di Marco Bertorello e Danilo Corradi, Cadtm Italia*
articolo pubblicato su il manifesto del 5.02.2022 per la rubrica Nuova finanza pubblica
Superato il demoralizzante spettacolo della elezione del Presidente della Repubblica il governo dovrebbe tornare al lavoro, probabilmente in un quadro di crescenti fibrillazioni e di maggiore competizione tra i partiti della maggioranza. Torneranno sotto i riflettori alcuni dossier giudicati urgenti a partire dalle cosiddette riforme. Termine alquanto ambiguo che negli ultimi decenni si è quasi sempre tradotto, quando si è riusciti a dargli concretezza, in passi indietro in termini di equità e democrazia. I temi sul piatto sono principalmente di natura economica.
Il quadro mondiale è particolarmente incerto e instabile. Il passaggio di fase delle politiche monetarie intrapreso negli Usa prevedibilmente avrà un seguito anche in Europa, ma gli effetti, la velocità e la reversibilità di questo nuovo orientamento saranno da verificare sul campo. Si navigherà a vista, cercando di contenere le spinte inflazionistiche e contemporaneamente di non uccidere una crescita tutta da consolidare.
Un po’ di inflazione è considerata utile nel contenere la crescita di un debito pubblico che in molti paesi tocca ormai livelli eccezionali anche considerando i periodi bellici, ma dall’altra parte il rischio di una inflazione troppo elevata genera timori anche di tenuta sociale. In ogni caso nei prossimi mesi aumenterà la pressione monetaria.
Il denaro non sarà più a costo zero, il sistema bancario registrerà difficoltà, anche per la fine delle moratorie, e si tornerà a discutere di regole, crediti deteriorati privati e debiti sovrani.
In questo quadro va sottolineata l’inerzia complessiva dell’esecutivo, un vuoto strategico. Nel paese dove i salari sono al palo da vent’anni, l’inflazione al 4,8% rischia di divenire una tassa occulta devastante su salari e pensioni. Questo fenomeno andrebbe ad aggiungersi al trentennale processo di polarizzazione sociale, acuito ulteriormente dalla fase pandemica. I ricchi sono sempre più ricchi non solo a livello globale, ma abbiamo rispondenze anche sul piano nazionale.
La rivista Forbes ha recentemente scritto che in Italia i 40 miliardari più ricchi detengono una ricchezza pari a quanto posseduto dai 18 milioni di individui più poveri e nell’arco che va da marzo 2020 a novembre 2021 i miliardari sono aumentati di 13 unità. In questo quadro la recente riforma fiscale è riuscita nell’impresa di dare di più a chi ha già di più in termini di reddito senza intaccare rendite da patrimoni e ricchezza finanziaria. All’orizzonte non si intravede un piano orientato all’equità, nessuna intenzione di un prelievo sulle grandi ricchezze accresciutesi durante questi due anni.
Nessuna ipotesi di sostegno diretto e indiretto ai salari per determinare almeno un recupero rispetto all’andamento medio del continente delle ultime due decadi, confermando l’idea di un’ipotesi di crescita economica per il paese fondata prevalentemente su un basso costo del lavoro.
Anche sul fronte dei grandi patrimoni non c’è nessuna riflessione.
Le scelte sul bonus del 110% per interventi di edilizia determineranno di fatto un vantaggio fiscale direttamente proporzionale al patrimonio immobiliare, avendo inoltre escluso il tetto ISEE. Si demanda al Pnrr la soluzione di qualsiasi problema legato agli investimenti e alla crescita, ma la sua efficacia rischia di essere fortemente sovrastimata, soprattutto in un momento in cui la pressione per chiudere i rubinetti monetari cresce di giorno in giorno.
Riducendo le tasse sui redditi più alti e considerando ogni ipotesi, anche blanda, di patrimoniale come fumo negli occhi, come si pensa di gestire la prossima fase?
È pensabile affidarsi alla tassa occulta dell’inflazione? Si scaricheranno i costi di un debito accresciuto sulle classi sociali meno abbienti? Oppure si scommette su un’illusoria crescita da boom economico? L’Esecutivo e i partiti che lo compongono dovrebbero chiarire la loro strategia.