La biblioteca di Babele dei movimenti. Intervista all’Archivio Primo Moroni per i suoi primi vent’anni di vita

di Marc Tibaldi

Mappe, cartografie, labirinti, geografie, concrezioni, nascondigli, topografie, giacimenti, pieghe, sentieri segnalati e passaggi segreti che dal passato arrivano al presente e guardano oltre, questo è il felice intrico che caratterizza l’Archivio Primo Moroni, una realtà che ha al suo attivo già vent’anni di attività e merita di essere conosciuta per le molteplici iniziative che propone, iniziative che si intrecciano con quelle del centro sociale occupato e autogestito Cox 18, che lo ospita, e della libreria Calusca City Lights, che lo affianca. Se qualcuno volesse un assaggio della molteplice configurazione di questa realtà dovrebbe visitare il sito internet https://www.inventati.org/apm/, un ricchissimo incastro di contenitori informativi, una miniera di riferimenti storici, politici, culturali. Ma mappiamo innanzitutto il luogo fisico, per chi non lo ha mai frequentato. Questo spazio si trova vicino alla zona della movida milanese, sui Navigli, in un quartiere pesantemente gentrificato che sta fra la circonvallazione interna e quella esterna, un vero nervo sociale scoperto su cui corrono le linee della filovia 90 e 91. Lì nei pressi, sul limitare meridionale del quartiere, c’è via Conchetta. Al civico 18 si accede da una porticina bassissima che si apre dentro un grande portone; una volta entrati si passa in un ampio cortile, uno dei pochi a non essere stato chiuso e privatizzato tra i molti che un tempo rendevano bello e accogliente il quartiere Ticinese. A destra stanno i locali del Cox 18, con al piano terra la sala per concerti e presentazioni e nello scantinato quella per le mostre; mentre a sinistra troviamo le stanze della libreria Calusca, con le sempiterne montagne di libri che invadono lo spazio; dalla libreria si sale alla mansarda adibita a sala dell’Archivio. Anche qui, oltre le scaffalature, i materiali, i faldoni, gli scatoloni si contendono periodicamente gli spazi nel work in progress catalogatorio. Un luogo magico, contrario alla musealità, innervato invece di idee e progetti vivi, con una continua trasfusione di linfa che dal passato corre verso il futuro e che dal presente rivitalizza la memoria.

Un po’ di storia. Il Cox 18 è uno spazio sociale, occupato e autogestito dal 1976, che dal 1992 ospita la Calusca City Lights di Primo Moroni e dal 2002 anche l’Archivio a lui intitolato. Dopo la chiusura dell’ultima fra le sedi “storiche” della Calusca, nel 1992 Primo accettò l’invito dei compagni del Conchetta che gli mettevano a disposizione i locali per riaprire la libreria, quasi vent’anni dopo la sua inaugurazione, dando vita a una nuova esperienza fatta di scambio con gli occupanti dello spazio e con le “creature affini”. La presenza della libreria, e successivamente dell’Archivio, all’interno di Cox 18 ha caratterizzato le attività, le modalità di organizzazione e interrelazione, e ha contribuito a disegnare il poliedrico profilo di questo centro sociale.

Alla morte di Primo Moroni, nel 1998, un gruppo di compagni e di amici di Primo si trovarono e, dopo qualche anno di riunioni e riflessioni, fondarono l’Archivio Primo Moroni, che nasce formalmente nel febbraio 2002, per proseguire l’attività di Primo e della sua libreria, per conservare, raccogliere e diffondere nella maniera più ampia possibile le molteplici espressioni dei movimenti degli anni Sessanta-Settanta e quelle della stagione apertasi con gli anni Ottanta, nonché per promuovere iniziative culturali e di solidarietà sociale. Il nucleo fondante del centro di documentazione è costituito dall’archivio dello stesso Primo Moroni, almeno quel che ne era rimasto dopo molteplici peregrinazioni e traversie (tra cui ingenti sequestri da parte degli organi repressivi dello Stato): varie migliaia di libri e riviste, un foltissimo numero di opuscoli, di bollettini ciclostilati, i testi o gli audiovisivi prodotti dall’ampia area dell’“editoria diffusa” e del “no copyright”, che costituiscono tanto una straordinaria visione d’insieme di quegli anni quanto uno spaccato minuzioso di collettivi sconosciuti ai più o di esperienze pressoché dimenticate. La cura di questo progetto costituisce una forma di affettuosa e necessaria “restituzione” a Primo, di riconoscenza, di amicizia politica. Negli anni successivi la raccolta si è arricchita dei fondi librari di Carlo Cuomo, Nuccio Cannizzaro, Sergio Spazzali, Roberto Volponi, Serena Boeri e Antonio Poletto, Piero Bassi, Paolo Giussani e Walter Peruzzi, che hanno, in vario modo, partecipato alle esperienze di emancipazione e alle lotte anticapitaliste e internazionaliste di quegli anni. Il tesoro di questa biblioteca di Babele dei movimenti è composto da: 10.000 volumi tra libri, opuscoli, edizioni ufficiali e informali; 1.500 testate di periodici; 150 opere, documenti, articoli dello stesso Primo Moroni; 69 scatole di materiale grigio. Assai ingente è però il materiale ancora da catalogare.

