La crescita infinita non fa bene al pianeta. E neanche all’umanità. Parte Seconda

Contributo a cura del Gruppo Tematico Economia & Decrescita (*)

La prima parte di questo articolo è disponibilie QUI

COSA OCCORRE CAMBIARE NEL SISTEMA PER RENDERE LA CRESCITA NON PIU’ NECESSARIA

La cosa fondamentale da cambiare è il modello culturale che riconosce per ricchezza solo ciò che è realizzato col lavoro produttivo retribuito e disconosce (quando non denigra) tutta la ricchezza delle attività umane di cura e riproduzione e, soprattutto, l’idea che queste producano ricchezza solo se sono mercificate.

Occorre che ciascuno si convinca che essere un onesto lavoratore (avere cioè un lavoro retribuito che procuri un giusto ed equo reddito) è (forse) necessario ma assolutamente insufficiente per essere considerato un buon cittadino.

Occorre che ciascuno apprezzi la bellezza di un giardino o l’ordine del cortile di una scuola non perché è stato ben pulito (e cioè perché l’amministrazione comunale può permettersi di pagare ed è capace di far lavorare efficacemente giardinieri e spazzini) ma perché non è stato sporcato e deturpato.

Occorre d’altra parte che ognuno non consideri al momento di ogni acquisto solo il rapporto qualità/prezzo (e tanto meno solo il prezzo) ma che, dopo aver valutato attentamente se quell’acquisto gli procurerà veramente benessere (pare che già Aristotele andasse al mercato per vedere tutte le cose …… di cui non aveva bisogno), si chieda chi, dove, in quali condizioni, usando quali risorse, producendo quanti e quali rifiuti, ecc…. ha contribuito a quella produzione e reso possibile a lui di acquistarlo.

Ma soprattutto occorre che fra ciò che è pubblico e ciò che è privato sia inserito un cuneo che insinuandosi nelle piccole fratture del sistema, renda evidente la necessità e possibile esistenza dei Beni Comuni cioè di quelle “cose” (materiali ed immateriali) che realizzate, gestite, manutenute e fruite collettivamente contribuiscano, in maniera sostanziale, alla ricchezza delle comunità ed al loro benessere.

Solo in questo modo, infatti si potranno ridurre le esigenze di risorse da parte del “pubblico” e quindi la necessità della crescita del “privato”.

L’unico modo che consente di rallentare la giostra senza distruggere il sistema socio-economico è quello che passa dalla sostanziale (quando non completa) demercificazione di buona parte della produzione di beni e servizi ora “appannaggio” del pubblico e di alcuni (per altro di recentemente e  massiccia mercificazione) del privato: quelli cioè necessari a garantire a ciascuno una vita dignitosa. Tutti i beni primari (acqua, energia, mobilità, alloggio, cibo, ecc….) e tutto il sistema che attualmente va sotto il concetto di welfare (educazione, formazione, salute, cura delle relazioni di comunità) da estendere non solo all’umano ma a tutto il vivente ed anche al territorio inanimato.

E’ un passaggio difficile anche solo da immaginare ma che è facile riscontrare da una attenta lettura della storia o da una corretta interpretazione di quello che ancora accade (o sta faticosamente tentando di tornare ad accadere) in varie parti del pianeta.

Non c’è altro modo per rallentare la giostra cercando di evitare quanto più possibile danni ancora non avveratisi e ridurre, il più rapidamente possibile, quelli in corso in giro per il pianeta a persone, animali, vegetali e territori.

L’alternativa è la catastrofe: non è detto che si arrivi all’estinzione dell’umanità ma sicuramente a questa non sopravviverebbero che una piccola frazione degli attuali circa 8 miliardi di umani e di tutte le altre forme viventi (peraltro già in rapida riduzione in ogni dove) e le condizioni di vita, per tutti, sarebbero ben diverse e sicuramente peggiori di quelle attuali.

COME E’ POSSIBILE INNESCARE QUESTI CAMBIAMENTI ATTRAVERSO UN PERCORSO DI DECRESCITA

La decrescita è un percorso contemporaneamente individuale e collettivo che elogia la lentezza e l’ozio creativo, che opera per il “meno e meglio”, che si basa sulla condivisione e sulla convivialità, che aborra lo spreco e si libera del superfluo, che non rinuncia per motivi etici o ambientali ma perché “si sta meglio senza”.

Dalle pratiche individuali di autoproduzione e riparazione in contrapposizione all’acquisto, passando per i momenti e gli usi comuni e collettivi, con atteggiamenti cooperativi invece che competitivi, si può facilmente riscoprire il valore del contribuire costruttivamente al bene comune della/e propria/e comunità ai vari livelli, fino all’impegno sindacale, sociale, amministrativo e politico, inteso come servizio e non come mestiere (e tanto meno come potere).

La partecipazione ad un GAS, la costituzione di un repair cafè, l’istituzione di una officina collettiva, lo scambio non mercantile o il dono di oggetti e servizi negli swap party, la presa in carico di un bene pubblico dismesso, la condivisione di spazi di cohousing, la messa in comune di mezzi di trasporto, la creazione di banche del tempo e monete locali, sono sperimentazioni di quella rinascita dei beni comuni e collettivi cui si è fatto riferimento poc’anzi. A differenza di quanto accade oggi, dove già tante esperienze di questo tipo sono presenti nella vita di molti di noi, qui si tratta di creare le condizioni per cui ciascuno sperimenti contemporaneamente tutte queste esperienze, poichè solo in questo modo è possibile attivare il cambiamento nella dimensione e con la consapevolezza sistemica necessaria.

