Di fronte alle pessime immagini provenienti ieri da Roma, proviamo a mettere da parte l’inevitabile nausea provocata dall’ipocrita retorica di regime di queste ore. Soprattutto proviamo ad accantonare momentaneamente le giuste considerazioni sul ruolo che da tempo svolgono i sindacati confederali, pienamente dentro la logica sistemica, così come il lungo percorso involutivo compiuto dal maggiore sindacato italiano, una retromarcia che affonda le radici negli anni Settanta, con la svolta dell’allora segretario generale Luciano Lama all’EUR, e la relativa politica dei sacrifici, per arrivare al 1992 e alla concertazione concordata con il governo Ciampi.
Proviamo invece a ragione su che segnali manda l’assalto fascista alla sede nazionale della Cgil.
1 – Non sappiamo se la cosa sia stata pianificata a tavolino o sia frutto di un’azione spontanea. Propendiamo per la prima ipotesi. È chiaro che fino a non molto tempo fa una scelta simile i fascisti non l’avrebbero potuta compiere. Non c’è bisogno di andare alla stagione di lotte del dopo Autunno Caldo. È sufficiente volgere lo sguardo all’inizio del nuovo millennio, ai movimenti di quegli anni, alla folla oceanica del Circo Massimo del 2003.
Se oggi accade ciò che abbiamo visto è perché il contesto lo consente. Più volte abbiamo sottolineato lo sdoganamento nei confronti del neofascismo ed è inutile ricordarlo. Del resto proprio in questi giorni assistiamo ad un grottesco dibattito dopo l’ennesima vicenda che evidenzia come uno dei maggiori attuali raggruppamenti politici – guidato da una segretaria il cui libro autobiografico è da mesi in testa alle classifiche dei testi più venduti – sia un covo di nazisti e fascisti di varia pasta.
Ma bisogna anche interrogarsi sul perché una svolta reazionaria sia stata possibile, a partire anche dagli errori commessi dai principali soggetti della scena politica e sociale, sindacati compresi.
2 – È presumibile che la forzatura di ieri da parte di Forza Nuova le costerà cara. Già ci sembra ci siano i primi segnali, ma non è questo il punto.
Certamente le mobilitazioni di massa favoriscono talvolta alcune derive caotiche, anche perché, come abbiamo visto svariate volte, siamo certi che Forza Nuova non possiede una forza d’urto del genere. Quindi l’accaduto di ieri non va sottovalutato, in termini numerici, ma soprattutto politici. Al netto di tante contraddizioni che le piazze No Green Pass hanno espresso in questi mesi, ci sembra evidente la chiara disponibilità a orientarsi in senso reazionario di queste mobilitazioni, che intercettano sì una certa “rabbia sociale”, la quale però vede, a questi livelli, l’indubbia egemonia dell’estrema destra.
È stato giustamente rilevato come tutta la vicenda Green Pass sia stata una straordinaria arma di distrazione di massa. Una calamita che ha sviato l’attenzione dai gravissimi problemi sociali derivati dalla pandemia, da ciò che il governo passato e quello attuale non hanno volutamente fatto nell’ambito della sanità pubblica, dell’istruzione pubblica fino all’investitura data dalla Confindustria pochi giorni fa a Draghi, dopo aver incassato, come ricordato, il semaforo verde per licenziare. Dunque un provvedimento contraddittorio, solito compromesso in salsa tricolore per non sciogliere l’inevitabile nodo dell’obbligo vaccinale, e alimentare un falso conflitto, congeniale all’establishment e ai suoi commessi dell’informazione, per citare una efficace espressione di Gramsci.
Quindi la partecipazione di ieri alla mobilitazione romana ancora una volta ci interroga sulle necessità di intaccare le dinamiche fuorvianti, convogliando il diffuso malessere sociale nella giusta direzione, sottraendolo al tentativo egemonico dell’estrema destra in tutte le sue vesti, anche in quella istituzionale di Fratelli d’Italia.
3 – E qui torniamo al ruolo della sinistra sociale la cui salute, come è noto, è da tempo precaria.
Ma in quest’ultima fase alcuni segnali di inversione di tendenza ci sono arrivati: dall’aggregazione verificatesi intorno alla coraggiosa lotta degli operai della GKN, alle mobilitazioni di migliaia di giovani sulla questione climatica. Manifestazioni che ancora non riescono a dare vita a una relazione ben strutturata tra “lavoro e ambiente”, a un rapporto fecondo come in passato abbiamo assistito in momenti in cui il conflitto vero e reale si dispiegava, dando vita a percorsi virtuosi stabili e portatori di crescita politica. Riuscire ad aggregare questi fronti, dare sostanza a quel possibile embrione di blocco sociale che in qualche modo si è manifestato nel corteo nazionale di Firenze di qualche settimana fa o nelle mobilitazioni di Milano: è questa la scommessa che ci attende nei prossimi mesi.
Lo sciopero nazionale di domani dei sindacati di base sarà una possibile, importante tappa.