La Calusca è stata sin dai suoi inizi un crocevia di innumerevoli percorsi di elaborazione teorica, controinformazione, controculture e pratiche sociali non omologate. Così anche quando, nel 1992, la libreria ha preso il nome di Calusca City Lights, in onore di Lawrence Ferlinghetti, Primo ha proseguito a svolgere la sua funzione di connettore tra costellazioni, traiettorie e modi d’essere anche divergenti, di sensore delle soggettività e dei cambiamenti sociali, facendo della libreria uno spazio condiviso, radicalmente oltre la dimensione del “negozio di libri” e del “consumo culturale”. Se non è sostituibile la capacità di orientamento nelle stratificazioni della storia e delle lotte, che ha rappresentato il segno distintivo di Primo Moroni, e neppure la sua dote quasi sensitiva di vibratile ascolto d’ogni segnale di cambiamento, come la propensione alla relazione teorico-politica, pregnante e vitale, è invece possibile continuare – nel suo stile – a fare rete, a creare connessioni, a “condividere saperi senza fondare poteri”, com’era solito dire lui stesso. Per gli occupanti del poliedrico laboratorio di via Conchetta 18, rimane ferma l’intenzione di mantenere integro lo spirito che ha animato ogni iniziativa di Primo: non solo quindi una “struttura di servizio” per ciò che una volta era chiamato “il movimento”, ma un ambito di sperimentazione dove il tempo scorre diversamente e non viene misurato in termini di prestazioni o di tornaconto. Va da sé che l’archivio è autonomo e autogestito, avverso alle noiose e sempre uguali leggi del mercato.

Iniziamo l’incontro con un gruppo di militanti dell’Archivio, in maniera informale, parlando del modo di stare al mondo di Primo Moroni e del suo metodo di lavoro politico. Le loro voci e i loro interventi si sovrapporranno così da rendere quasi impossibile individuarne le voci e i contributi. Quindi abbiamo scelto di registrare gli interventi a nome dell’Archivio, in quanto singolarità molteplice che valorizza le “individuazioni psichiche e collettive” direbbe Gilbert Simondon. Secondo il filosofo francese la singolarità non è un punto di partenza, ma il risultato di un processo complicato. Più che di “individuo”, bisognerebbe parlare di una progressiva “individuazione”, mettendo in rilievo come in ogni soggetto vivente gli aspetti singolari coesistano con forze anonime, impersonali, “preindividuali”. Insomma, siamo individui, sì, ma solo in modo parziale e incompleto. Infatti quando si partecipa a un collettivo, non si attenua la propria individualità; al contrario, la vita di gruppo è l’occasione di una ulteriore, più ampia individuazione.

È un’intervista lunga che racconta vent’anni di impegno, resistenza e creatività, e che contiene riflessioni sulla storia, sui movimenti, sul metodo di indagine storica e sociale.