Ma per affermare diffusamente ciò, sono indispensabili alcuni passaggi fondamentali, primo fra i quali l’introduzione di un reddito di base universale ed incondizionato (simile a quello proposto dalla “Iniziativa europea per un Reddito di Base incondizionato”  https://eci-ubi.eu/) che liberi dal ricatto occupazionale e renda possibile l’istituzione di un “lavoro civico” (ovviamente) in modo gratuito, continuativo ed organizzato, e cioè non occasionalmente come l’attuale volontariato. Tale lavoro sarà utile a realizzare, gestire e manutenere i beni e servizi comuni e collettivi e più in generale a demercificare (almeno in parte) l’erogazione di quei servizi e beni “pubblici” che ora richiede la continua crescita economica perché da essa, tramite la tassazione, trae sostentamento.

Beni e servizi che quindi continuerebbero ad essere resi disponibili gratuitamente a tutti, e grazie alla loro (pur parziale ma sempre più estesa) demercificazione, potrebbero essere resi disponibili  gratuitamente nelle quantità indispensabili ad una vita dignitosa acqua, energia, TLC, mobilità, ecc….. Lasciando al lavoro retribuito ed al mercato tutto ciò che esula da questi livelli di base. Ma il motivo principale per cui è utile l’istituzione del “lavoro civico” è che esso rende consapevoli tutti di cosa è necessario per far funzionare la comunità, rafforza le relazioni al suo interno e, soprattutto coinvolge tutti nei processi decisionali e gestionali relativi a quei beni e servizi (comuni e collettivi) cui tale lavoro è dedicato, realizzando processi di democratizzazione e condivisioni delle decisioni  relative a cosa, quando, come e perchè produrre. Insomma democraticizza l’economia.

Un piccolo assaggio di cosa potrebbe accadere lo stiamo vivendo in molti in questo periodo di pandemia, grazie al sostanziale ravvicinamento fra luoghi di lavoro e luoghi di residenza, a seguito della massiccia introduzione del “lavoro agile”. La tradizionale disattenzione dei residenti nei quartieri dormitorio e (soprattutto) nei borghi ingigantiti attorno alle città, verso le dinamiche e le esigenze delle comunità che li abitano, comincia ad essere sostituita da una ben maggiore disponibilità all’impegno civico ed al mutuo supporto collaborativo che, nel tempo, se il “lavoro agile” continuerà ad essere strutturalmente utilizzato, porterà sicuramente alla riduzione di tanti bisogni di servizi mercificati, indotti proprio dalla distanza fra luogo di residenza e luogo di lavoro e che costituisce una concausa importante della disgregazione sociale e dell’individualismo imperante.

E poiché il percorso è lungo ed il tempo a disposizione breve, altre misure strutturali saranno necessarie per frenare la crescita. Innanzitutto occorre una profonda revisione del sistema fiscale che sia fortemente progressivo (per penalizzare i “superlavoratori superpagati”), ma soprattutto che disincentivi pesantemente i consumi individuali eccessivi (a partire da quelli di cui sopra resi disponibili gratuitamente fino ad una certa soglia) e di quelli “di lusso”, con particolare riferimento a quelli ad alto impatto ambientale (si pensi ad esempio all’acquisto, possesso ed utilizzo di velivoli privati) la cui presenza sul mercato è oggi tollerata quando non giustificata in virtù proprio del loro contributo alla crescita ed all’occupazione.

Nel contempo si tratterà, tra l’altro, di rivedere completamente lo scopo del sistema formativo (almeno fino al livello universitario) ora fortemente orientato alla preparazione di futuri lavoratori specializzati verso una costruzione dell’individuo, come componente attivo della comunità di appartenenza.

Ma anche su altri fronti (qui omessi per brevità) occorrerà operare per questa trasformazione culturale epocale. Lo scenario, qui appena tratteggiato e di cui i circoli del Movimento per la Decrescita Felice sono piccoli esempi di sperimentazione, prefigura una società profondamente diversa da quella attualmente dominante nell’immaginario collettivo occidentalizzato che si spera possa essere colto nei suoi elementi positivi ed innovativi.

Il momento del cambiamento è ora. Il sistema si sta già organizzando per proseguire sulla strada di sempre (ed i “piani di ripresa e resilienza” ne sono la lampante dimostrazione; tutti, ma quello italiano in particolare). Occorre approfittare e cambiare strategia: non è più sufficiente rincorrere il sistema e provare a mettere delle pezze qua e là; è il momento di costruire il nuovo sistema in parallelo al vecchio, per essere pronti a sostituirlo quando questo crollerà.

(*) Gruppo Tematico Economia & Decrescita MDF

Il Gruppo Tematico è nato nel giugno 2015 allo scopo di affrontare il rapporto tra Decrescita ed Economia in modo sistematico, sia a livello microeconomico (proposte economiche in ambiti specifici) che a livello macroeconomico (definizione dei parametri che possono caratterizzare uno scenario economico con un impatto ecologico sostenibile).

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