È guerra!

Dopo settimane di tensione al confine, di fallimento continuo delle azioni diplomatiche, questa notte è iniziata l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Alle 3:50 i primi carri armati russi sfondano il confine avanzando da Sud-Est e – contemporaneamente – si sono avvertite forti esplosioni a Odessa, Kharvik, Mariupol, Leopoli e nella capitale Kiev, dove i russi avrebbero tentato di prendere il controllo dell’aeroporto. 

Alle 6, il presidente Vladimir Putin ha autorizzato pubblicamente l’invasione, minacciando anche “conseguenze mai viste se qualcuno interferisce”. La CNN ha già segnalato centinaia di vittime mentre fonti ufficiali ucraine hanno per ora parlato di “almeno sette morti e nove feriti” durante i bombardamenti.

L’escalation militare ha avuto una svolta quando, tre giorni fa, Putin aveva riconosciuto in diretta TV le repubbliche separatiste del Donbass. Mossa seguita dall’annuncio di pesanti sanzioni economiche da parte di Stati Uniti e Unione Europea.

La guerra tra Russia e Ucraina ha radici profonde. Nonostante i negoziati e i continui tentativi diplomatici, lo scontro Kiev-Mosca si è fatto sempre più esasperato nelle ultime settimane, al punto da sfociare nell’invasione e nel conflitto armato. Le cause dell’escalation sono da ricercare nel passato, più o meno recente, quantomeno a partire dal 2014 dopo la Rivoluzione di Euromaidan in Ucraina, culminata con la cacciata dell’allora presidente Viktor Janukovyč e l’instaurazione di un governo ad interim filoeuropeo non riconosciuto da Mosca ed “ereditato” dall’attuale presidente Volodymyr Zelensky, eletto nel 2019. Putin rispose annettendo la contesa Crimea e incoraggiando la rivolta dei separatisti filorussi nel Donbass regione nel sud-est dell’Ucraina.

La Russia e l’Ucraina condividono un confine di oltre 2.200 chilometri, concentrati in una posizione strategica dal punto di vista economico e geopolitico. Lo stesso termine “Ucraina” indica “regione di confine”, infatti l’Ucraina si trova ai confini con l’UE e con la NATO (di cui la Russia teme da tempo un ulteriore allargamento a Est), ed è un punto di passaggio cruciale per la fornitura di gas proprio dalla Russia. 

La promessa di adesione ucraina alla NATO rientra in questo gioco delle parti, con timori di “accerchiamento” da parte della Russia, che dal 1997 ha visto entrare nel Patto Atlantico molti Paesi dell’Est Europa: Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia, Albania, Croazia, Montenegro e Macedonia del Nord.

Proprio la NATO è apparsa fin da subito come l’ago della bilancia della crisi russo-ucraina. Ferma nel suo obiettivo di mantenere la sfera d’influenza nella regione, Mosca ha sempre chiesto all’Alleanza di ritirare le proprie truppe dalla Polonia e dalle tre Repubbliche baltiche, oltre che i propri missili da Polonia e Romania.

La Russia accusa inoltre la NATO di riempire l’Ucraina di armi e gli Stati Uniti di fomentare le tensioni. Al di là del confine, la situazione non è però così definita. Soprattutto perché la NATO non può accettare nuovi membri già coinvolti in conflitti. Già dal 2008, prima dunque dell’arrivo del governo filoeuropeo non riconosciuto da Mosca, Kiev era stata “stoppata” mentre stava lavorando per entrare nel Patto Atlantico. D’altro canto la Russia ha sempre considerato l’ingresso ucraino nella Nato come “un punto di non ritorno”.

Inoltre, dietro i motivi politici di questa guerra ci sono quelli di natura economica, in particolare il famoso gasdotto North Stream 2 che trasporta il gas naturale dai giacimenti russi alla costa tedesca. Il 40% del gas europeo arriva da Mosca e da anni la Russia ha costruito la propria “politica di potenza” proprio su questo, a tutto vantaggio del gruppo di oligarchi che dagli anni ’90 hanno gonfiato smisuratamente il proprio giro d’affari, dopo l’accaparramento dell’immenso patrimonio pubblico della dissolta Unione Sovietica.

Nonostante la Germania abbia immediatamente bloccato l’estensione di North Stream 2, come diretta conseguenza delle sanzioni, la questione energetica rappresenta il campo di battaglia vero in Europa, direttamente connesso con la decisione della Commissione Europea di inserire gas e nucleare nella cosiddetta “tassonomia”, la classificazione delle attività economiche che possono essere considerate sostenibili dal punto di vista ambientale.

Guerra economica, transizione energetica, interessi geopolitici e militari, esasperazione dei nazionalismi: in quello che sta accadendo in Ucraina ci sono tutti i presupposti per una ridefinizione stessa del conflitto militare, all’interno del quadro di “guerra permanente” che – è bene ricordarlo – non ha mai abbandonato il mondo contemporaneo.

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