La recente bocciatura del referendum sulla cannabis fatta dalla Corte Costituzionale dimostra essenzialmente due cose. La prima è l’abisso esistente tra “Paese legale e Paese reale”, che negli anni tende ad approfondirsi più che ad assottigliarsi; la seconda è il fatto che le trasformazioni vere, anche quelle minime, difficilmente passano per via istituzionale, specie quelle che smuovono quella patina conservatrice che storicamente avvolge “lo Stivale”.
È su questi presupposti che il centro sociale Pedro ha lanciato ieri sera una spinellata collettiva sulle Gran Guardia di Piazza dei Signori, nel cuore del “salotto buono” della città. “Sul proibizionismo ci fumiamo su” lo slogan dell’iniziativa che ha portato in piazza un centinaio di persone circa e che – al netto dei toni goliardicamente provocatori – è riuscita a condensare la miriade di questioni per le quali il proibizionismo si è sempre dimostrato fallimentare, tutte molto serie.
Sono stati tanti gli interventi al microfono, intervallati da canzoni che hanno ripercorso la storia musicale dell’antiproibizionismo – dai 99 Posse ai Sud Sound System passando per alcuni noti pezzi reggae -, che hanno affrontato il tema sotto tanti punti di vista: quello delle libertà individuali, quello medico e sanitario, quello sociale e politico, fino ad arrivare al piano più strettamente repressivo. Nell’intervento d’apertura è stato inoltre affermato come la piazza di ieri abbia anche rotto l’assurdo divieto a fare manifestazioni nel centro storico, che da mesi vige a Padova come nel resto d’Italia e che nulla ha a che vedere con la sicurezza sanitaria.
«Ma mentre la discussione sulla legalizzazione della cannabis è stata chiusa burocraticamente per un tecnicismo, fuori il proibizionismo continua a fare danni» dicono al microfono, «le carceri italiane sono piene di persone incarcerate per reati connessi alla droga, sono all’ordine del giorno perquisizioni della polizia all’interno delle scuole, il mercato delle sostanze stupefacenti è controllato totalmente dalle mafie, le quali sfruttano le persone più in difficoltà socialmente per poter mandare avanti».
Altro tema che è stato ribadito più volte è quello della relazione tra consumo di sostanze è carcere. Secondo il XV rapporto sulle condizioni di detenzione, redatto da Antigone, in molte regioni italiane si supera abbondantemente il 35% di detenuti tossicodipendenti nelle proprie carceri. Il rapporto sottolinea, inoltre, come il 32% di questi detenuti abbia cittadinanza diversa da quella italiana, rimarcando come gli stranieri siano denunciati soprattutto in violazione dell’art. 73 del Testo Unico (produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope) e, conseguentemente, mediamente arrestati di più. «È possibile che l’unica risposta alle situazioni di irregolarità siano la repressione poliziesca e la conseguente incarcerazione o espulsione tramite i CPR (come ultimo step prima del rimpatrio) per pochi grammi di cannabis, come è successo a gennaio presso l’area Funghi a Padova o innumerevoli volte durante il lockdown in piazza Buonarotti o presso la stazione, non ponendosi minimamente il problema di ciò che porta le persone a tali azioni?».
Altro problema toccato è quello legato alla questione giovanile e studentesca, che da un lato vede la scuola tralasciare di sana pianta tematiche come la riduzione del danno o la semplice conoscenza delle sostanze, dall’altro assiste a un drammatico aumento di retate nelle scuole, blitz della polizia con cani antidroga, con la conseguente criminalizzazione di giovanissimi a cui, nella maggior parte dei casi, vengono trovati in tasca pochi grammi di hashish o marijuana.
Infine il tema, più generale, del “diritto alla città”: «in un momento come quello che stiamo vivendo le piazze della nostra città sono militarizzate, si è bene accetti solo se si consuma e non è concesso viverle attivamente. Questo è di fatto proibizionismo e ha un risvolto politico, facendo morire nella burocrazia la possibilità di esprimere il proprio dissenso, e sociale, facendo morire la possibilità di attraversare le piazze in libertà nel renderle appannaggio esclusivo di chi può permettersi di consumare».