Se la cancel culture colpisce le università: il green pass e la lotta per la libertà

Di Lorenzo Maria Pacini, ComeDonChisciotte.org

Stiamo vivendo una fase transitoria epocale, com’è evidente sotto gli occhi di tutti. In un modo o nell’altro, chi prima e chi dopo, tutti veniamo interrogati dallo sviluppo degli eventi e ne restiamo coinvolti, dovendoci interrogare sulla propria posizione, per prendere una decisione. Nella grande battaglia in corso, l’attacco più recente in Italia è quello sferrato al mondo della scuola e dell’università, forse il più delicato e, in senso progettuale sul lungo periodo, il più fondamentale.

Sappiamo bene che la questione educativa è uno dei punti imprescindibili di ogni sistema politico: dal modo in cui si formano i giovani dipenderà il futuro della collettività, pertanto si è sempre riservata una particolare attenzione a come si insegna, la didattica, e a cosa si insegna, i contenuti, costruendo delle metodologie il cui fine non è mai stato semplicemente pedagogico, ma sempre e comunque anche politico e sociale. Non a caso, nel corso della Storia abbiamo fulgidi esempi di particolare interesse per l’istruzione proprio là dove sono sussistite delle forme politiche che hanno determinato l’andamento stesso della Storia, perché la pedagogia è un’arma più potente delle bombe e il carattere che viene impresso ad un popolo tramite ciò che apprende rimane nel tempo.

Nell’Italia repubblicana, l’attenzione all’istruzione non è certo venuta meno: riforma dopo riforma, gli “esperti” dei dicasteri hanno accontentato i politici costruendo una narrazione pedagogica fondata sui cosiddetti valori della democrazia liberale, della resistenza ai soprusi, alle ingiustizie e ai totalitarismi, alla “Costituzione più bella del mondo” che deve essere considerata come esempio mirabile di libertà, intesa, questa, nei modi più disparati. Il risultato è che abbiamo tutti imparato la cantilena, ma in pochi abbiamo compreso cosa sia davvero la libertà, ed oggi paghiamo lo scotto di questa superficialità nel confronto con la cancel culture, la “cultura della cancellazione”, quel vero e proprio movimento ideologico di ri-scrittura della cultura che, a livello mondiale, sta operando una rivoluzione sociale di tipo globalista. Il coinvolgimento delle istituzioni scolastiche in questo movimento è totale, e ancora di più ad essere fatte oggetto dell’attacco sono le università, nate come luoghi in cui si fa cultura, avviene il dibattito, la ricerca, la sperimentazione, il che significa i luoghi prediletti in cui iniettare il virus dell’ideologia.

L’idea di cancellare una cultura non è nuova, già la Storia ce lo insegna, appartiene al totalitarismo, ne è l’essenza. Il nazismo, ad esempio, procedeva alla cancellazione della cultura bruciando libri, i khmer rossi procedevano alla cancellazione della cultura occidentale, che aveva “infettato” la purezza di quel popolo, uccidendo persino coloro che ne erano stati infettati. Si tratta sempre di difendere una “purezza”, di impedire la “contaminazione”, di fermare un’infezione. Termini che di questi tempi ci suona famigliari, ma sui quali forse troppo spesso pecchiamo di poca riflessione.

Il totalitarismo è sempre il tentativo di cancellare la memoria. Ora si vuole cancellare la memoria di ciò che sia la libertà stessa. Il meccanismo ha un che si serpentino, perché se dapprima i fautori della grande formattazione mondiale della cultura hanno promosso la rimozione di alcune fette culturali del passato, intentando processi ai contenuti e alle intenzioni ma pur sempre mantenendo una certa distanza cronologica, oggi si pretende di cancellare ciò che è stato narrato fino a pochi anni prima.

Avendo già proceduto alla demolizione dell’antica cultura Occidentale, reputata maschilista, razzista, etnocentrista, da superare, non resta che abbatterne gli ultimi spiragli di sensatezza attaccando quella stessa forma mentis che nel Novecento è stata sbandierata come progresso. Ogni giorno che passa si avverte sempre più, soprattutto chi fa un lavoro intellettuale lo sente, un clima di timore, di paura di ritorsioni. La parola diviene sempre più controllata, sospetta, indagata, sotto processo, anche i testi vengono usati con timore. Si sta creando una spirale del silenzio, e un’intera cultura, rischia di essere cancellata.

Non dal nazismo, non dai khmer rossi, ma dalla cultura progressista, dalla cultura liberale, che ogni giorno di più mostra il proprio volto totalitario, la sua ostilità verso ogni discorso che non si adegui all’imperativo che la governa: costruire un discorso pulito, così universale da dissolvere le differenze, le identità, i pensieri non in linea.

Si sta imponendo questo totalitarismo per il quale deve essere cancellata ogni cultura che non accetti di risolversi nello scambio economico, nei diritti degli individui intesi come esseri atomizzati e irrelati, privati di radicamento in una memoria e in una tradizione, e proprio per questo indefinitamente manipolabili, ridotti – lo si può ancora dire senza finire sotto processo? – a meri corpi biologici, privi di storia, tradizione.

Peggio ancora, nell’ultimo anno e mezzo, quasi due, deve essere cancellato tutto e chiunque non accetti la narrazione di un mondo impregnato di paura, sottoposto ad una vigilanza pseudo-sanitaria in cui la scienza è divenuta la nuova religione, i cui dogmi non devono assolutamente essere messi in discussione, pena il rogo mediatico e la squalifica sociale.

