Un articolo di Marcos Roitman Rosenmann*, originariamente pubblicato su NoDal e tradotto per Global Project da Christian Peverieri, che analizza l’evoluzione della sinistra nei paesi sud-americani, dalla sinistra radicale e socialista alla nuova sinistra progressista cerca di rendere il capitalismo un sistema meno diseguale, rispettoso dell’ambiente, mantenendo intatte le sue strutture di dominio.
Ogni tanto nasce una nuova sinistra, e sì, sempre più a destra. L’eccezione, la decade degli anni ‘60 del novecento. Fertile nei dibattiti, arricchì il movimento di emancipazione, non solo in America Latina, ma anche nell’allora chiamato Terzo Mondo. Si prenda come riferimento, Franz Fanon e “I miserabili della terra”, un’opera decisiva per comprendere i movimenti di liberazione nazionale, la mentalità del colonizzatore e le élite cipayas[1] in Africa.
In America Latina, alla luce della rivoluzione cubana, hanno visto la luce due opere di riferimento fondamentali: “La historia me absolverá”, di Fidel Castro (1953), e “La guerra de guerrillas”, di Che Guevara. Entrambe le opere hanno gettato le basi per le lotte contro la tirannia.
Il mondo girava a sinistra.
Il movimento dei non allineati, la guerra del Vietnam, la critica dell’URSS, il rifiuto dello stalinismo, l’invasione della Cecoslovacchia, il trionfo della rivoluzione cinese, hanno posto le basi per la critica dei partiti comunisti collegati alla linea sovietica. Così è nata la nuova sinistra. Radicale, anticapitalista, insurrezionale e socialista.
I suoi principi contenevano una denuncia dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. La nuova sinistra crebbe su due fronti, quello teorico, fornendo categorie di analisi per interpretare le trasformazioni dell’imperialismo, e nella prassi politica, con l’emergere degli eserciti di liberazione nazionale, classificati come guevaristi. La sua esistenza ha aperto il dibattito sulla transizione, i modi di produzione, la riforma agraria, la sovranità nazionale, l’indipendenza economica, i processi di integrazione, le avanguardie, l’antimperialismo.
Sotto l’ombrello del pensiero marxista e dell’umanesimo la nuova sinistra è cresciuta. Il rifiuto degli approcci stagnanti del PCUS e dell’URSS furono un cavallo di battaglia. Gli esempi vanno dal Messico al Cile. Non c’era paese in cui non si accendesse la fiamma. Fu la rifondazione della sinistra. Da qui il suo soprannome: nuova. ELN, ERP, FMLN, FSLN, Tupamaros, MIR, tra gli altri.
Oggi, la nuovissima sinistra latinoamericana non gioca sullo stesso campo. Si disseta del pensiero antimarxista. I loro progetti non contemplano il socialismo. Refrattari all’anticapitalismo, inventano un modo di produzione ad hoc: il modo di produzione democratico, ecologico verde, antipatriarcale e sostenibile. Al suo interno, i rapporti di sfruttamento capitalista, la contraddizione capitale-lavoro, svaniscono. In questa logica, vale forse la pena ricordare il colloquio internazionale “Il mito dello sviluppo” a cui hanno partecipato, tra gli altri, René Dumont, Edgar Morin, Jaques Attali, Helio Jaguaribe e Cornelios Castoriadis. L’obiettivo, la critica dello sviluppo capitalista. Castoriadis ha segnato l’inizio: puoi fare quello che vuoi con le parole, ma, in breve, il socialismo ha sempre significato l’abolizione dello sfruttamento. Compiuti due decenni nel ventunesimo secolo, passando la pandemia, parafrasando Castoriadis, possiamo dire: fai quello che vuoi con le parole, ma abbandonare la lotta contro lo sfruttamento è abbracciare il capitalismo.
La nuova sinistra progressista cerca di rendere il capitalismo un sistema meno diseguale, rispettoso dell’ambiente, mantenendo intatte le sue strutture di dominio. Con le parole del programma di Gabriel Boric, un mundo turquesa[2]. Il trionfo di Apruebo Dignidad e del suo candidato Gabriel Boric, in Cile, è stato identificato come la nuova sinistra. La sua elezione suscita un’ondata di nuovi tifosi, come se fosse un calciatore eccezionale. I media e gli specialisti euforici prevedono un futuro promettente. Sarà meglio di Maradona, Pelè, Di Stéfano, Messi e Cristiano Ronaldo messi insieme. Rivoluzionerà la politica, la vita, la società. È giovane, promette bene, inoltre, ha segnato un gol a metà campo, ha ottenuto più del 50 per cento dei voti, sorprenderà con un lavoro virtuoso e vitale.
Ma nel calcio come in politica, perdonate la similitudine, i tonfi sono di solito proporzionali alle speranze suscitate. Dopo un po’, le illusioni si trasformano in frustrazione e pianto. Succede quando le aspettative si scontrano con la realtà. Ha promesso ma non ha saputo crescere; non aveva buoni allenatori; lo consigliarono male; era troppo egocentrico e si credeva un “supercrac”. In breve, chi stava per rivoluzionare il gioco, si è rivelato essere un giocatore come tanti. Ha semplicemente seguito gli ordini degli allenatori e dei proprietari di club. Ha baciato tutte le maglie delle squadre a cui apparteneva. Certo, ne ha vendute migliaia. Senza identità, si è reinventato per rimanere una grande promessa in divenire. Questa è la nuovissima sinistra latinoamericana e mondiale. Aumenta le aspettative e in seguito non arriva a nulla. Vuole conquistare il potere a tutti i costi, ma senza un progetto. Tornando all’analogia calcio e politica, possiamo dire che sono proposte associative. Cooperare per essere migliori, per associarsi per il bene comune. L’importante è giocare bene. Avere la palla, trattarla con rispetto. Senza attrezzatura, o strategia, i migliori sono peggiori. In politica, accade la stessa cosa. Per la sinistra, i principi non sono negoziabili. È inutile vincere sotto la menzogna, essere un “risultatista”. Se è importante vincere, è più importante la dignità non messa all’asta, la parola data.
Di conseguenza, possono emergere nuovi partiti politici, ma se rinunciamo a lottare contro i rapporti di sfruttamento e avanzare nella costruzione del socialismo, non resta che governare per il complesso industriale, militare, finanziario e tecnologico del capitalismo digitale. In conclusione, diamo il benvenuto alla nuovissima sinistra latinoamericana e al modo di produzione ecologico, verde, democratico e antipatriarcale. E il capitalismo? Bene grazie.
[1] Si tratta della locuzione spagnola che sta per sepoy, termine nato nel contesto dell’Impero Ottomano, poi utilizzato per truppe le coloniali inglesi in India e francesi nelle colonie del Nord Africa e progressivamente divenuto la definizione delle truppe coloniali degli imperi occidentali.
[2] La traduzione più corretta è “mondo delle favole”
*Marcos Roitman Rosenmann è accademico, sociologo, analista politico e saggista cileno. Esiliato dal 1974, risiede in Spagna.