L’indipendenza energetica ed altre panzane/2

di Alexik

A questo link il capitolo precedente.

Indipendenti con una pistola alla tempia

L’inizio delle pressioni statunitensi per imporre al vecchio continente le proprie forniture di Gas Naturale Liquefatto (GNL) ha una data precisa: il 25 luglio del 2018.
Quel giorno il presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker si presentò al cospetto di Donald Trump nel tentativo di scongiurare l’estendersi della guerra commerciale che il presidente U.S.A. aveva simpaticamente scatenato contro i propri alleati europei, definendoli come “uno dei più grandi nemici degli Stati Uniti”, ed imponendogli dazi del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio.
Con “la pistola alla tempia” – cioè la minaccia di estendere i dazi anche all’import di auto – Junker accettò il “rafforzamento della cooperazione strategica sull’energia”, cioè l’impegno ad aumentare le importazioni europee di Gas Naturale Liquefatto dagli Stati Uniti.1.
In cambio, naturalmente, Trump NON tolse all’U.E. i dazi sull’alluminio e sull’acciaio2, giusto per ricordare agli europei che la competizione interimperialista non guarda in faccia nessuno.

La svolta protezionista dell’irruento inquilino della Casa Bianca rappresentava un tentativo tardivo di invertire la rotta di quella globalizzazione neoliberista che per più di 20 anni gli Stati Uniti avevano imposto al mondo intero nell’illusione di poterla dominare, e che invece aveva dato avvio al declino della loro egemonia.
Il mondo gli sfuggiva di mano.
Dal suo ingresso nella W.T.O. nel 2001, la Cina si era trasformata nella più grande economia del pianeta3, attestando il proprio primato mondiale nella produzione manifatturiera, nel commercio internazionale, nell’entità delle sue riserve valutarie e degli investimenti esteri diretti4.

Emergeva – soprattutto – come primo detentore del debito pubblico statunitense e come primo esportatore di merci negli Stati Uniti, con un avanzo della bilancia dei pagamenti con gli U.S.A. intorno ai 400 miliardi di $ annui.
Attorno a lei, e alla sua alleanza con Brasile, Russia e India, si andava consolidando una nuova governance del mondo, capace di progettare una nuova divisione internazionale del lavoro, una nuova geografia degli scambi, nuove istituzioni finanziarie internazionali (parallele rispetto a quelle controllate dagli Stati Uniti), e la sostituzione del dollaro come moneta di riserva mondiale.
La perdita del controllo da parte degli U.S.A. veniva avvertita anche da una pletora di nuove potenze di media grandezza, che sgomitavano per ritagliarsi le proprie egemonie regionali senza più chiedere il permesso, mentre gli stessi alleati europei dimostravano velleità d’autonomia intensificando la cooperazione energetica con Mosca e proseguendo verso l’accordo sugli investimenti con Pechino.

Una ridefinizione degli equilibri che gli Stati Uniti – come è prassi in occasione di ogni cambio della guardia nell’egemonia mondiale – non potevano che tentare di contrastare con la guerra, che ai tempi di Trump era ancora limitata alla sua versione commerciale.
L’amministrazione Trump aveva riservato alla Cina le principali bordate della guerra dei dazi, con l’aumento delle tariffe doganali su 370 miliardi di dollari di merci cinesi importate.5
Ma anche l’Unione Europea (ed in particolare la Germania), troppo incline alla cooperazione col ‘nemico’ doveva essere disciplinata e richiamata all’ordine. L’aumento dei dazi serviva a ricordarle la sua condizione subordinata e, en passant, a ricondurre le sue politiche energetiche sulla retta via.

L’energia è un campo di battaglia

L’imposizione in Europa del GNL americano significava certamente garantire grosse iniezioni di profitti per le compagnie statunitensi dei combustibili fossili, che tradizionalmente determinano – negli States come altrove – le politiche dei governi di ogni colore.6
Ma non si trattava solo di questo.
Nella guerra globale l’energia è un campo di battaglia, e gli europei dovevano decidere da quale parte del campo schierarsi. Decidere se difendere l’egemonia americana rinunciando al gas russo, anche a costo di colpire le proprie popolazioni e i propri settori industriali, dilatare il debito pubblico e mandare in recessione le proprie economie.

