane, fare pressioni politiche per misure concrete che si muovono velocemente contro le realtà che finanziano Isis e Turchia, dopodiché serve un aiuto concreto. Da qui nasce l’idea del progetto che portiamo avanti. Un gruppo di artisti ha fatto un cd con canzoni ispirate a Lorenzo, una volta incassati i soldi ci siamo chiesti in cosa utilizzarli. Lorenzo mi parlava di un orfanotrofio a Kobane, al quale teneva molto, e così abbiamo deciso di devolvere i soldi del cd, e successivamente quelli del libro, per un ambulatorio pediatrico per quei bambini. Un modo reale per essere vicini a questi popoli, ora difficoltà per il Covid-19, senza acqua, senza medicine a causa dell’embargo turco. Un altro modo per sostenerli è quello di sperimentare e applicare le loro istanze nella nostra società, a cominciare dai fatti e dalla vita concreta. Il primo aiuto venne da Zerocalcare con il fumetto pubblicato come inserto di Internazionale, lui ha avuto una grande capacità di entrare e cogliere il senso di certe situazioni, lo ringrazio per questo.
Quello che avviene in Rojava è un contesto di guerra totale, dove ogni cosa è una conquista – circondati dalla Turchia e da Assad, e ancora dall’Isis. Questa forza deve darci morale sulle nostre lotte di tutti i giorni e di quello che facciamo con i nostri corpi: se ci riescono loro possiamo farlo anche noi.