Per i palestinesi che vivono in una firing zone, la vita è un incubo ad occhi aperti

Sei mesi dopo che un tribunale israeliano ha deciso lo sgombero dei residenti di Masafer Yatta, questi descrivono com’è dover camminare ore per raggiungere un medico, avere scarso accesso all’istruzione e svegliarsi con il suono delle esplosioni. Articolo tradotto da Haaretz.com a cura di Miriam Viscusi.

Neanche sei mesi dopo l’ordine, da parte di un tribunale, di sgomberare i residenti di Masafer Yatta dalle proprie abitazioni, la vita nell’area è cambiata drasticamente.

Per gli otto villaggi sparpagliati nella zona, le faccende quotidiane sono sempre state difficili, a causa dell’assenza di servizi essenziali, anche prima che un tribunale decidesse di autorizzare gli addestramenti a fuoco. Ma negli ultimi mesi la situazione è peggiorata proprio a causa di queste esercitazioni. I blocchi stradali tra un villaggio e l’altro rendono complicati gli spostamenti, e le strade sono chiuse per i non residenti. Risultato: molti abitanti hanno smesso di utilizzare le auto. E, come ai vecchi tempi, vanno a piedi o a dorso di asini.

“Non potete immaginare quanto sia cambiata la vita qui”, dice Sleiman Abu Aram, un padre di 10 figli del villaggio di al-Majaz. Uno dei suoi bambini ha il diabete, per cui la famiglia deve andare spesso a Yatta, la città più vicina. “Due settimane fa ci siamo andati a piedi. Dovevo portarlo dal medico e non c’era nient’altro che potessimo fare.”, dice. Abu Aram e il figlio di 9 anni hanno camminato fino al villaggio di al-Tuwani, fuori dalla zona di tiro, e da lì hanno preso un’auto per Yatta. Per 90 minuti hanno attraversato un deserto desolato e senza ombra, senza una fonte d’acqua. Un’altra volta, ha cavalcato un asino. “Compriamo la maggior parte delle nostre provviste a Yatta. Di solito ci bastava prendere l’auto e raggiungere la città. Oggi possono passare anche dieci giorni tra un viaggio e l’altro. Per le emergenze prendo un asino e vado a recuperare ciò che serve.”, continua Abu Aram.

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Un checkpoint miliare vicino al Villaggio di Al-Fakheit. I Soldati alzano gli occhi al Cielo e dicono che sono lì per “riprendere le redini”.

L’unica scuola superiore della zona ha chiaramente subito il peggio. Haitham Abu Sabha, il direttore, ha detto ad Haaretz che negli ultimi tempi cinque ragazzi hanno smesso di frequentare la scuola a causa della difficoltà ad arrivarci. Ogni mattina, racconta, l’esercito blocca – ritardando – gli student* che arrivano dai villaggi vicini con mezzi speciali, e blocca anche gli insegnanti, che arrivano perlopiù da Yatta. A volte l’esercito non autorizza il passaggio degli insegnanti che arrivano in auto e li costringe a tornare indietro. Altre volte, gli insegnanti vanno a piedi.

Bissan Mahamra, 17 anni, è una studentessa che frequenta la scuola, nel villaggio di al-Fakheit. Viene dal villaggio di al-Sfai al-Fuqa. Sta studiando per gli esami di ammissione all’università e vorrebbe studiare infermieristica e inglese all’università di Bir Zeit, vicino a Ramallah. “Una settimana fa l’esercito ci ha fermati per un’ora, al sole, mentre andavamo a scuola. Ci hanno preso le carte d’identità e le chiavi delle auto. C’erano sei studenti in quell’auto. Abbiamo chiesto almeno di aprire le porte dell’auto, perché faceva molto caldo, ma non ce l’hanno permesso.” Un’altra volta, i militari al blocco hanno controllato le borse degli studenti. “Quando succede una cosa del genere, alla fine andiamo a scuola e tutto quello che pensiamo è che vogliamo che finisca.” aggiunge Bissan Mahamra.