John Foot e Maysa Moroni hanno sostenuto che la cartografia dello spazio urbano è un’attività su cui si è sempre concentrato. Primo è stato storico e geografo di sé stesso e dei luoghi in cui ha abitato, elaborando un metodo di ricerca che teneva dentro il territorio, i soggetti sociali che lo attraversano e i processi produttivi, di cui si trattava di cogliere le interrelazioni e i cambiamenti. Per Primo, le mappe urbane delle trasformazioni potevano essere ricostruite ponendo al centro dell’attenzione i luoghi del conflitto sociale e dell’esperienza proletaria nelle sue multistratiche e talvolta assai sottili sedimentazioni. La tendenza, per usare un lessico politico da lui amato, puoi capirla solo se scegli come punto di osservazione i luoghi del conflitto, anche quando questo manifestava caratteristiche aliene e distanti da quelle dei gruppi e delle organizzazioni politiche ufficiali o anche eterodosse.

Archivio Primo Moroni: Forse in alcune ricostruzioni è stata sottovalutata la sua esperienza giovanile nel Partito comunista, che per reazione gli aveva fatto maturare una decisa avversione verso la politica dell’egemonia culturale ma gli aveva anche trasmesso l’idea secondo cui la vita politica ha una struttura complessa in cui le idee circolano e si sviluppano anche indipendentemente da chi le ha lanciate, e vari segmenti sociali si sovrappongono e si fondono; ragion per cui è necessario a volte acquisire una visione un po’ disincantata, un po’ trasversale e fuori della mischia polemica intorno a differenze, magari minime ma spesso vissute come decisive, insomma un posizionamento dal quale si può prendere d’infilata la prospettiva storica che consente di guardare avanti e far progredire il movimento. È la sua maniera di essere intellettuale organico – o attivista, che per lui erano la stessa cosa.

La Calusca era sede di comitati di lotta, punto di riferimento per tutte le eresie di movimento, libertarie e marxiste, femministe e omosessuali, per una miriade di collettivi di base e controculturali, e già negli anni Ottanta era uno dei luoghi di diffusione delle edizioni post-situazioniste dell’Encyclopédie des Nuisances (notoriamente intransigenti nella scelta dei collaboratori), come si può evincere dagli indirizzari riportati sui loro fascicoli, questo per dire che già allora la Calusca era uno snodo riconosciuto internazionalmente, in Europa e non solo, proprio grazie al lavoro di collegamento fra realtà di movimento diverse. Tutto questo lavorìo, questa volontà di fare rete, nasceva da un’estrema ampiezza di vedute e da una grande curiosità, aspetti che hanno caratterizzato Primo fin da quando era ragazzo e che lo hanno poi sempre accompagnato. Mettere il naso direttamente nelle cose, senza passare dalla doxa dei gruppi, che erano pur sempre dei dispositivi di controllo della produzione e circolazione delle idee. Le proposte editoriali della Calusca erano aperte e inclusive, ma Primo rifiutò più volte inviti a boicottare talune pubblicazioni perché non in linea con l’uno o l’altro gruppo politico.

Qual è la consistenza attuale dell’Archivio?

Nel corso degli anni si sono aggiunti parecchi fondi di materiale librario e archivistico, ciò significa che ci sono stati affidati dei materiali perché fossero messi a disposizione, come stiamo facendo con le carte di Primo, e questo ci sembra un riconoscimento del lavoro svolto in questi vent’anni, per quanto lento e manchevole abbia potuto essere. Con l’acquisizione di questi nuovi materiali si è posta la necessità di riorganizzare gli spazi, rinforzare il gruppo di persone che lavorano al progetto. Molto importanti sono anche alcuni fondi di natura giuridica con molti faldoni di processi politici, una fonte preziosa per la ricostruzione storica di varie vicende di movimento. È tutto materiale che va catalogato e archiviato, altrimenti rimane muto e non può essere valorizzato, sarebbe come non averlo. Molti sono i ricercatori italiani e stranieri che frequentano l’archivio, come anche gli attivisti e gli studenti che nel corso degli anni hanno contributo alla catalogazione. Guardando avanti, dopo il riconoscimento ottenuto e cercando costantemente di superare la soglia critica della catalogazione dei nuovi materiali, pensiamo che sarà necessario valutare altre donazioni. Oltre alle sezioni dedicate alla documentazione cartacea, è stata aperta anche una raccolta di materiale testimoniale, registrazioni, interviste, filmati. Per contenere tutto questo materiale, oltre ai nostri spazi, abbiamo ricevuto un’aula in comodato d’uso a titolo gratuito all’interno di una scuola del quartiere e uno spazio messo a disposizione da RiMaflow (la fabbrica autogestita e senza padroni che ormai ha dieci anni di vita). Nondimeno il problema degli spazi è lungi dall’essere risolto. L’aula della scuola ci ha dato un po’ di respiro, ma saremmo messi male se dovessero chiudere gli studi degli avvocati che negli anni hanno seguito i processi politici, le vertenze per la casa, le occupazioni, eccetera… e che ne conservano la documentazione, materiali importantissimi perché sono la concrezione non solo di un’intera stagione di lotte ma anche di nuovi modi di fare attività forense, dentro la politicizzazione e la critica delle professioni che seguì il ’68 e che si articolò sul tutto l’insieme delle figure professionali, dal medico al geologo, dall’artista all’avvocato, appunto, che prese a fare difesa politica in maniera diversa da prima. La situazione di difficoltà, in merito alla conservazione dei documenti, è tale per cui pure gli avvocati che hanno sensibilità verso questi argomenti non sono mai riusciti a organizzarsi per valorizzare questi giacimenti, che sono importanti anche perché, ricordiamolo, le carte degli avvocati sono più ricche delle mere documentazioni giudiziarie.

