Pubblicato originalmente daJacobin.com. Traduzione di Emma Purgato.
In quanto elettori progressisti e di sinistra, veniamo sempre definiti come troppo estremisti. I risultati delle elezioni di metà mandato dovrebbero sfatare questa narrazione. I media mainstream, gli esperti finanziati dalle grandi imprese e i vertici Democratici non vedevano l’ora di incolpare i progressisti, ricorrendo alla narrazione di questo presunto estremismo, per la prevedibile sconfitta del partito nelle elezioni midterm dell’8 novembre. Fino a quando hanno iniziato ad arrivare i risultati.
Non è ancora chiaro quale partito controllerà la Camera e il Senato [quando è stato scritto l’articolo erano ancora in bilico i risultati che hanno poi visto la vittoria dei Democratici al Senato e dei Repubblicani alla Camera, ndR], ma in ogni caso non si è verificata l’“onda rossa” prevista dai sondaggi, né i bagni di sangue a sfavore del Partito Democratico che si sono visti nel 2010 e nel 2014, durante la presidenza di Obama. Negli ultimi decenni, il partito a capo della Casa Bianca ha quasi sempre perso seggi dopo le elezioni midterm, con la netta eccezione del 2002, quando i Repubblicani riconquistarono il Senato grazie alla spinta della “guerra al terrore” del presidente George W. Bush.
Nonostante quest’anno gli elettori si siano rifiutati di infliggere una dura lezione al partito al potere, attraverso referendum, exit poll e diffusi sondaggi pre-elettorali hanno indicato come su questioni centrali quali il diritto all’aborto, la sanità, l’aumento del salario minimo, i diritti dei lavoratori alla contrattazione collettiva e la legalizzazione della cannabis, l’elettorato sia più progressista di quanto i governanti e gli opinionisti dei media mainstream siano disposti ad ammettere.
Diversi fattori possono offrire una spiegazione sulla performance inaspettatamente positiva dei Democratici, come la decisione estremamente impopolare della Corte Suprema di affossare il diritto costituzionale all’aborto e l’apparente avversione degli elettori per i candidati Repubblicani strettamente legati all’ex presidente Donald Trump. Ma c’è anche un’altra conclusione ugualmente importante che i Democratici dovrebbero tenere presente. I risultati suggeriscono che, nel momento in cui il Partito Democratico ha dato ascolto alla sua frangia progressista, adottando proposte audaci come il credito d’imposta per figlio, la cancellazione dei debiti studenteschi e l’ingente aumento della spesa per il clima, è stato premiato dai suoi elettori.
Le lezioni principali
1. La formula del populismo economico[1] funziona negli “swing states”
Per anni, l’opinione più diffusa è stata che i candidati Democratici negli swing states dovessero presentarsi come conservatori e dalla parte delle aziende. Tuttavia, nell’approfondimento del Lever sulle elezioni in Pennsylvania, l’ex revisore generale ha dichiarato che il candidato governatore Josh Shapiro “ha sempre mantenuto un profilo di centro sinistra e credo che questo sia stato cruciale per la sua vittoria in tutto lo stato.” I risultati delle elezioni lo confermano.
Nel Keystone State [Pennsylvania, ndT], sia Shapiro sia il candidato al Senato John Fetterman hanno portato avanti con successo campagne populiste, superando significativamente i risultati ottenuti nel 2020 da Joe Biden nelle zone tradizionalmente più Repubblicane dello Stato. Lo stesso vale per l’Ohio: nonostante abbia perso, il Democratico Tim Ryan ha incentrato la sua campagna su un programma pro-lavoratori e i risultati del partito sono migliorati anche nelle roccaforti Repubblicane dello stato. In Colorado, la campagna del senatore Democratico Michael Bennet parlava di misure economiche populiste come l’espansione dell’imposta di credito per figlio e anche in questo caso i risultati dei Democratici ne hanno tratto beneficio nelle zone dello stato più legate ai Repubblicani.
Al contrario, le campagne elettorali Democratiche più conservatrici, in Nord Carolina e in Iowa, hanno segnato una tendenza opposta: risultati Repubblicani migliori rispetto al 2020 nelle parti dello stato maggiormente legate al partito. In Virginia, anche l’esponente Democratica Elaine Luria ha perso una gara serrata dopo aver definito il divieto degli investimenti in borsa da parte dei parlamentari come “cazzate” – ed è stata attaccata per questi commenti durante la campagna elettorale.
2. Molti elettori non hanno creduto alle bugie sull’inflazione
Per mesi, moltissimi opinionisti di media mainstream e politici Repubblicani hanno sostenuto che i sussidi legati alla pandemia di COVID-19 voluti dall’amministrazione Biden siano stati il motore principale dell’inflazione. Riassumendo la questione, ad aprile il Ministro del Tesoro di Bill Clinton Larry Summers ha paragonato Biden a Jimmy Carter, dicendo: “Il Rescue Plan ha occupato lo spazio politico per gli auspicabili investimenti di lungo termine del piano di ripresa Build Back Better [di Biden]. La rovina di Carter suggerisce come l’inflazione sia una grave minaccia per le politiche progressiste”.
