A fine giugno è capitato al circolo culturale Magazzino Parallelo di Cesena. La notizia è uscita sulla stampa locale – Cesena Today e Il Resto del Carlino –, ma sembrava un singolo episodio.
Il 29 agosto è toccato al CSA Sisma di Macerata. Che ha scritto un bel comunicato, tanto che oltre a linkarlo lo riportiamo qui sotto.
Due punti fanno una linea. Qualcosa stava accadendo e la notizia è arrivata alla stampa nazionale: Matteo Pucciarelli ne ha scritto su Repubblica, Luca Pakarov sul Manifesto.
A quel punto si è scoperto che l’8 luglio era accaduto pure a una terza realtà: l’associazione Argonautilus di Iglesias, che solo collegando la propria vicenda alle altre due ha capito come mai la sua pagina FB era svanita.
Immaginate la sequenza: invitate Wu Ming 1 a presentare La Q di Qomplotto. Fissate la data. Poi create l’«evento» su Facebook e…
…nel giro di pochi minuti non solo la vostra pagina non c’è più, non solo Facebook ha chiuso tutti i vostri account di amministratori, ma sono scomparse altre pagine che alcuni di voi gestivano, spesso per lavoro. Ovvio che le ripercussioni siano pesanti.
L’ipotesi più fondata è questa: un algoritmo di Facebook ha scambiato la presentazione di un libro su QAnon per propaganda a favore di QAnon.
“Bel” paradosso. Dopo aver favorito in tutti i modi la crescita della setta cospirazionista, consentendo ai gruppi dei suoi adepti di superare i tre milioni di iscritti, nella primavera 2020 la megacorporation di Zuckerberg – già investita dallo scandalo Cambridge Analytica – è rimasta scottata dalle critiche e dall’accusa di incitare azioni violente. Da quel momento ha avviato un repulisti.
Repulisti più di facciata che sostanziale (la piattaforma è ancora zeppa di materiali para-QAnon e simil-QAnon), e spesso paradossale nei suoi esiti. Soprattutto dopo l’invasione di Capitol Hill, spesso si esagera in senso opposto, facendo calare la mannaia alla sola menzione di QAnon.
I testi “incriminati” consistevano nella ripubblicazione parziale o totale del testo presente sull’aletta del libro. Ma attenzione: la mannaia non cala su ogni evento e ogni pagina che parli di La Q di Qomplotto. Su Facebook sono state pubblicizzate altre presentazioni, il libro è stato recensito più volte e l’editore, Alegre, ne parla quasi ogni giorno. Insomma, c’è un elemento random, il criterio non è per nulla chiaro.
In due casi su tre – Magazzino Parallelo e Sisma – non c’è stato modo di farsi ascoltare, la decisione presa era inappellabile*. La pagina e gli account di Argonautilus sono invece tornati on line. Il ripristino, come già la rimozione, è avvenuto senza spiegazioni di sorta. Forse conta il fatto che l’evento non riguarda solo la presentazione del libro ma l’intero festival Connessioni?
Quanto accaduto solleva ancora una volta la questione dei social media e del che fare riguardo a essi.
Chi ci segue sa cosa pensiamo di Facebook, dei social e della possibilità di farne un uso “altro”.
Facebook lo abbiamo sempre disertato. Mai avuto un profilo né una pagina, niente. Il catenaccio del pezzo di Repubblica è sbagliato, dice: «Il collettivo che promuove incontri pubblici per smontare le tesi complottiste bannato dal social network», ma Facebook non può bannare utenti che non ha. Il colosso di Menlo Park ci sta talmente sulle palle che non linkarlo mai fa parte della policy di questo blog.
Twitter lo abbiamo abbandonato due anni fa, alla buon’ora ma appena in tempo, cioè poco prima della pandemia.
Quanto all’uso “altro” dei social – la «democratizzazione della piattaforma», «Facebook bene comune», «forme di contropotere» contro l’arbitrio dell’algoritmo ecc. – ci sembra, nella migliore delle ipotesi, wishful thinking. È una storiella che in troppi si sono raccontati. C’è chi camuffa da strategia quella che è solo dipendenza da social.
Le nostre ragioni per non stare sui social le abbiamo spiegate per filo e per segno nella miniserie in due puntate L’amore è fortissimo, il corpo no. 2009 – 2019, dieci anni di esplorazioni tra Giap e Twitter. Non a caso estratti di quel testo formano un capitolo dello stesso La Q di Qomplotto: la critica radicale dei social attraversa gran parte del libro. Del resto, sono stati i social a fare QAnon.
Del comunicato del Sisma apprezziamo il taglio, la lucidità e il non limitarsi a gridare alla censura (come invece hanno fatto troppi altri). È un ottimo contributo alla discussione, ecco perché lo riprendiamo. Buona lettura.
