Questa mattina i centri sociali del nord-est hanno occupato a Venezia la sede della Venice V-A-C Zattere, fondazione di arte contemporanea fondata da Leonid Mikhelson, oligarca russo strettamente legato al Cremlino, presidente del cda e maggiore azionista di Novatek, la seconda azienda di gas della Russia. Il claim dell’iniziativa è “contro gli imperi, contro le guerre; costruiamo autorganizzazione e reti di solidarietà dal basso”.
Il 2 maggio a Bruxelles si sono riuniti i ministri dell’energia dei paesi dell’Unione Europea. All’ordine del giorno, una discussione sull’opportunità e possibilità di pagare il gas russo in rubli senza infrangere le sanzioni imposte alla Russia, che prevedono tra le altre cose il blocco dell’accesso al sistema SWIFT per le banche russe, vale a dire la possibilità di ricevere pagamenti in valute estere.
Un blocco però che non si applica a qualunque importazione: i flussi dei combustibili fossili erano – e sono – ancora aperti. Carbone, petrolio e metano continuano ad arrivare e ad essere pagati. E così, anziché privare la Russia dei fondi che, di fatto, le permettono di continuare l’invasione, e cogliere l’occasione per velocizzare un processo di conversione energetica, i negoziati europei procedono a rilento e a ribasso. L’Ungheria tiene in stallo le trattative per il blocco del petrolio, la Germania prova a salvare le apparenze proponendo un blocco a partire dal 2023, e nel frattempo tutto rimane invariato. Se però il petrolio è almeno sul piatto dei negoziati, di gas sembra che nessuno voglia parlare, neppure dopo lo stop al transito del gas attraverso il punto d’ingresso di Sokhranivka annunciato dalla società di fornitura GRID ucraina.
Dall’invasione dell’ Ucraina, i Paesi dell’UE hanno pagato circa 35 miliardi di dollari alla federazione russa per petrolio e gas, la spesa europea per sostenere militarmente Kiev ammonta a 1 miliardo di euro, e tutti i Parlamenti dei Paesi NATO hanno votato l’assegnazione del 2% del Pil alle spese militari.
Ma allora, a che gioco stiamo giocando? Stiamo assistendo alla più grande operazione di riarmo globale almeno dalla fine della Guerra Fredda, stiamo finanziando la militarizzazione dell’occupante con una mano, allungando armi all’occupato con l’altra, progettando nuove infrastrutture militari negli Stati non coinvolti direttamente in questo conflitto. E l’allargamento della NATO a Svezia e Finlandia dà l’impressione di proiettare tutto questo nel lungo periodo.
Questa partita si sta giocando sulla pelle delle popolazione civile, ma non sembra esserci un arbitro deciso a fischiare la fine di questo macabro gioco: noi oggi abbiamo provato a dare uno scossone, dal basso, occupando la sede della fondazione V-A-C Zattere a Venezia.
V-A-C- si occupa di arte contemporanea dal 2017, le iniziative che organizza sono volte a ripulire accuratamente l’immagine pubblica del suo fondatore, Leonid Mikhelson, secondo uomo più ricco di Russia, oligarca legato al Cremlino e proprietario di Novatek, multinazionale russa di produzione di gas seconda sola a Gazprom. L’utilizzo dell’arte e di fondazioni cosiddette filantropiche sono un mezzo fortissimo per pulire la reputazione di quanti devono la propria ricchezza allo sfruttamento e alla devastazione. Artwashing, cultural washing: nomi diversi per una pratica assai diffusa, invasiva e dannosa. Da sradicare, in effetti.
Occupare la V-A-C oggi ha questo significato: strappare l’edera velenosa degli interessi economici, scoperchiare il vaso delle contraddizioni ed esporle nei 2mila metri quadri di palazzo alle Zattere. Mettere in mostra l’importanza del gas russo per la sostenibilità economica della guerra svela l’ipocrisia e l’inadeguatezza dell’Unione Europea, che non ha neppure inserito Leonid Mikhelson tra i tycoon soggetti a sanzioni.
Un’inadeguatezza che dimostra anche la totale falsità delle politiche ambientali e climatiche: dentro alla crisi energetica, innescata dalla forsennata ripresa produttiva globale post-Covid ed accelerata dall’attuale guerra, gli sforzi non stanno andando verso la riconversione, ma verso il ricorso al carbone, la ricerca di nuovi mercati del gas, la costruzione di infrastrutture di rigassificazione. I “bla bla bla” si sono rivelati davvero parole prive di qualsiasi intenzione programmatica. I governi attuali – e quelli futuri, se le priorità politiche rimarranno inalterate – non prenderanno mai misure per contrastare la crisi climatica.
