Nel giorno in cui a Los Angeles si è aperto il IX° Vertice delle Americhe, che discuterà anche della crisi migratoria, una nuova e imponente carovana migrante si è messa in marcia da Tapachula. A comporla dalle sette alle dodici mila persone migranti, uomini, donne, bambini, anziani, persone con disabilità provenienti in maggioranza dal centro e sud America, stanche di aspettare inutilmente una risposta dall’Instituto Nacional de Migración (INM) e dalla Comisión Mexicana de Ayuda a Refugiados (COMAR) in merito alle loro richieste di asilo o di permesso di entrare nel paese.
Preludio alla carovana una settimana di alta tensione a Tapachula. Già il 28 maggio circa 1500 migranti venezuelani hanno protestato davanti alla “stazione migratoria” Siglo XXI chiedendo la liberazione dei connazionali detenuti. Venerdì scorso poi un’altra grande manifestazione di migranti ha marciato per le strade cittadine fino alla sede dell’INM chiedendo alle autorità la messa a disposizione di bus per il trasferimento a Tuxtla Gutierrez e in altre città dove fosse possibile concludere il rilascio dei documenti necessari alla permanenza in Messico. I dialoghi con le autorità si sono presto interrotti e anzi, come riporta sui social il fotografo freelance Adrián Damián, la risposta è stata una retata in vari hotel alla ricerca di persone senza documenti, che sono stati fermati e condotti alla “stazione migratoria” Siglo XXI. Proprio qui, il giorno successivo è scoppiato un ammutinamento: i migranti hanno denunciato che all’entrata gli è stato sequestrato il cellulare e non gli è permesso rimanere in contatto coi propri familiari. Per questo l’ammutinamento e lo sciopero della fame di una settantina di migranti, in maggioranza venezuelani.
Il lunedì successivo dunque, come preannunciato, la carovana si è mossa di primo mattino e sotto una pioggia torrenziale dal Parque Bicentenario della ormai tristemente famosa “città-carcere” di Tapachula. Ancora una volta, la mancanza di risposte da parte della COMAR e del INM alle richieste dei visti umanitari e di regolarizzazione dei permessi di entrata nel paese ha costretto i migranti a muoversi collettivamente, nella speranza di poter ottenere quanto richiesto. Carovana che è partita nonostante il tentativo delle autorità messicane di ostacolarne la partenza, invitando i migranti a “non mettersi in viaggio e a non consegnare la propria vita nelle mani di persone che li ingannano”, riferendosi ad attivisti come Luis García Villagrán, direttore del Centro de Dignificación Humana che ancora una volta accompagna la carovana.
Una carovana di grandissime dimensioni, la più grande da quando il fenomeno delle carovane è esploso nel 2018, determinata a ottenere i permessi e a conquistarsi il diritto di migrare e, nelle intenzioni degli organizzatori, pacifica tanto che in testa al gruppo ci sono le persone più fragili come le persone con disabilità, le donne, gli anziani e i bambini mentre gli uomini sono in coda a proteggere chi rimane indietro dai tentativi di retate da parte delle autorità. Secondo le organizzazioni che accompagnano la carovana sarebbero almeno 126 le donne in gravidanza, tre mila i bambini e i minorenni, 67 le persone con disabilità e tre mila le donne.
Come per le precedenti carovane, anche questa ha scelto di dirigersi verso nord utilizzando la strada costiera del Chiapas, che da Tapachula conduce al confine con lo stato di Oaxaca attraverso le città di Escuintla, Pijijiapan ed Arriaga. Al primo posto di blocco di Viva México, appena fuori da Tapachula, le autorità migratorie hanno osservato passare il contingente senza accennare alcuna reazione mentre i migranti gridavano «¡Si se puede!». La prima tappa si è conclusa nel piccolo ejido di Álvaro Obregón dopo 18 chilometri di camminata. Qui i migranti hanno pernottato, in tende o direttamente per terra prima di ripartire la mattina seguente ancora una volta all’alba. Nella giornata di martedì i migranti hanno percorso altri 25 chilometri, fino alla città di Huixtla, sempre in Chiapas, dove si sono fermati tutto il mercoledì per dialogare con le autorità migratorie. In serata, dopo varie ore, il dialogo si è interrotto a fronte dell’incapacità delle autorità di garantire la soluzione alle oltre sette mila richieste di regolarizzazione; Villagrán ha annunciato quindi la ripresa del viaggio per la mattinata successiva verso gli Stati Uniti.
E proprio dagli Stati Uniti, dove è in corso il IX° Vertice delle Americhe, arriva la risposta delle istituzioni nordamericane per voce di Brian Nichols, sottosegretario statunitense per l’America Latina, che in una intervista a EFE si è rivolto ai migranti mettendoli in guardia: «la frontiera è chiusa, non correte rischi». Il funzionario ha poi spiegato che durante il vertice gli Stati Uniti cercheranno accordi con i paesi del sud per frenare il flusso migratorio e costruire le basi per l’accoglienza dei rifugiati proprio in quei paesi.
Quella attuale è l’ottava carovana che parte da Tapachula nell’anno in corso. Una carovana che non cerca solamente di ottenere i documenti per i migranti in transito sul suolo messicano, ma che cerca anche di rimettere al centro dell’attenzione generale il tema dei flussi migratori e rivendicare e difendere il diritto a poter migrare. Queste le parole di Luis Garcia Villagrán raccolte dal quotidiano messicano La Jornada: «vogliamo dire a Joe Biden, ad Andrés Manuel López Obrador e a tutti i presidenti che la frontiera non è il “patio trasero” di nessuno; siamo uomini, donne, bambini liberi, di un’America libera. Per questo oggi camminiamo nel nome di Dio, conquistando la nostra libertà perché si veda che siamo persone libere e con dignità, che abbiamo diritto di migrare. Migrare non è un crimine».
Parole che evidenziano come “desde arriba” i migranti siano considerati merce, pedine di scambio nel nome di interessi economici e politici. Parole che chiariscono come l’unica via per ottenere (o difendere) dei diritti sia quella di conquistarli nelle strade, con la lotta, camminando e sfidando intemperie e forze armate, mettendo in gioco i propri corpi. Perché, dall’alto nessuno regalerà niente, tanto meno i fantomatici “governi amici”.
Foto di copertina: La Jornada
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