L’Archivio accede a finanziamenti e contributi istituzionali?

 Non abbiamo mai avuto finanziamenti di alcun tipo, e vogliamo continuare così. Ci è sembrato invece interessante accettare una forma di “restituzione” propostaci da Marco Fusinato, un artista italoaustraliano che aveva frequentato l’Archivio per le sue ricerche. Nel 2015, per la 56ª edizione della Biennale d’arte di Venezia, il curatore Okwui Enwezor chiese a Fusinato di partecipare con un’installazione. In polemica con la mercificazione dell’arte, Fusinato decise di vendere la sua opera – un libro che raccoglieva i frutti della sua ricerca fatta in Archivio sui movimenti di rivolta italiani – non a un collezionista ma ai visitatori interessati, facendone un pezzo di materia storica, multiplo e tangibile, per ricordare che quella vicenda non è né morta né finita. Le copie del libro che costituivano l’installazione furono vendute con l’esplicita indicazione di contribuire (con la cifra, non obbligatoria, di 10 euro) all’attività dell’Archivio. Una straordinaria forma di colletta solidale. Abbiamo anche accettato una convenzione con le Università di Milano per ospitare degli studenti per lo svolgimento di stage che valgono come crediti formativi. In pratica, questi studenti portano avanti le proprie ricerche e nello stesso tempo lavorano i materiali dell’Archivio. Da queste permanenze in Archivio, iniziate per necessità universitarie, a volte sono scaturiti rapporti di collaborazione e affinità che perdurano negli anni, magari anche dopo il trasferimento all’estero, per motivi di studio o di lavoro, di questi studenti.

Esiste un coordinamento degli Archivi di movimento?

 È una vicenda complicata e annosa, ma a tutt’oggi non esiste nulla di strutturato. Si può rimandare ad alcune realtà che fanno rete: per esempio il Centro Studi Movimenti di Parma, tre o quattro anni fa, propose di realizzare una mostra comune sul ’68, gli archivi anarchici si sono associati nella rete Rebal, ma non si è mai concretata a livello nazionale una vera collaborazione tra i diversi archivi e centri di documentazione. Una delle difficoltà consiste nella differenza di status tra gli archivi, tra quelli più strutturati e quelli meno. Purtroppo ogni realtà si barcamena fra mille difficoltà e riuscire a tirare avanti è già un grande risultato, lo testimonia in modo eclatante la vicenda dell’Istituto Ernesto de Martino, che da Milano si è dovuto trasferire a Sesto Fiorentino, e per fortuna che ci fu quell’amministrazione comunale disponibile, altrimenti quello che indubitabilmente è il centro di ricerca e documentazione più importante in merito a storia sociale, antropologia, culture popolari, etnomusicologia, eccetera, non avrebbe avuto un posto. Un pezzo importante della storia culturale di Milano, oltreché nazionale, per il quale nella “capitale morale” d’Italia non si è voluto trovare una sede adeguata. Situazione simili sono successe un po’ dappertutto, forse tranne che in alcune regioni più sensibili. Se poi, quanto a sensibilità istituzionale per le “carte della storia”, paragoniamo la situazione italiana con quella francese c’è da deprimersi! Altro rapporto di collaborazione continuativo – ma forse sarebbe meglio dire di confronto e scambio – è quello con il centro di documentazione Porfido di Torino. Anche loro sono arrivati al ventesimo anno di attività con un’impostazione articolata tra presentazioni, produzione editoriale, biblioteca, archivio. Lo stesso con i compagni napoletani della Perditempo e di Magmata.