Nel giugno 2017 – ben prima, dunque, che le truppe russe marciassero su Kiev – il Senato degli Stati Uniti votava a stragrande maggioranza l’approvazione di un disegno di legge che consentiva, fra l’altro, di sanzionare chi forniva capitali, servizi o altro sostegno a progetti per la costruzione, espansione, manutenzione di oleodotti o gasdotti per l’esportazione di energia russa.7
Il provvedimento rappresentava un attacco non troppo velato al gasdotto Nord Stream/2 (all’epoca già in costruzione), strategico per garantire l’approvvigionamento dell’industria tedesca in vista della dismissione delle centrali nucleari in Germania e dell’abbandono dell’economia del carbone.8

Ufficialmente, le pressioni per rinunciare al gas russo venivano esercitate per il bene degli europei, per salvaguardarli dal potenziale uso delle forniture di gas come forma di pressione o rappresaglia (“energy weapon”) da parte di Putin.
Si citava a riguardo, come orrido precedente, la decisione presa da Gazprom nel 2014, dopo piazza Maidan, di annullare le agevolazioni sul prezzo del gas destinato all’Ucraina, contrattate in precedenza con l’ex presidente Viktor Yanukovych.
In quell’occasione il prezzo del gas per l’Ucraina salì da 268,5 $ a 485 $ per migliaio di metri cubi (mcm).9
Oggi che il prezzo europeo sul mercato libero del gas definito all’ hub di Amsterdam ha raggiunto i 2.500 $ per mcm10, nessuno grida contro il suo utilizzo come “energy weapon” da parte degli speculatori finanziari e delle imprese dei combustibili fossili.

Altro motivo di apprensione dell’amministrazione U.S.A. riguardava l’effetto potenzialmente dissuasivo che le abbondanti forniture di gas russo all’Europa potevano avere rispetto a nuovi investimenti nello sviluppo del GNL.
In Francia nel 2016 la Commission de Regulation de l’Energie aveva negato – analizzando le forniture già esistenti – la necessità economica di un nuovo gasdotto di interconnessione attraverso i Pirenei, capace di collegare la grande capacità di rigassificazione di GNL della Spagna con il più ampio mercato europeo.11

Fatti del genere non dovevano più accadere se si voleva che il GNL americano fluisse copioso attraverso la U.E., e a maggior ragione dopo che l’accordo fra Trump e Juncker cominciò a produrre i suoi effetti.
Da quell’incontro del luglio 2018 fino al gennaio 2022 le esportazioni di GNL USA verso l’Unione Europea sono cresciute di 22 volte.
Nel 2020 gli Stati Uniti sono diventati il primo fornitore in Europa di gas liquefatto.12
Nel 2021 le esportazioni di GNL U.S.A. verso l’UE hanno superato i 22 miliardi di metri cubi.13

Probabilmente Trump non ammetterebbe mai di dovere buona parte di questo risultato alle politiche del suo predecessore, alla scelta, cioè, di Barak Obama – catastrofica dal punto di vista ambientale, sociale e climatico – di spingere sulla fratturazione idraulica per l’estrazione di gas e petrolio di scisto.  Scelta che ha portato gli Stati Uniti ad uno status di sostanziale autosufficienza energetica.
Una condizione che ha permesso agli U.S.A. non solo un notevole vantaggio competitivo rispetto alle economie concorrenti, su cui pesa invece l’onere delle importazioni energetiche, ma anche di poter esercitare una maggiore aggressività nei rapporti internazionali.
Infatti, prima di raggiungere l’autonomia energetica, la possibilità degli U.S.A. di imporre sanzioni su paesi produttori di idrocarburi era limitata dal fatto che loro stessi, come importatori, ne avrebbero pagato il pegno, in termini di tensioni sui prezzi e sulle quantità di gas e petrolio nei mercati internazionali.
Ora hanno le mani libere, e possono permettersi di far pagare anche questo particolare capitolo delle loro guerre a quella parte di mondo che non produce energia, determinandone la crisi.
E lucrandoci sopra. (Continua)

Immagini e grafici:

President Trump Visits Cameron LNG Export Terminal. Fonte: The White House. Foto di pubblico dominio.
China is the World’s Manufacturing Superpower. Fonte: Statista. Licenza CC BY-NC-ND.
Commissione Europea, EU-U.S. LNG TRADE. U.S. liquefied natural gas (LNG) has the potential to help match EU gas needs, gennaio 2022.

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