Trova i tuoi nemici su Facebook
Una pagina Facebook eliminata, i cinque profili personali degli amministratori della pagina disabilitati, sei pagine gestite da uno degli editor come social media manager – che niente avevano a che fare con quella incriminata – eliminate anch’esse. Tutto questo a seguito della creazione di un evento per la pubblicizzazione della presentazione di un libro in programma per sabato 11 settembre. La pagina in questione è quella del CSA Sisma di Macerata – che ospiterà la presentazione – mentre il libro è La Q di Qomplotto – QAnon e dintorni. Come le fantasie di complotto difendono il sistema” (edizioni Alegre 2021) di Wu Ming 1.
La cancellazione delle pagine e dei profili utente è avvenuta senza nessun preavviso. “Non possiamo controllare la decisione di disabilitare il tuo account. Il tuo account Facebook è stato disabilitato perché non rispetta i nostri standard della community. Questa decisione è definitiva.” questo il messaggio del pop up che compare all’istante dopo l’invio del modulo di segnalazione. Nessun altra possibilità di contattare il Centro Assistenza, i due indirizzi email abuse@facebook.com e privacy@facebook.com risultano ‘inesistenti’, unico contatto telefonico conosciuto quello della sede centrale di Menlo Park. In ultima istanza sarebbe possibile rivolgersi all’Oversight Board, la commissione indipendente a tutela del ‘free speech‘ di recente istituzione, ma non è possibile inviare una segnalazione dopo una disabilitazione.
Questo è quanto è accaduto nel primo pomeriggio di domenica 29 agosto a distanza di poche ore dalla pubblicazione dell’evento Facebook nella nostra pagina.
Vogliamo portare alla luce quanto accaduto perché a nostro avviso si tratta dell’ennesimo episodio rivelatore degli scenari presenti e futuri dell’informazione globale ordinata da vecchi – gli stati – e nuovi – le big tech – guardiani dei recinti dell’accesso ai contenuti che disegnano traiettorie inedite di compressione della libertà di espressione.
Prima di farlo vogliamo però puntualizzare alcuni elementi in premessa che sono anch’essi centrali.
Non è nostra intenzione fare piagnistei a seguito della ‘decisione definitiva’ sul nostro conto da parte del colosso privato dei social network, non c’è nessun vittimismo ipocrita nel sollevare la questione, nessun sincero democratico gestore di social media a cui vogliamo appellarci. Né destano più alcuno stupore le azioni di censura condotte in nome della tutela degli ‘standard della community’, ripetutesi più volte negli ultimi anni, basti ricordare cosa accadde a quanti si espressero a difesa della libertà dei popoli del Rojava e del Kurdistan – decine di pagine vennero chiuse, per quanto ci riguarda in quella circostanza subimmo sospensioni temporanee di singoli account ed eliminazione di post specifici.
Facebook – come altri canali social – non è mai stato il ‘nostro strumento’, ne abbiamo da sempre individuato criticità, problematiche e contraddizioni, abbiamo sempre cercato di usarlo in modo attento e senza riconoscergli eccessiva importanza. Il Centro Sociale Sisma non vive da 24 anni grazie ai social media.
I nodi a nostro avviso sono altri e ben più profondi e vogliamo provare a sviscerarli.
Guardando alla dinamica dell’accaduto appare fuori di dubbio che il dato scatenante sia da rintracciare nei contenuti dell’evento pubblicizzato, ovvero quelli del libro di Wu Ming 1 che indaga attorno al fenomeno QAnon. Ne consegue che ai fini della policy della community non risulterebbe differenza fra contenuti pro e contro, fra posizioni di esplicito sostegno e di riflessione critica che muovono da una disapprovazione di fondo. Per quanto ci è dato sapere, i contenuti relativi alla presentazione di un libro che decostruisce QAnon ed il cospirazionismo più in generale rappresentano una ‘violazione degli standard della community’ di Facebook. Generando il paradosso per cui nella lotta senza quartiere alle ‘dangerous organizations‘ si toglie la parola e si colpisce chi produce pensiero critico e a partire dalla riflessione su quelle stesse organizzazioni, cerca di analizzare ed andare alle cause del problema.