E con la Fondazione Luigi Micheletti di Brescia?

Con la Micheletti c’è un buon rapporto di collaborazione, con alcuni cicli di conferenze organizzate assieme (ancor prima della costituzione formale dell’Archivio), come quello dedicato al revisionismo storico, o altri cui abbiamo contribuito, come quello intitolato L’ultima rivoluzione. Figure e interpreti del Sessantotto. La Micheletti è una fondazione estremamente importante, che ha una ricchissima biblioteca, che porta avanti un progetto importante e innovativo qual è il Museo del Lavoro, ma ciononostante – o vien da pensare: proprio per questo – il suo futuro è assai incerto.

Altri significativi rapporti esistono con l’Istituto Internazionale di Storia Sociale di Amsterdam. Già Primo aveva ottimi rapporti con loro, ricordo che almeno una volta all’anno veniva in Calusca un incaricato dell’Istituto per farsi consigliare da lui quali titoli acquisire. Ancora in merito alla sensibilità istituzionale, anche nel caso olandese la situazione è imparagonabile con quella italiana. La storia dell’Istituto di Amsterdam, che si colloca negli svolti più drammatici della “grande storia” del Novecento e ne risuona profondamente, è raccontata in un bel libro intitolato Le carte della rivoluzione, di Maria Hunink, pubblicato in Italia dalle edizioni Pantarei.

Infine, cerchiamo di tenere vivi anche rapporti di collaborazione e scambio con i detenuti, per fatti legati alle lotte passate ma anche recenti. Sulla detenzione (politica e non) abbiamo creato la sezione “Abolizionismo” del nostro sito e abbiamo curato l’edizione italiana di un testo di Nils Christie, Una modica quantità di crimine, pubblicato nel 2012.

Oltre a quelle fin qui menzionate, esistono altre collaborazioni che vuoi segnalare?

Sicuramente è da segnalare la collaborazione con Cesare Bermani, una delle figure più importanti della ricerca storica, sociale e antropologica. Estraneo al mondo accademico, ma autore di centinaia di testi tra libri, articoli, saggi e spettacoli, Cesare è riconosciuto come l’esponente di spicco di una tradizione di ricerca basata sull’utilizzo delle fonti orali e caratterizzata da una costante attenzione all’esperienza proletaria e alle diverse forme di espressione della cultura popolare. Qui merita di essere segnalato un libro a lui dedicato: La libera ricerca di Cesare Bermani. Culture altre e mondo popolare nelle opere di un protagonista della storia militante, pubblicato da Deriveapprodi nel 2012, alla cui curatela abbiamo contribuito. In questi ultimi tempi stiamo anche dando una mano a Bermani in vista della costituzione della sua casa-archivio, un progetto che ha difficoltà a trovare aiuti. Ennesimo esempio della micragnosità delle istituzioni italiane, quando si tratti di cultura. E ne voglio citare un altro: proprio a fianco della casa di Bermani, a Orta San Giulio, abitava l’etnomusicologo Roberto Leydi che, poco prima di morire, per non rischiare la dispersione della sua raccolta, donò l’intero archivio privato (circa 700 strumenti musicali, 6.000 dischi, 10.000 libri, 1.400 nastri magnetici) al Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona, in Svizzera. Ovviamente, invece, i soldi per il nuovo stadio di San Siro li troveranno facilmente!

Visto che abbiamo accennato al metodo storico usato da Bermani, dopo tanti anni di attività archivistica e di valorizzazione storica, avete qualche metodologia di lavoro preferita?