Il massiccio sondaggio pre-elettorale promosso da Fox News dimostra l’efficacia tutto sommato limitata di questa narrazione: il 54% degli americani crede che l’inflazione sia conseguenza delle politiche di Biden, mentre il 46% incolpa fattori fuori dal controllo del Presidente. Nei fatti, la speculazione da parte delle aziende è stata la causa principale dell’aumento dei prezzi – non i programmi di aiuto per la pandemia o gli aumenti salariali, come gli opinionisti dei media d’élite vorrebbero far credere.
Il giorno dopo le elezioni, gli analisti della Morgan Stanley hanno pubblicato una nota sostenendo che il fatto che il partito di Biden avesse frenato l’attesa onda Repubblicana avrebbe “sminuito l’idea secondo cui l’inflazione sarebbe un ostacolo per i Democratici in ambito elettorale.” La nota aggiungeva: “Gli investitori potrebbero vedere questo risultato come un’autorizzazione al partito ad alleggerire i vincoli politici e legislativi che hanno impedito al Congresso di mettere in atto alcune delle politiche espansive sul piano fiscale originariamente parte del piano di ripresa ‘Build Back Better’ del Presidente Biden.”
3. L’elettorato ha vedute sorprendentemente progressiste
La stessa analisi elettorale di Fox News citata sopra ha rilevato come la maggior parte degli Americani abbia idee progressiste rispetto alla sanità, le armi, le questioni razziali e altri temi chiave. I risultati del sondaggio sono in netto contrasto con l’opinione più diffusa tra i vertici Democratici: qualche giorno fa [4 novembre, ndR], per esempio, l’analista Democratico David Shor è stato citato in un articolo del Politico Magazine, che riporta: “Nessun tipo di pressione convincerà i Democratici a creare il programma di assicurazione sanitaria Medicare for All, perché non è quello che la gente vuole”.
Tuttavia, il sondaggio di Fox News ha riscontrato come il 65% dell’elettorato pensi che garantire che tutti gli Americani siano coperti a livello sanitario sia responsabilità del governo federale. Il sondaggio pre-elettorale promosso dalla Fox nel 2020 ha rilevato un supporto relativamente elevato – 70% – per la cosiddetta opzione pubblica, ovvero la possibilità universale di acquistare un piano di assistenza sanitaria pubblico. In campagna elettorale, Biden ha sostenuto l’opzione pubblica, ma non l’ha menzionata nemmeno una volta da quando è stato eletto presidente.
4. I progressisti vincono alle urne
Grazie a una manciata di elezioni per la Camera passate sotto il radar, i progressisti al congresso sono nella posizione di espandere le loro fila con nuove presenze come Summer Lee in Pennsylvania, Delia Ramirez in Illinois, Maxwell Frost in Florida e Greg Casar in Texas. Inoltre, i progressisti hanno vinto grazie alle misure da loro sostenute, cosa che indica che gli elettori appoggiano politiche come l’aumento del salario minimo e la tassazione dei ricchi, anche se i politici da loro eletti non sono in grado di metterle in atto.
Le posizioni pro-choice hanno avuto un enorme successo alle urne, dove gli elettori hanno ancorato l’accesso all’aborto alle costituzioni statali di California, Michigan e Vermont, mentre sconfiggevano le misure antiabortiste nel Kentucky. In Nebraska hanno approvato il salario minimo a 15 dollari, e a Washington DC hanno votato per l’eliminazione della misura che prevede un salario inferiore al minimo per i lavoratori che prendono mance (alla faccia dello chef superstar José Andrés.) In Massachusetts, gli elettori si sono espressia favore di una sovrattassa del 4% sui redditi superiori a un milione.
Non è tutto: una misura a favore della contrattazione collettiva ha vinto con ampio margine in Illinois. I votanti hanno legalizzato la cannabis per uso ricreativo in Maryland e Missouri. In South Dakota, gli elettori hanno approvato un referendum per l’espansione di Medicaid. A Richmond, in California, sono passate misure di controllo degli affitti, così come a Orange County, in Florida, nonostante in quest’ultima il provvedimento abbia un futuro incerto, a causa di un ricorso legale da parte dei locatori.
5. L’eliminazione del debito scolastico ha aiutato i Democratici
I Democratici devono ringraziare i loro elettori più giovani – e l’eliminazione del debito scolastico – per i risultati sorprendentemente positivi ottenuti. I dati preliminari suggeriscono che quasi due elettori al di sotto dei trent’anni su tre hanno votato Democratico alla Camera. Nonostante questo margine di sostegno ai Dem da parte degli elettori più giovani sia stato costante negli ultimi cicli elettorali, e la parte giovanile dell’elettorato sia rimasta stabilmente attorno al 12%, i dati demografici che comprendono i più giovani è stata l’unica a sostenere i Democratici con una forte maggioranza.