La libertà, gridata ai quattro venti come conquista a tutto campo dalla fine della guerra alla fluidità dei generi, passando per il boom economico e la liberazione sessuale, viene adesso minacciata dall’ultima trovata proveniente dal sistema politico stesso: il green pass.

Questo strumento di natura ideologica, che ben poco ha di riferibile alla cura della salute della popolazione, è di fatto l’ultima trovata per distruggere la concezione collettiva della libertà. La sua imposizione all’interno delle università manifesta un attacco intenzionale alla capacità razionale e al confronto critico della società in cui viviamo.

È, senza troppi giri di parole, un attacco all’intelligenza umana, è irrazionalità pura, una violenza contro la dignità della persona e della comunità. Viene richiesto di adottare un lasciapassare che è come un marchio classificatore, che divide i cittadini – nel nostro caso gli studenti e i professori – fra serie A e serie B, fra benedetti ed eretici, fra quanti ricevono la gentile concessione dal despota di turno e quelli che, invece, vengono privati dei loro diritti fondamentali.

Dove sono finiti gli insegnanti che predicavano l’antifascismo e indottrinavano con i valori della resistenza? Dove stanno le associazioni e i comitati che entravano nelle scuole e nelle università parlando dei diritti e predicando la libertà, ora che propri i diritti e la libertà sono messi sotto pericoloso assedio? Dove sono gli indignati del politico pronti a blaterare nei salotti televisivi, adesso che la classe politica ha assunto un evidente ed innegabile carattere totalitario?

L’introduzione del green pass nelle università è precisamente un’operazione di cancel culture, perché attraverso uno strumento pratico, si punta a cancellare la percezione, il significato, l’esperienza della libertà. Come per ogni strategia politica, non bisogna compiere l’errore di considerare gli effetti immediati, ma occorre guardare sul lungo termine: modificare un comportamento umano adesso, ingenerare un uso sociale oggi, permette di modificare totalmente le norme e le relazioni sociali. Non è fantascienza, è scienza politica, è comunicazione, è sociologia e psicologia sociale.

La Storia già ci riporta innumerevoli casi, recenti anche nel nostro Paese, in cui a partire da una consuetudine sociale, da una propaganda giornalistica o cinematografica, da un lasciapassare o una tessera di partito, si è giunti alla guerra ideologica contro alcune classi di individui, compiendo atroci mostruosità.

Le università vengono così trasformate in fabbriche dirette dal governo di turno, per produrre menti conformate al pensiero unico dominante. O fai così o non lavori, o presenti il marchio degli eletti o non hai diritto allo studio. Senza entrare nella considerazione della ferita economica che ciò significa per le innumerevoli famiglie di professori e personale amministrativo, ma anche per il futuro della nazione intera perché impedendo agli studenti di formarsi si impedisce a nuovi lavoratori di prepararsi al futuro impiego, non possiamo non prendere una posizione davanti a questa violenza ideologica.

Se la storia si ripete, ripeteremo il coraggio. A quanti vivono nel mondo dell’università è richiesto oggi di opporsi con decisione e dimostrare, coraggiosamente, che i nostri sono luoghi di sapienza e conoscenza, di libertà e costruzione di un mondo migliore, e giammai saranno carceri in cui soffocare le vite con una cultura malata, soffocando la ragione umana e impedendo ai cuori di volare alto. Quanto rischiamo di perdere è tanto, non lo si può negare, ma a cosa giova il compromesso con l’iniquità?

A quale pro scendere a compromessi con chi sta già operando soluzioni finali senza alcun compromesso? Se necessario, ci riuniremo in università libere e alternative, costruiremo o meglio tramanderemo la sacralità dell’istruzione.

Il nostro coraggio – chi scrive è un professore impegnato in prima linea – deve essere di esempio per gli studenti e per quanti stanno combattendo la medesima battaglia. Davanti al giudizio della Storia, spetta a noi scegliere se i nostri nomi saranno scritti fra quanti hanno lottato valorosamente, o fra quanti si sono piegati alla dittatura, o peggio ancora fra gli ignavi di cui il sommo poeta Dante sentenziò «non ragioniam di lor, ma guarda e passa» (Inferno, III, 51).

Di Lorenzo Maria Pacini, ComeDonChisciotte.org

Lorenzo Maria Pacini, classe 1994, toscano di nobile famiglia, è sempre stato un ribelle del pensiero. Ha studiato Filosofia e Teologia presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma, Filosofia e Scienze dell’Educazione presso l’Università degli Studi di Ferrara con una tesi in Estetica della Musica, perfezionandosi poi in Bioetica all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, per proseguire con la laurea Magistrale in Filosofia, nel ramo della Politica con una tesi sul Platonismo politico in A. Dugin all’Università degli Studi di Parma. Successivamente ha proseguito gli studi presso l’Istituto Europeo di Psicologia Positiva di Madrid, specializzandosi in Mindfulness e Gestione Emotiva. Scrittore poliedrico sin da adolescente per varie realtà, editore in collaborazione con diverse case editrici, ha cominciato la propria esperienza giornalistica come Capo Redattore de Il Pensiero Forte, per poi divenire Vicedirettore de Il Corriere delle Regioni e fondare, nel 2021, Idee&Azione. Professore di Filosofia e Sociologia presso UniDolomiti di Belluno, la SSML San Domenico di Roma e la Libera Accademia degli Studi– Istituto di Neuroscienze Dinamiche Erich Fromm di Bellinzona, continua a formarsi e studiare, perché la vita è un meraviglioso cammino di libertà.


Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org

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