Grazie alla compresenza e coabitazione con Cox 18 e con la Calusca, l’Archivio si muove fra strati temporali diversi; non solo conserva documenti ma propone letture del presente e offre materiali e riflessioni sulle forme e i terreni di lotta in vista dei movimenti a venire, che incubano nell’oggi. E questi vent’anni non sono solo serviti a catalogare libri e documenti, ma sono stati vent’anni di partecipazione a lotte, oltreché convegni, dibattiti, pubblicazioni e presentazioni. Il tutto consiste nel tentativo di percorrere un doppio binario: la conservazione (attualizzata) della memoria e la comprensione del presente. Lo sforzo di comprendere le connessioni tra gli eventi passati e l’ora del giorno, con l’ipotesi di intervenire su quanto potrà accadere, è una delle nostre principali aspirazioni. Questo, in fondo, è già un metodo di lavoro. Un esempio al riguardo può essere ricavato dall’impostazione di La pentola e i coperchi. Materiali su pentitismo, dissociazione e dintorni, ricerca curata dall’Archivio, che mette a disposizione una cospicua mole di informazioni su questo campo di temi, senza commentarli, offrendo i materiali originali, dando voce ai protagonisti del tempo più che agli esegeti successivi, col risultato di riportare alla luce nodi che le recenti notizie di cronaca mostrano come continuino a essere problematici.

Più in generale, abbiamo sempre cercato di far tesoro d’un suggerimento di Bermani: valorizzare le fonti orali e, al contempo, prestare attenzione alle implicazioni che questo uso pone, in particolare, nel caso in cui dei militanti raccolgono, in un’ottica militante, le testimonianze di altri militanti. Ci troviamo qui di fronte a un gioco di internità ed esternità, adesione, critica e messa in prospettiva, che Cesare illumina bene nella postfazione all’ultima edizione della “Volante Rossa”, uno scritto che rappresenta la sintesi metodologica della sua intera attività di ricerca e risulta imprescindibile in un lavoro qual è quello che stiamo svolgendo.

Altro lato della questione: come scrivere di storia fuori del registro saggistico, ovverosia come riconnettere le vite odierne con il corso storico precedente, che allunga le sue ombre sull’oggi, ma in una maniera molto sfilacciata, rendendo necessaria quindi una sorta di ritessitura. Su quest’idea delle “lunghe ombre” negli ultimi anni abbiamo articolato almeno tre cicli seminariali – su scienza e tecnica, sul diritto e sulla storia, appunto –, è una specie di chiodo fisso.

Quindi possiamo dire che non c’è una sintesi teorica o una elaborazione originale, ci sono una serie di questioni che ruotano intorno ai criteri di scelta della fonte storica, quale uso farne, quale tipo di materiali… e, ancora, un portato etico e esistenziale alla base, cioè il rifiuto di partire dall’idea secondo cui le cose sono chiuse e consumate e c’è solo da conservarne i documenti, le tracce. No, ci sono ancora delle carte sul tavolo e si può continuare a farle girare. Come dice il protagonista de La leggenda del pianista sull’oceano, non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla.

Ecco, quindi che l’attività dell’Archivio risulta da una commistione, magari un po’ disordinata, fra piani, progettazione, improvvisazione, rettifiche, gestione dell’improba questione dei tempi, anche perché ci capita pure di avere una vita, anche a noi collaboratori dell’Archivio.

Oltre al lavoro di documentazione, ci sono state altre collaborazioni significative, magari curiose?

 Una delle situazioni più strambe e interessanti è stata quella con Emanuele N. Andreoli aka Mitra Azar, uno studente della Scuola di cinema, allievo di Torino Curagi e Anna Gorio, i due registi di Malamilano, film che realizzarono con l’aiuto di Primo, e di Flavio Vida. Come saggio di fine corso questo ragazzo realizzò un’installazione davvero bizzarra: coprì di sacchi neri per la spazzatura l’intero Archivio e vi approntò un buffet con cibo per cani, servito da homeless, e videoregistrò le reazioni dei visitatori, che accedevano uno alla volta alla saletta così allestita. Finita la scuola di cinema, questo ragazzo iniziò a girare il mondo raggiungendo situazioni particolari e registrandone gli eventi. Ora è uno degli animatori di Lava (https://lavaletters.org/), un progetto interattivo molto interessante che cartografa i conflitti e i moti insurrezionali a scala planetaria. Questo è un esempio di collaborazione che ha dato frutti imprevisti e continua a darne, con scambi e ritorni da entrambe le parti.