I progressisti lo avevano previsto da oltre un anno, insistendo con Biden sulla cancellazione del debito studentesco. Secondo il Harvard Youth Poll, sondaggio rivolto ai giovani elettori condotto nella primavera del 2022, il sostegno per l’eliminazione del debito tra l’elettorato giovanile raggiungeva l’85%. Un’indagine svolta in aprile dal centro di ricerca progressista Data for Progress ha rilevato come quasi la metà degli elettori in stati cruciali sarebbe stata più incline a votare se Biden avesse mantenuto la promessa fatta in campagna elettorale di cancellare il debito.
I risultati delle elezioni hanno addirittura obbligato uno dei principali critici dell’eliminazione del debito studentesco ad ammettere di essersi sbagliato. “Pensavo che la cancellazione del debito per gli studenti fosse una misura e un’idea politica sbagliata,” ha twittato David Frum, autore dei discorsi di Bush. “Credo ancora che sia una misura negativa ma, vedendo l’ondata di voto giovanile, è difficile negare il suo impatto politico. E se ha contribuito a salvare il paese dal trumpismo, i pro compensano decisamente i contro”.
6. Azione climatica per la vittoria
Quest’estate, i Democratici hanno fatto passare il disegno di legge sul clima più ambizioso della storia degli Stati Uniti, senza un singolo voto Repubblicano, destinando enormi investimenti alle energie pulite. Nonostante la loro opposizione unitaria, i Repubblicani hanno a malapena attaccato la normativa in campagna elettorale.
Ci potrebbe essere una buona ragione: il sondaggio di Fox News ha rilevato come il 53% degli americani creda che le politiche energetiche statunitensi debbano puntare all’aumento dell’utilizzo di energie alternative, tra cui solare ed eolica, piuttosto che a espandere la produzione di combustibili fossili. La stessa inchiesta fa emergere che il 61% dei partecipanti sono molto o abbastanza preoccupati rispetto agli effetti del cambiamento climatico nei loro territori.
7. Gli elettori Democratici rimangono insoddisfatti
Un fattore chiave per il risultato Dem nazionale al di sopra di ogni previsione sembrano essere le aspettative più che misere dei loro elettori. Un exit poll della NBC ha rilevato un profondo sospiro di rassegnazione alle urne, con una vittoria Democratica tra elettori che “disapprovano abbastanza” la performance di Joe Biden. Complessivamente, oltre 7 votanti su 10 si ritengono “insoddisfatti” o “arrabbiati”, secondo quanto riportano gli exit poll condotti da Edison Research. Risultati del genere suggeriscono che chi ha votato Dem non l’abbia fatto per fiducia o speranza nei candidati; semplicemente non potevano tollerare le alternative.
Perciò, se i Democratici riusciranno a mantenere il controllo del Congresso, sarà difficile sostenere che devono ringraziare la loro stanca strategia conservatrice. È invece ora che il partito si prenda grossi e audaci rischi. Questa primavera, un dato poco noto all’interno di un sondaggio di NBC News ha fatto emergere come quasi due terzi degli elettori Dem sostengono di volere un candidato “che proponga politiche di larga scala, che costano di più e sono più difficili da far diventare legge, ma che potrebbero portare cambiamenti significativi” – non qualcuno che tentenna a ogni occasione. Infatti, il sondaggio di Fox News ha rilevato che il 53% degli americani sostiene che “il governo dovrebbe fare di più per risolvere i problemi”, a fronte del 47% che ritiene che il governo “sta facendo troppe cose che dovrebbero essere lasciate ad aziende e individui.”
8. “E ora che facciamo?”
Il famoso finale del classico del 1972 Il Candidato mostra l’aspirante senatore Democratico vincere le elezioni per poi girarsi verso il suo braccio destro e chiedere: “E ora che facciamo?”. È ora in corso una dinamica simile. In generale, la campagna elettorale Dem non conteneva particolari proposte, se non la promessa di evitare che i Repubblicani rubassero le elezioni o intaccassero ulteriormente i diritti riproduttivi.
Questo ci lascia con una domanda aperta: se il partito in qualche modo riesce a mantenere il controllo del Congresso, cosa intende fare per i prossimi due anni? I risultati delle elezioni mostrano che i Democratici non sono stati puniti per i grandi investimenti come l’American Rescue Plan, l’Inflation Reduction Act o l’eliminazione del debito studentesco. Quindi forse è ora di andare oltre portando avanti una proposta economica veramente populista – attraverso una pressione dal basso attiva e continua.