Masafer Yatta non ha strade asfaltate. Alcune strade sterrate hanno condizioni migliori rispetto ad altre, mentre altre sono state così abusate dall’esercito durante gli anni, che per attraversarle c’è bisogno di una jeep. E anche così i viaggi sono estenuanti. Di recente, a causa dei blocchi stradali e dei ritardi, i residenti hanno iniziato a usare strade che nessuno aveva percorso prima. “Siccome non ci fanno passare, prendiamo un pericoloso sentiero di montagna”, dice Mahamra. A causa di queste difficoltà, i residenti hanno aperto una scuola primaria nel villaggio al-Sfai, così che i bambini più piccoli non debbano correre rischi nel viaggiare verso le scuole.

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L’esercito non conduceva esercitazioni di tiro a fuoco a Masafer Yatta da vent’anni, periodo in cui era rimasta in sospeso una sentenza contro l’espulsione dei residenti. Da maggio però, cioè quando il tribunale ha approvato l’espulsione, l’esercito ha già tenuto due sessioni di esercitazioni nella zona. Nella prima, un proiettile ha centrato il tetto di una casa nel villaggio di Halat al-Dab’a, e veicoli militari che guidavano attraverso i campi coltivati sono stati filmati. Questo mese, l’esercito ha condotto ancora altre esercitazioni.

“Chiunque stia dormendo, si sveglia. Sentiamo tante esplosioni” dice Issa Hamad, 45 anni, di al-Fakheit. Haitham Abu Sabha, il direttore della scuola, dice: “Temiamo che resti dell’esplosivo nei dintorni e che possa ferire i bambini. I miei figli si svegliano nel mezzo della notte. È la prima volta che sentono una cosa del genere. Queste cose avvenivano prima del 2000, ma i nostri bambini non le avevano mai sperimentate.” Samha aggiunge che a scuola gli insegnanti provano a spiegare quello che succede e dicono che è una fase passeggera, nel tentativo di aiutarli a concentrarli sugli studi.

“Noi viviamo su una montagna e loro si esercitano sulla montagna di fronte”, dice Mahamra, che ha otto fratelli. “Sparano notte e giorno, tutto trema. Ho una sorella di 4 anni che dice di non aver paura, ma ovviamente ne ha. Urla e piange.”

Quando Haaretz ha visitato il posto, i militari avevano eretto un blocco stradale nella strada principale che porta da al-Fakheit a un villaggio chiamato Jinba. Avevano piazzato missili spike nel mezzo di una strada e aggiunto un segnale di pericolo. I soldati apparivano stanchi, esausti, e dicevano che avevano partecipato a esercitazioni per tutta la notte fino al mattino. Uno di loro ha detto che erano lì per “riportare l’ordine” e impedire ingressi non autorizzati di palestinesi verso Israele. La maggior parte delle volte i soldati stavano seduti sotto una tenda che avevano allungato da un mezzo carrozzato. Una jeep che portava dei bambini a scuola ad al-Fakheit è stata sequestrata, ma rilasciata dopo pochi minuti. Quando un uomo anziano su un mulo è arrivato al blocco, tre soldati gli sono corsi incontro. E dopo una breve conversazione, l’uomo è tornato indietro.

Contemporaneamente alla decisione su Massafer Yatta, avveniva una repressione nella West Bank, chiamata “Operazione Breakwater” e seguita a una serie di attacchi terroristici in Israele. Come parte dello sforzo militare di impedire ai palestinesi l’accesso a Israele, sono state scavate delle trincee, è stata costruita una via per pattugliamenti e sono stati piazzati dei terrapieni. L’area, che è pieno deserto vicino alla città meridionale israeliana Arad, è una delle strade da cui i braccianti sono trasportati in Israele.

I residenti palestinesi hanno protestato con una petizione contro la costruzione della parte occidentale dell’ostacolo. Nella causa, presentata da Kamer Mashraqi di Haqel-Jews e Arabi in difesa dei diritti umani, i palestinesi sostenevano che l’ostacolo li tagliava fuori dai loro stessi territori, bloccando una strada di cui i residenti hanno bisogno, e che inoltre attraversa un territorio ecologico e danneggia l’ambiente. Si attende una decisione del tribunale.

Sempre durante la visita di Haaretz, un piccolo gruppo di uomini del villaggio sedeva fuori dalla scuola di al-Fakheit, guardando i mezzi dell’esercito salire su per una strada lì vicino. Issa Hamad racconta di come, quando ha provato a raggiungere il villaggio, i soldati l’hanno fermato perché sul suo documento c’era scritto che è di Yatta. “Ci hanno tenuto cinque ore al blocco, che è a 100 metri da casa nostra. Potevo salutare i miei figli, dal posto di blocco.”, dice. “Hanno preso la mia auto, parcheggiata dietro casa mia”, dice Nasser Abeed del villaggio al-Tabban. Per tornare indietro, ha dovuto pagare 2800 shekel (810 dollari). L’ordine di sequestro dice che l’auto era entrata nella zona militare 918. Cioè la zona dove Abeed vive.