Ci sono altre collaborazioni significative, come quella con la rivista di filosofia Mille piani, diretta da Tiziana Villani, con la quale periodicamente si organizzano presentazioni e seminari; e ci sono state collaborazioni per l’allestimento di alcune grandi mostre, come BHAP (Beat Hippy Autonomi Punk) o con importanti riviste di settore interessate alla grafica dei decenni passati. Come si sa, la grafica ha costituito uno dei terreni di innovazione più significativi degli anni della contestazione, attraverso esperienze che ancora oggi sono oggetto di studio e riscoperta. Frequenti sono anche le visite di studio da parte di corsisti delle Accademie di Belle Arti milanesi, sia di Brera sia della NABA. Le mostre alle quali siamo invitati a collaborare attraverso il prestito di materiali – come, per esempio, Inarchiviabile, organizzata da Marco Scotini – sono sempre l’occasione per riflettere sulle modalità e il senso di questi progetti. L’aspetto relazionale, di rete e tessitura con varie realtà è una delle caratteristiche salienti della Calusca e dell’Archivio. Del resto, siamo convinti che di rete se ne faceva più negli “anni ribelli”, quando essa funzionava praticamente come insieme di legami di solidarietà sul piano politico ed esistenziale, di quanto se ne faccia al giorno d’oggi, allorché il termine rete è molto usato, ma la sua consistenza non è poi ’sto granché. Insomma, è uno dei tanti discorsi, quando non invece una vera e propria trappola.

Un’altra interessante e bella collaborazione è quella con le scuole, fatto apparentemente strano per un archivio, ma in realtà no, se si pensa all’interesse di Primo per la trasmissione dei saperi, per le esperienze teoriche e di lotta in campo pedagogico – come L’Erba voglio di Elvio Fachinelli. Nel 2008 contro la riforma Gelmini ci fu un importante movimento di lotta, e con alcuni dei suoi partecipanti organizzammo il Free festival delle bambine e dei bambini realizzando laboratori, giochi, presentazioni di esperienze didattiche alternative, anche dall’estero, per cui utilizzammo gli spazi delle scuole e quelli del Cox. Importante è anche Il sogno di una scuola. Lotte ed esperienze didattiche negli anni Settanta: controscuola, tempo pieno, 150 ore, un bel lavoro di Maria Luisa Tornesello, che contiene anche l’audiovisivo Oltre il libro di testo: parole ed esperienze di opposizione nella scuola dell’obbligo degli anni Settanta. Tutte iniziative importanti anche perché hanno creato un collante con il quartiere.

La collaborazione con Colibrì edizioni e con Renato Varani e con altre realtà editoriali vicine ai movimenti, come Agenzia X, Deriveapprodi, DinamoPress…

Varani è un pezzo di storia della Calusca, prima di divenire responsabile della distribuzione libraria Punto rosso e poi animatore della Colibrì, una casa editrice con cui sia Calusca City Lights sia l’Archivio hanno pubblicato diversi libri. Anche altre case editrici hanno con noi un forte legame, in particolare Agenzia X, i cui promotori provengono dall’esperienza di Cox 18 e coi quali esiste tutt’ora uno scambio proficuo, a iniziare dalla rassegna Slam X.

Eventi, concerti, presentazioni, convegni… ci vorrebbe un libro solo per dare conto di tutte queste iniziative e delle forme di vita che le presuppongono…

Già. Mixando il lavoro di archivio e l’impegno politico si impara molto, in quanto ci si abitua a percorrere avanti e indietro archi temporali anche molto ampi e a soffermarsi su passaggi, vicende e figure anche molto diverse tra loro ma sempre dense di storia e di vissuti, tralasciando il polpettone mediatico di informazioni ripetitive, ma prestando invece attenzione alle singolarità, ai rapporti fra esperienze, movimenti e idee. Ecco, se si riesce in quest’opera di sottrazione e scelta, si può attingere una profondità di visione in cui è più facile trovare il filo rosso che unisce eventi storicamente distanti. Quando riusciamo a compiere questo doppio movimento, le idealità che abbiamo, e ci teniamo ben strette, come riferimento entrano in tensione e si dinamizzano.