Il risultato di tutto ciò è che ne scaturisce un imperativo per il quale un tema è criticabile ma, con evidenza, solo da un punto di vista già determinato; chiunque vorrà farlo in maniera autonoma avrà una sorta di Spada di Damocle sopra alla sua testa, o ai suoi testi, pronta a calare impietosa i suoi colpi. Da questo deriva un altro punto rilevante: chi decide per cosa e come muovere i fendenti? Dietro i celebri algoritmi e le procedure di moderazione e sanzione si cela un arbitrio senza responsabili, nessuno sa fino in fondo quali sono i meccanismi e chi li determina, essi rimangono volutamente oscuri e poco chiari, perfetti per essere usati in maniera discrezionale. Non avere referenti, fisici o meno, a cui rivolgersi di fronte a scelte del genere non ha nessuna motivazione di carattere tecnico, si tratta di una scelta ben precisa volta a una gestione unilaterale e senza diritto di replica della regolazione dei contenuti. Parafrasando la locuzione latina che ha ispirato un celebre fumetto si passa da “Who watches the watchmen?” a “Who – or where – are the watchmen?”. Dispositivi di questo tipo tendono a segnare linee di divisione tra un discorso pubblico accettabile, e quindi social addicted, e un altro che ne deve rimanere fuori, una distinzione tra i ‘bravi cittadini’ degni di esprimersi e i cattivi che devono essere espulsi dalla pubblica agorà. E questo a prescindere dal merito della questione o della tematica trattata. E anche a prescindere dai processi di privatizzazione degli spazi di espressione e informazione pubblica.
Le dinamiche di censura e di limitazione del diritto ad esprimersi sui social media sono anche il frutto marcio delle decorose e benpensanti campagne contro le parole ostili, l’hate speech e l’odio in rete. Campagne che vedono campioni di civiltà democratica esultare se qualche canale di propaganda di estrema destra viene oscurato; o se l’odiatore ignoto si ritrova a subire una perquisizione domiciliare e ad essere indagato per eversione dopo aver postato ‘Mattarella merda’.
Ciò che viene ignorato, consapevolmente o meno, è la strumentalità essenziale per l’intensificazione e massificazione dei processi di restrizione della libertà di parola. Agire su un obiettivo che dovrebbe essere riconosciuto universalmente come corretto e meritevole di punizione – il razzista, il fascista, il misogino – produce quel consenso pressoché unanime funzionale alla legittimazione a quel dispositivo repressivo. Dispositivo che una volta implementato potrà tornare utile ogni qual volta che si ridefinirà ciò che può essere compatibile o meno; sarà sufficiente rinnovarne la legittimazione sulla base dell’individuazione del nemico pubblico di turno.
Queste dinamiche sono di un’estrema gravità anche perché trascendono il mondo dei social network e permeano l’intero universo dell’informazione main stream e non solo. La censura chiaramente cambia forme perché gli strumenti cambiano, ma il quadro d’insieme rimane il medesimo: un algoritmo multiforme e indistinto, di cui si intravedono più le motivazioni politiche che le regole ed i gestori, determina cosa può o non può essere degno di visibilità e spazio. Cosa va reso virale e assecondato e cosa va sospeso e bloccato, spesso semplicemente facendolo cadere nell’oblio.
Per lo più tutto ciò che è conflittuale e rappresenta una critica non in linea con il sistema politico, economico e sociale esistente viene oscurato. E questo grazie al cavallo di troia del dito mediatico puntato su neofascisti o cospirazionisti, che da sempre assolvono alle loro funzioni di tutori delle compatibilità sistemiche.
Segnalare quanto ci è successo significa indagare su tutto questo e cercare di capire come arginare e contrastare questi dispositivi che sempre di più tendono a schiacciare anche l’informazione indipendente e dal basso. Significa recuperare il conflitto anche nelle forme e negli strumenti di comunicazione, andando oltre le facili banalizzazioni e le polarizzazioni binarie del dibattito pubblico che vengono sistematicamente imposte su ogni tema all’ordine del giorno.
Di certo nel corso della presentazione dell’11 settembre non mancheranno gli elementi di discussione, anzi questo sarà un primo momento per approfondire questi temi e per ragionare insieme su come rispondere alle dinamiche di censura, disciplinamento e controllo che sono alla base della tenuta del sistema. Perché dietro queste decisioni, che sono politiche a tutti gli effetti, c’è una volontà per niente celata di difesa dell’esistente. Un esistente che, lo vediamo ogni giorno, non è certo il migliore dei mondi possibili e attorno al quale di certo non va perso del tempo alla ricerca di chissà quale complotto; al contrario il massimo dello sforzo collettivo va impiegato per individuare le responsabilità e possibilmente contrattaccare.
CSA Sisma – Macerata (Centri Sociali Marche)
www.csasisma.org – info@csasisma.org
* Aggiornamento 03/09/2021, h.10:00: all’improvviso, dopo più di due mesi di blackout e sordità a ogni richiesta di spiegazione, stamane Facebook ha riattivato pagina e account del Magazzino Parallelo.
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Il calendario delle prossime presentazioni di La Q di Qomplotto, anzi, di tutti i prossimi appuntamenti pubblici di Wu Ming sarà pubblicato nei prossimi giorni in calce alla seconda puntata della miniserie Ostaggi in Assurdistan. Il lasciapassare e noi. La prima puntata è qui.
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