Di Matteo Parigi per ComeDonChisciotte
Il ginnasta si muove in quanto utilizza i propri muscoli per compiere una prestazione sportiva; L’automobile viaggia grazie al motore ed altri componenti che provocano il movimento delle ruote; i pianeti girano intorno al sole perché esiste una forza gravitazionale che li fa girare seguendo delle leggi precise, quelle studiate da Keplero.
Cos’hanno in comune questi fatti?
Esiste una scienza che possa scovare un legame tra essi?
In apparenza no. Infatti, del primo esempio se ne occupa l’esperto di scienze motorie; del secondo il meccanico o l’ingegnere; del terzo l’astronomo. Tuttavia, se un animo profondo, magari un filosofo, si chiedesse quali sono quegli elementi che partecipano di tutte quelle situazioni; ebbene questo amante del sapere potrebbe riuscire alla fine della speculazione a cogliere l’elemento unificante il tutto, ossia l’idea di movimento.
La scienza metafisica è, per dare una definizione semplice, la scienza dell’Essere in quanto essere in sé. Motivo per il quale è anche chiamata la filosofia prima. Infatti, gli oggetti di studio di questa disciplina sono esattamente i princìpi, le categorie universali e prime delle cose. L’essenza di principi primi può essere sintetizzata nella seguente formula: gli enti che vengono prima per conoscenza, vengono dopo per natura, mentre gli enti che vengono prima per natura, vengono dopo per conoscenza[1].
La metafisica caratterizza sin dalle sue origini la filosofia occidentale (ma non è assente in certe dottrine orientali). Non solo: ad essa è stato affidato lo statuto di scienza più elevata, in quanto l’unica capace di ricercare il fine ultimo ed assoluto delle cose. E se il fine massimo di ogni cosa è il Bene, vien da sé che «tutte le altre scienze saranno più necessarie di questa, ma nessuna sarà superiore[2]». La caratteristica di scienza superiore è dovuta anche al fatto di essere di per sé “inutile”, nel senso di materialmente improduttiva e intangibile; ma allo stesso tempo essa è inutile ad altro perché fine a se stessa; non subisce il vincolo di servitù nei confronti di un prodotto materiale, tangibile che deve necessariamente produrre, ed in tal senso è indipendente e sufficiente per se stessa:
«Come diciamo uomo libero colui che è fine a sé stesso e non è asservito ad altri, così questa sola, tra tutte le altre scienze, la diciamo libera; essa sola infatti è fine a sé stessa[3]»
Ma qualche scettico potrebbe già voler chiedere: su quali basi scientifiche si fonda la filosofia metafisica? Come facilmente prevedibile, vi sono sempre stati intellettuali diffidenti ed accusatori: da Kant e neokantiani ai c.d. analitici; da Nietzsche fino ai post-moderni e pensatori deboli come Derrida e Vattimo. Anche Heidegger denunciava la caduta ella filosofia occidentale nell’«oblio dell’essere». Tuttavia, bisogna subito notare che la metafisica è sempre stata largamente incompresa. Proprio a sostegno di questa tesi si è pronunciato uno dei sommi interpreti della filosofia antica G.Reale:
«Crediamo che il termine “metafisica” sia in assoluto il termine filosofico più frainteso e malinteso, E le numerose polemiche contro la metafisica nella filosofia moderna e contemporanea partono per lo più da una presupposta interpretazione del termine in senso negativo, che si spinge al di là di ogni limite, ossia fino all’identificazione di essa con il non-scientifico[4]»
Lo stesso Heidegger deve precisare che:
«Facendo notare la svalutazione della parola “metafisica” non siamo entrati nel merito del suo significato vero e proprio […] Le parole sono spesso, nella storia, più potenti delle cose e delle azioni. Il fatto che noi in fondo sappiamo ancora ben poco sulla potenza della parola “metafisica” e sulla storia dello spiegamento della sua potenza consente di riconoscere quanto povero ed esteriore sia rimasto il nostro sapere della storia della filosofia, quanto poco noi siamo attrezzati per un confronto con essa[5]»
Per poi ammettere che:
«Metafisica è pertanto il titolo per indicare la filosofia vera e propria e riguarda quindi di volta in volta il pensiero fondamentale di una filosofia[6]»
Pertanto, tornando alla domanda su quali principi scientifici si fondi la metafisica (e quindi, la filosofia in generale), la validità è garantita dal principio più razionale e certo di tutti: il principio di non-contraddizione. È infatti grazie a questo principio che le cose sono ciò che sono e non possono non essere (nello stesso momento e secondo il medesimo rispetto[7]). Se ad A è attribuito il predicato «Socrate è uomo», è impossibile che insieme sia A e nonA, senza che i due termini cadano in contraddizione annullandosi a vicenda.
Appartiene in questo senso alla metafisica lo studio dei contrari e di tutte le categorie di cui l’essere partecipa. Per intenderci, il concetto «contrari» identifica quegli enti e quelle qualità che maggiormente si dicono opposti, insieme ai contradditori; la contrarietà si predica di quelle proprietà che non si possono trovare insieme nello stesso soggetto; si differenziano per genere rispetto al «diverso», perché i contrari tra loro hanno differenza massima; inoltre gli enti si dicono contrari a seconda del rapporto che instaurano con la contrarietà: perché la posseggono, possono produrla, riceverla, la subiscono ecc.