NOTE

SU PRIMO MORONI:

Primo Moroni (1936-1998) è stato un singolare libraio, scrittore e attivista politico, una figura fondamentale dei movimenti rivoluzionari e controculturali dagli anni Sessanta agli anni Novanta. Su e di Primo Moroni segnaliamo almeno:

* Geografie della rivolta. Primo Moroni, il libraio del movimento (210 pagine, 2019, edizioni Dinamopress – con la collaborazione di libreria Calusca, Archivio Primo Moroni e Cox 18) – è una preziosa raccolta di materiali che – assieme a L’orda d’oro 1968-1977. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, firmata assieme a Nanni Balestrini – restituisce la complessità dell’operare di Primo Moroni e offre uno spaccato sulle grandi e piccole trasformazioni che hanno attraversato quarant’anni, dagli inizi degli anni Sessanta, passando per il “lungo ’68”, fino ad arrivare alle soglie del movimento altermondialista;

* Da “Don Lisander” alla “Calusca”. Autobiografia di Primo Moroni, Cox18 Books, 2006

* l’articolo di Benedetto Vecchi su Alias/Il Manifesto che introduceva la ripubblicazione di tre articoli scritti da Moroni per il Manifesto, negli anni Novanta / https://ilmanifesto.it/primo-moroni-il-metodo-politico-di-fare-rete/

* il dossier di Machina rivista: https://www.machina-deriveapprodi.com/post/senza-fine-con-primo-l-orda-d-0ro-galoppa?fbclid=IwAR1ux2wfmKQ_duvXfE2OZm05jV2XMrQJJw-hXr4TUzCyUDZr-QNOJLp_Urg

* e ovviamente il sito dell’Archivio: https://www.inventati.org/apm/

SULL’INSTALLAZIONE DI MARCO FUSINATO ALLA 56A BIENNALE DI VENEZIA

https://www.google.com/search?https://www.inventati.org/apm/index.php?step=fusinato

*  https://cox18.noblogs.org/libri/from-the-horde-to-the-bee/

MATERIALI PUBBLICATI E CURATI IN TUTTO O IN PARTE DALL’ARCHIVIO PRIMO MORONI

* Weathermen, Prateria in fiamme, edito nel 1977 dal Collettivo Librirossi e reprintato, con una nuova postfazione, da Calusca City Lights, Archivio Moroni e Cox 18, Milano, 2004.
* Archivio Primo Moroni – Collettivo La Commune, Treni sorvegliati Rifugiati italiani, vite sospese, Colibrì, Paderno Dugnano, 2008.
* Bill Ayers, Fugitive days. Memorie dai Weather Underground, Cox 18 books.
* Cesare Bermani, La Volante Rossa, Colibrì, Paderno Dugnano (MI), 2009.
* Archivio Primo Moroni, L’ergastolo è un delitto, APM, Milano, 2010.
* Maria Luisa Tornesello, Il sogno di una scuola, lotte ed esperienze didattiche negli anni Settanta: controscuola, tempo pieno, 150 ore, Petite pleisance, Pistoia, 2006.
* Cox 18, Archivio Primo Moroni, Calusca City Lights, Storia di un’autogestione. Testimonianza breve e sintetica, dal 1976 a metà degli anni ’90, dei collettivi che hanno gestito via Conchetta 18 a Milano, Colibrì, Milano, 2010.
* Nils Christie, Una modica quantità di crimine. Società mono-istituzionale e cultura della pena, Colibrì edizioni, Milano, 2012.
* Emiliana Armano e Devi Sacchetto, La conricerca contro l’industrializzazione dell’umano. Breve nota sul convegno: Romano Alquati. Immagini e percorsi soggettivi e collettivi di una ricerca, revisione a cura dell’Archivio Primo Moroni, ottobre 2013.
* Cox 18, Archivio Primo Moroni, Calusca City Lights, non aver paura… Ti porto io. Racconti di bambini in autogestione, marzo 2017.

*  Danilo Montaldi, Saggio sulla politica comunista in Italia, Colibrì edizioni, 2016

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