Never trust a (Pre)Cop

Un testo di Rise Up 4 Climate Justice dopo le giornate di mobilitazione nei giorni della Pre-Cop di Milano. Nella parte finale viene lanciato un climate meeting questo autunno e una call for activists.

Abbiamo disturbato la Pre-COP e abbiamo fatto bene

1. La transizione ecologica non è una stretta di mano

La pre-COP di Milano è riuscita, in un colpo solo, a mettere in scena un grandioso teatro di green, black youth washing. Le istituzioni hanno provato a rendersi inattaccabili dando voce a giovani attivistə impegnatə nella lotta al cambiamento climatico provenienti da tutto il mondo. A questə giovani è stato chiesto di fornire soluzioni.
Come se le piazze in cui siamo statə, i comitati con cui abbiamo lottato, in tutti questi anni non avessero fatto esattamente questo: fornire soluzioni. La pre-COP è riuscita a dimostrare la sordità delle istituzioni di fronte alla crisi climatica, e non basterà una stretta di mano per cancellare decenni di colpevole inazione.

2. Il blabla non è più il discorso dominante

La crisi climatica non può più essere descritta solo in relazione ai fenomeni atmosferici intensi, la sostenibilità delle abitudini individuali non può essere descritta come la soluzione del problema. A Milano (e non è una novità), le piazze hanno parlato di sistemi economici, greenwashing, decolonizzazione, diritti sociali e alla salute, di lavoro di cura, di patriarcato, di antispecismo. Il discorso climatico è radicale: non accetta compromessi, non tollera mediazioni. Il capitalismo è il problema e come tale va trattato.

3. La comunicazione mainstream ha scoperto l’anticapitalismo

Nonostante la presenza di Greta Thunberg, nonostante le conferenze stampa di ministri e premier, la prima notizia sui giornali e sui telegiornali siamo statə noi, sono stati i movimenti. Le soggettività e le realtà che hanno animato il campeggio e, soprattutto, hanno occupato la città non hanno solo aperto nuove prospettive al movimento climatico, ma si sono riappropriate degli spazi della comunicazione mainstream nazionale. Si è rotta la narrazione di una gioventù moderata, che chiede timidamente provvedimenti per l’abbattimento delle emissioni climalteranti e ripone cieca fiducia nelle istituzioni.

4. Le banche hanno tutto a che vedere con la crisi climatica

L’occupazione di Piazza Affari durante le giornate della pre-COP è stata paradigmatica: una acampada che ha messo a nudo le responsabilità delle speculazioni finanziarie nella crisi climatica. I dati ci dicono che finanziare l’industria del fossile è ad oggi un investimento redditizio, conveniente: le banche scommettono sulla crisi climatica e ne traggono profitto. 

Eppure non sono le banche a pagare i costi della transizione ecologica, né le multinazionali dell’oil and gas. Siamo noi, attraverso i rincari sulle bollette. I costi di riparazione vengono ancora una volta scaricati verso il basso, mentre chi per decenni ha tratto profitti inquinando e devastando il pianeta continua indisturbato ad arricchirsi.

5. Oltre la solidarietà c’è l’intersezionalità

La produzione industriale non è sostenibile. La logistica non è sostenibile. L’agroindustria non è sostenibile. Questo significa che il lavoro di oggi, in larghissima parte, alimenta la crisi climatica. La soluzione, evidentemente, non può essere il licenziamento di massa: per questo i movimenti climatici hanno assunto come terreno di battaglia la redistribuzione delle ricchezze. La contrapposizione tra ambiente e lavoro va scardinata, così come va superato il conflitto lavoro/salute: giustizia climatica, diritto alla salute e reddito non sono condizioni alternative, ma obiettivi che devono convergere.

6. Se ci bloccano il futuro…

Quale futuro c’è su un pianeta in fiamme? Con che prospettive studiamo, lavoriamo, costruiamo relazioni se tra 9 anni (!) potremmo avere la certezza dell’estinzione? Questo futuro ci è stato sottratto per garantire il diritto a trivellare, a bruciare, a coltivare, ad allevare di una manciata di amministratori delegati.

7. …noi blocchiamo la città

Di fronte a questo scenario, invadere e riempire le piazze climatiche è fondamentale, ma lo è ancora di più l’azione diretta. Tocchiamo i responsabili, blocchiamo le sedi, invadiamo le miniere, occupiamo le raffinerie. Usiamo i nostri corpi e le nostre voci per accendere i riflettori sulla crisi climatica e per causare danni economici ai colpevoli. Discutiamo un action consensus e pratichiamolo: finora siamo rimastə inascoltatə, costringiamoli a sentirci. A Milano l’azione diretta è stata la cifra costante delle contestazioni alla pre-COP: blocchi diversi, costruiti da realtà diverse, con un unico obiettivo comune ed egualmente radicale. La forza delle contestazioni è stata proprio questa, occorre farne tesoro.

8. “Pensare globale”: il sapere non è nulla se non è condiviso

Il lavoro territoriale (act local) produce tantissima conoscenza: un bagaglio di sapere che può essere utile ad altre esperienze, o che da altre battaglie può ricevere nuova linfa. Altrettanto importante è lo sguardo di chi legge la crisi climatica: le prospettive di soggettività non eteronormate, razzializzate, diversamente abili sono fondamentali nella costruzione di una prospettiva realmente intersezionale e complessiva.

9. Verso un Climate meeting

A Milano le diverse iniziative e azioni hanno parlato lo stesso linguaggio: ma quante parole non abbiamo ancora condiviso? La complessità delle cause e degli effetti della crisi climatica è tale che ogni giorno impariamo qualcosa. Per questo abbiamo deciso di costruire un climate meeting questo autunno, per condividere letture e analisi, per costruire discorsi comuni, per individuare nuovi piani di lavoro. Costruiamo insieme questo appuntamento!

10. Call for activists: unisciti a Rise Up!

Rise Up non è uno spazio chiuso, anzi. Un anno fa abbiamo scritto un manifesto che spiega qual è il nostro obiettivo e come lo raggiungeremo. Chiunque si riconosca in quei punti può entrare a far parte di questo spazio: per questo in vista dei prossimi appuntamenti vogliamo organizzare un’assemblea aperta, in cui conoscerci e riprendere insieme il percorso che abbiamo iniziato a Milano.

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