Il legionario

di Mauro Baldrati

Questo film italo francese del 2021, diretto da un giovane regista bielorusso, si basa su due piani paralleli che convergono, e confliggono, mentre un trait d’union impone loro una connessione: Daniel, l’unico celerino di colore del “reparto” romano. Tra battute razziste soft dei colleghi, ciniche ma amichevoli (“ti vedo un po’ pallido”), riunioni conviviali cameratesche, cenni ai “giudici comunisti” e a “prenderlo nel culo”, Daniel svolge con impegno e dedizione in proprio lavoro. E’ parte attiva nelle cariche contro i manifestanti, di qualunque colore essi siano. Tra i celerini non domina alcuna ideologia, nessuna pulsione fascista-squadrista, è solo lavoro. Sono gli ordini. Durante gli scontri, mentre sono in formazione, bersagliati dai cubetti di porfido, colpiti da mazze, sedie, stendipanni, sembrano ripresentarsi, come nelle distorsioni temporali di Eymerich, le testuggini guerriere dei legionari romani, o i muri di scudi degli opliti spartani. In palestra si allenano, in tenuta da combattimento, con la divisa imbottita, l’elmetto, lo scudo, aggrediti da un avversario bardato come un robot di Guerre Stellari, che li insulta e li colpisce con calci e pugni. Il capo, Aquila, è un centurione severo ma leale, è uno di loro, sempre in prima fila come un primus pilus.

L’altro piano parallelo è costituito dalla comunità multietnica che vive in un vecchio palazzo occupato. La macchina da presa ci fa entrare nella quotidianità di questo singolare condominio autogestito, coi vari problemi organizzativi, i conflitti interni (perché la vita è conflitto), le discussioni in argot romanesco. A un certo punto la situazione si complica, perché in un cupo orizzonte si sta delineando lo skyline minaccioso dello sgombero. Il livello di tensione si alza, sale la paura. Viene anche staccata la luce e piombati i contatori. Che fare? Rompere i sigilli equivarrebbe a un gesto estremo che provocherebbe la reazione finale. E forse è proprio ciò che si aspetta il nemico. Risolve la situazione un prete inviato da papa Francesco, ci pensa lui a rompere i sigilli. Che ci provino a mettersi contro il papa. E qui è evidente la cover di un blitz dell’elemosiniere del papa, cardinale Krajewski, che pagò le bollette di uno stabile minacciato di sgombero, scatenando l’ira di Salvini.

L’elemento di contatto tra i due piani sociali-narrativi, il celerino Daniel, è anche in conflitto privato di interessi. Infatti frequenta lo stabile occupato, è dalla loro parte, pur appartenendo senza ombra di dubbio al nemico. Li tiene informati sugli eventi, il piano di sgombero e i tempi. E’ un traditore? Un infiltrato? In un certo senso sì, poiché tra gli occupanti ci sono la madre e il fratello, col quale è in pessimi rapporti per via del suo mestiere, benché il senso di appartenenza familiare resti solido. Tra l’altro il fratello, Patrick, è uno dei più attivi tra i resistenti, dieci, cento, mille occupazioni! E quando il buio si avvicina guardiamo con un senso di tensione misto a rassegnazione lo svolgersi implacabile degli eventi. Perché quello che deve succedere, succede.

Implacabile perché Il legionario, benché lasci trasparire la proprio empatia con gli occupanti, non si schiera apertamente, evita ogni didascalia e ogni morale. Si configura come una ricognizione su uno dei tanti aspetti contraddittori della vita, un segmento tagliato su una retta che viene e va verso l’infinito. La quale tanto lineare non è, essendo qua e là frastagliata, persino spezzata, sempre sull’orlo di disintegrarsi e precipitare nel vuoto oscuro della fine. (Su Netflix)

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