A livello locale, dimostra l’inconsistenza delle autorità cittadine, che hanno assegnato Palazzo Zattere alla Fondazione V-A-C nel 2014 con un contratto di 18 anni a fronte di un investimento di 4milioni da parte di Mikhelson e che non hanno valutato, nemmeno per un minuto, di revocare la concessione, neppure dopo le dimissioni del direttore artistico Francesco Manacorda, rassegnate all’indomani dello scoppio della guerra.
La retorica della contrapposizione “Russia vs NATO”, “Occidente democratico vs l’Autocrate Putin” è fuorviante e proprio dentro questo palazzo emergono con chiarezza alcune stridenti contraddizioni.
La guerra in Ucraina non è solo il cortocircuito di quella geopolitica che negli ultimi 30 anni ha invano tentato di ricostruire un “nuovo ordine globale”, è il frutto del riassetto del capitalismo nella fase storica della “transizione” dove si scontrano vecchi e nuovi interessi e tendenze imperiali.
Questa guerra ci situa nel bel mezzo di uno scontro tra imperi: sono i meccanismi del capitalismo finanziario – per dirla con le parole di Lenin – a guidare e dettare l’agenda del conflitto. Aprire spazi di possibilità nel tempo che viviamo richiede questa consapevolezza, l’Ucraina è oggetto della contesa e non soggetto in lotta per la propria autodeterminazione. Nella globalità del terzo millennio non c’è più un ruolo possibile per le singole entità statuali e le tensioni nazionali – che pure in questa guerra hanno un peso – sono funzionali a costruire un pericoloso collante che tende a rimuovere le contraddizioni sociali: il “patriottismo di guerra”. Rileggendo Lenin e la sua politica delle nazionalità dovremmo riflettere sul superamento dell’idea di Stato-Nazione a partire da una concezione di autodeterminazione in termini di classe, lotta alle oppressioni e di liberazione dai dispositivi coloniali.
Nella guerra in Ucraina ci sono tanti, troppi elementi da prendere in considerazione. Dal nostro punto di vista occidentale cerchiamo di metterne in luce almeno alcuni: la dipendenza dal gas, il funzionamento dei mercati azionari (loro sì, realmente responsabili dell’aumento dei costi delle materie, e comodamente seduti in Olanda, nella city di Londra, a Wall Street), l’industria bellica. Di fronte a questo scenario, il dualismo non è tra “putinismo” e “atlantismo”, ma tra interessi del capitale (transnazionale, va da sé), e comunità, popolazione civile che subisce le guerre, tutte.
Noi scegliamo di stare dalla loro parte: contro Putin, contro la NATO, dalla parte dei civili sotto le bombe, dalla parte di chi scappa dalle guerre e con chi resta. Siamo dalla parte di chi si auto-organizza dal basso e crea reti di solidarietà in risposta alla distruzione delle bombe e del capitale.
A inizio maggio abbiamo partecipato ad una carovana di solidarietà che è arrivata a Leopoli, dove abbiamo incontrato movimenti sociali, sindacali, collettivi femministi che si battono contro l’invasione militare e contro quella del capitale. Già prima della guerra militare le loro lotte si traducevano in azioni contro le riforme neoliberali di privatizzazione, deregolamentazione, cancellazione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Ora la resistenza è duplice: la necessità di farsi sentire e scendere in campo per fermare la distruzione con le armi da una parte; evitare il dilagare delle leggi del mercato e dell’ideologia neoliberale con il mezzo di quella che sarà la ricostruzione, dall’altra.
Siamo con i nostri fratelli e sorelle in Ucraina, siamo con loro nella voglia di libertà, e nella battaglia per la cancellazione del debito estero dell’Ucraina, vero giogo dell’attuale sistema economico mondiale. Siamo con loro nella richiesta di un’Ucraina luogo di sperimentazione di politiche inclusive e di giustizia sociale, e non di sperimentazione di nuove armi o di nuove forme di capitalismo.
Siamo anche con i/le dissidenti che in Russia stanno subendo la repressione da parte del regime putiniano per aver manifestato contro la guerra e per i diritti.
Quello di oggi è un primo passo: stiamo preparando una campagna di raccolta fondi per le reti di solidarietà dal basso che abbiamo incontrato in Ucraina, ed invitiamo a partecipare alla manifestazione che il 2 giugno attraverserà Venezia contro la guerra e le condizioni economiche che ci impone, contro ogni imperialismo e contro le guerre e contemporaneamente saremo alla manifestazione a Pisa contro il progetto della nuova base NATO in Toscana.
Saremo a Trento, il 5 giugno, dove al Festival dell’Economia l’ex comandante delle truppe NATO in Afghanistan relazionerà sul futuro dell’Ucraina, su invito di Confindustria, e parteciperemo a tutte le iniziative internazionali di solidarietà alla popolazione civile ucraina.