di Wu Ming 1
Ritengo necessario fare qualche precisazione e chiarimento sulle notizie che stanno rimbalzando un po’ ovunque (anche in Italia), su un “mezzo falso storico” che in poche ore ha preso forma, e soprattutto su un equivoco in cui stanno cadendo molti commentatori, mainstream e non solo.
Che uno dei due autori delle «gocce» di Q fosse con ogni probabilità Ron Watkins era opinione diffusa tra gli “esperti” già nel 2020, tant’è che l’ipotesi è assunta nel mio La Q di Complotto. Ipotesi che si è rafforzata quando, nella primavera 2021, la HBO ha mandato in onda la serie documentaria di Cullen Hoback Q: Into The Storm, in cui Watkins veniva colto alla sprovvista e faceva una mezza ammissione.*
Che le Qdrops avessero più di un autore era dato per inteso da tempo, e anche che il gioco non fosse cominciato a opera di Watkins. Nel gennaio 2021 i risultati di una prima analisi stilometrica condotta dalla svizzera Orphanalytics avevano individuato un “cambio di mano” avvenuto nel dicembre 2017. Anche questo era già riportato ne La Q di Complotto.
Finora non c’erano indizi di rilievo su chi potesse essere l’autore delle prime Qdrops (che nell’autunno 2017 si chiamavano ancora Qcrumbs). Le recenti analisi stilometriche puntano il dito su Paul Furber. Questo è il vero elemento di novità contenuto nelle ultime news **.
È però necessario un doppio caveat: i media sensazionalizzano e banalizzano oltremodo questo genere di ricerche; ricerche che a loro volta hanno dei limiti, e possono al massimo fornire indizi, non prove. Se c’è una cosa di cui non si sente la necessità, è la fede scientista nella stilometria.
Con tanto di miracolistica retroattiva! In parole povere: di riscrittura della storia. In diversi articoli che stanno uscendo, infatti, si cita come precedente il caso Unabomber, e si scrive che già Ted Kaczynski fu identificato grazie a un’analisi stilometrica.
Detta così è mooolto stiracchiata, perché lo stile c’entra, ma la metria molto meno.
Andò infatti che il fratello minore di Ted, David Kaczynski, lesse il manifesto di Unabomber pubblicato sul New York Times, vi riconobbe lo stile del fratello, recuperò vecchie lettere che Ted gli aveva scritto e vide che alcuni passaggi erano finiti nel manifesto quasi testualmente. A quel punto indagò per proprio conto assumendo anche un investigatore privato, e infine si rivolse all’FBI. Era il 1996. Tutto molto low tech, per gli standard di oggi: parole stampate su carta, lettere scritte a mano, intuizione umana e legwork, ovvero lavoro fatto scarpinando. E soprattutto, un fratello “infame”.
Secondo molti commentatori, avere la prova – anche se a rigore, come detto sopra, una vera prova non c’è – che il fantomatico “Q” era in realtà Tizio o Caio; che non era nemmeno una sola persona, e che i veri autori delle Qdrops non erano al corrente di alcuna informazione riservata sulla presunta “Tempesta” bensì stavano cazzeggiando da mestatori… Tutto questo dovrebbe avere conseguenze devastanti sul “culto” di QAnon.
Ehm, no. Non funziona così.
Per fare l’esempio degli esempi: che i Protocolli dei Savi Anziani di Sion sono falsi si sa con certezza da più di un secolo. L’inchiesta del Times che per prima li smontò è del 1921. Eppure il libro continua a essere ristampato e citato, ed è ancora uno dei pilastri del cospirazionismo. Nessun “debunking” ha mai posto fine a una fantasia di complotto. È del tutto implausibile che queste “scoperte” mettano in crisi qualcosa che per giunta è andato molto oltre l’iniziale fantasia di complotto su “Q”.
Detta come va detta, oggi QAnon – il fenomeno che abbiamo chiamato così nel periodo 2017-2020 – con “Q” e le Qdrops non c’entra quasi più niente, e queste “scoperte” non metteranno in crisi alcunché.
Con l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 una prima fase della storia di QAnon si è chiusa. Da allora è iniziato il “post-QAnon”. Oggi siamo di fronte a un movimento molto più ramificato e complesso, che continua a mutare, che eccede i confini dell’estrema destra, e che per molti versi ha sfondato “a sinistra”, ammesso che questa metafora di moto a luogo renda ancora l’idea di ciò che accade. Ha sfondato grazie a nuclei di verità su cui fa leva e che sono negletti dal discorso dominante e dalla “sinistra” che di quest’ultimo si fa portatrice. Qui la disamina sarebbe lunga, non posso che rimandare a quanto ho cercato di esprimere nel libro, e alle riflessioni fatte su Giap negli ultimi due anni.
Certe “scoperte” hanno dunque valore scientifico, e direi storiografico, perché ci aiutano a ricostruire cos’è accaduto… ma in termini di ricadute immediate mordono la polvere: la “fuga in avanti” di QAnon c’è stata da tempo.
Io non posso che ribadire, in estrema sintesi, quel che ho cercato di dire nel libro: non saranno fact-checking e debunking a sconfiggere le fantasie di complotto. Non è dimostrando che una fantasia di complotto è tale che se ne ferma la circolazione. Bisogna invece, prima di tutto, capire come mai quella fantasia è nata e sta circolando, quale problema segnala, quale disagio o desiderio esprime, di quale verità è la versione pervertita, di quale lotta antisistema è la parodia involontaria, e quale “moneta buona” – metafora pecuniaria tradizionale ma poco centrata, che dunque non userò più – potrebbe scacciare quella cattiva.
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* Nella serie “compaio” tra gli intervistati, esplicito dunque un vago “conflitto di interessi” nel raccomandarne la visione.
** Se davvero Furber fu il primo autore dei dispacci firmati «Q», sarebbe bello appurare se effettivamente, nello scegliere proprio quella firma e quella modalità, si ispirò al nostro romanzo. Com’è noto, un insieme di coincidenze e inquietanti riverberi tra Q (inteso come romanzo), il Luther Blissett Project e i temi agitati da QAnon fu la “molla” che, scattando nella primavera 2018, ci fece interessare a quel che stava accadendo su 8chan, sui social e – a quel punto sempre più spesso – nelle strade.