Attivist* dicono che dalla decisione della corte il numero di veicoli confiscati è cresciuto, incluse le auto di attivist* stess*, insegnanti e organizzazioni umanitarie. Alla fine di luglio, hanno sequestrato l’auto usata dalla ONG Comet-ME, che procura servizi di energia rinnovabile e acqua pulita al villaggio di Masafer Yatta. L’auto è stata rilasciata solo dopo che l’organizzazione ha pagato una multa e firmato un documento in cui promette di non entrare mai più nell’area. Comet-ME dice che il divieto di entrare ha avuto un impatto enorme sul proprio lavoro. Ad esempio, hanno dovuto comunicare a una famiglia che non potevano fornire loro una pompa dell’acqua. E la famiglia ha dovuto usare delle taniche per trasportare centinaia di litri d’acqua alla propria mandria.

La massiccia presenza di soldati nell’area ha portato anche a un aumento dei veicoli dichiarati fuori uso o del tutto vietati, in una pratica detta “mashtubot”. Ma un divieto sulla costruzione di infrastrutture e il fatto che l’area può essere raggiunta solo attraverso strade pericolose, uniti alle condizioni particolarmente povere di masafer Yatta, significa che le persone stanno usando sempre di più questo tipo di auto. Una macchina “mashtuba” porta sempre con sé il rischio di sequestro. Machi Abu Sabha, 55 anni e residente di al-Fakheit, dice che la confisca della sua auto significa dover andare anche dal medico a piedi. “Ho camminato per un’ora e un quarto da qui fino alla clinica di Al-Majaz.”, dice.

Ad oggi, i residenti di Masafer Yatta stanno aspettando la decisione del presidente della Corte Suprema Esther Hayut sul loro appello perché ci sia un nuovo processo sull’ordine di espulsione, appello presentato dall’Associazione per i diritti civili in Israele (ACRI). “L’esercito ha detto alla Corte suprema che l’uso delle zone di tiro non danneggia il territorio o le vite dei residenti. Ma la situazione è lontana anni luce da come loro la dipingono”, dice Roni Pelli, l’avvocata dell’ACRI che ha presentato l’appello insieme al consigliere legale, Dan Yakir. Gli avvocati che si sono appellati alle forze di difesa israeliane a proposito delle restrizioni di movimento dei residenti (tra cui Netta Amar-Shiff, che ha lavorato sul caso di una famiglia bloccata mentre andava all’ospedale perché un bambino soffriva di paralisi), sono ancora senza risposta.

“Le operazioni dell’esercito nella zona hanno reso la vita insostenibile per i residenti”, dice Pelli. “Dobbiamo ricordare per l’ennesima volta che sotto il diritto internazionale è proibito forzare le persone ad abbandonare le proprie case. È un divieto assoluto nel diritto internazionale: non si può espellere qualcuno con la forza e non si può neanche ottenere l’espulsione rendendo difficile la vita di quelle persone. L’espulsione forzata è un crimine. Per provarlo, è sufficiente sapere che le azioni dell’esercito vanno verso la deportazione.”

In risposta, l’esercito israeliano dichiara: “La zona 918 è una zona militare chiusa, e tutti gli ingressi senza autorizzazione sono proibiti e costituiscono un’offesa criminale, oltre a mettere in pericolo vite umane. Le forze militari stazionano davanti alle aree di addestramento per impedire ingressi non autorizzati e quando vengono sequestrati veicoli entrati senza permesso. Nonostante ciò, l’esercito sta lavorando per permettere ai residenti di proseguire con la loro vita ordinaria.”

Prosegue l’esercito: “A luglio 2022, durante un’esercitazione militare nella zona 918, è stato riportato che un proiettile ha colpito il tetto di un edificio. Immediatamente, l’addestramento è stato interrotto ed è stata intrapresa un’indagine. Non sono state trovate prove sufficienti che l’edificio fosse stato colpito proprio durante le esercitazioni, ma sono state decise misure di sicurezza aggiuntive durante il proseguimento.”

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