Il principio di non contraddizione, quindi, garantisce in ultima istanza la scientificità di questa facoltà del pensiero. Ma lo è anche e soprattutto nella misura in cui si dimostra immune allo stesso tentativo di confutazione. Infatti, proprio nel momento in cui si debba spiegare la sua inconsistenza o falsità, si sta esattamente ricorrendo ad esso: lo stesso discorso, lo stesso pensiero razionale lo sta confutando lo sta adoperando, quindi lo conferma; sta intrattenendo un discorso (logos) necessariamente logico, non contradditorio; se infatti non pensasse/comunicasse in tal modo, non penserebbe/direbbe niente; non si pensa nulla se non si pensa una cosa determinata[8].
Già a questo punto la questione potrebbe “stare in piedi”, come direbbe Socrate. Ma concediamo anche l’ulteriore obiezione mossa da coloro i quali ritengono che anche questo principio debba avere qualche dimostrazione empirica. In questo caso, la risposta è in parte nella domanda: il principio di contraddizione è autoevidente. Si tratta, per usare un gergo epistemologico, di un assioma, ossia di un principio evidente di per sé, che non ha bisogno di essere dimostrato. Infatti «è impossibile che ci sia dimostrazione di tutto: in tal caso si procederebbe all’infinito, e in questo modo, per conseguenza, non ci sarebbe affatto dimostrazione[9]» Un assioma noto a tutti, per fare un esempio, è quello per cui «ad ogni retta appartengono almeno due punti» e tale enunciato è, come detto sopra, autoevidente.
Prima è stato analizzato il concetto di «contrario», ma questo è solo una delle facoltà dell’Essere. Gli enti infatti possono essere simili, identici, grandi o piccoli, di maggiore o minore qualità, per sé o accidentali ecc. Giova di conseguenza capire preliminarmente cos’è questo Essere di cui si predicano molteplici significati. Le facoltà sopracitate son infatti alcune tra questi significati o parti dell’essere.
Per esempio, dire che «possiedo tre mele» significa tra le altre cose che esiste qualcosa come una quantità che è data dall’«essere tre», di qualcosa che a sua volta è «essere mela»; questa quindi è, in quanto sostanza, oggetto di predicati (qualità, quantità, grande-piccolo ecc.). Quindi l’essere, in questo esempio, ha il significato di quantità, sostanza, possesso, che a sua volta fa parte della categoria di «relazione»; infatti, la relazione in sé ha uno statuto di essere, sebbene a sua volta in molteplici sensi. Uno di questi è la relazione di tipo numerico, ma non in quanto semplicemente appartiene all’ambito dei numeri, bensì perché questi essendo segni del molteplice ed allo stesso tempo misura, stanno in rapporto con l’Unità; riprendendo in questo modo la teoria di Platone[10] è nella misura in cui si può affermare l’Uno, l’Unità assoluta che tutte le cose molteplici possono essere tali. Il rapporto Uno-Molteplice (Uno-Diade per Platone) è in questo senso esso stesso la causa dell’essere di tutte le cose: un ente è tale se e solo se non è anche un’altra cosa (secondo il medesimo rispetto: in termini di quantità non può essere uno e allo stesso tempo due, tre…). La mela è mela e quindi non banana; in tal senso la mela «è» e «non è»; è se stessa e non altro. Similmente il discorso vale per le stesse Idee (Platone) o Forme (Aristotele): queste sono maggiormente «essere» in quanto eterne ed immutabili; gli enti sensibili invece «sono» meno perché soggetti per natura al mutamento ed alla corruzione.
Le categorie non si limitano alla numerologia. Tra i significati dell’Essere vi sono anche la sostanza, la natura, potenza e atto, limite, perfezione; causa, accidente e altre. Non è possibile in questa sede soffermarci completamente su tutte i significati. Ma cos’è questo Essere di cui stiamo parlando ininterrottamente? In realtà è proprio l’oggetto della ricerca in corso. Sicuramente, a questo punto possiamo intanto affermare che di questo Essere non c’è una sola e monolitica definizione. Sul concetto puro in questione vi sono diverse dottrine, sorte già nel mondo classico per influssi di diverse scuole, sulle quali non è possibile stendere una descrizione esaustiva qui. Per adesso basti accennare che le principali correnti furono quella eleatica (Parmenide), henologica (Platone), ontologica (Aristotele), i filoni durante l’Ellenismo (epicureismo, stoicismo, scetticismo), il Neoplatonismo e la dottrina di Plotino.
L’Essere riguarda tutto ciò che è: esiste, vive, giace, viene pensato, ciò di cui v’è un discorso. È, per utilizzare una formula accettata, la totalità delle cose, oppure l’unità che racchiude, concepisce tutte le cose come un intero. Si può intendere l’Essere quindi come una specie di Unità che, rende possibile l’essere se stesse delle cose nella moltitudine. Nell’altra configurazione anticipata, si può pensare come la Sostanza ultima e comune di tutte le cose; tale è l’accezione ontologica, che per etimologia è sinonimo di “metafisica”.
La Sostanza come l’Essere assoluto non è un qualcosa di specificamente materiale, come noi la intendiamo oggi. Se, per esempio, diciamo «l’uomo è cantante», vediamo che l’«uomo» è un essere per sé, mentre l’attributo di «cantante» è un essere per accidente. In altri termini, l’uomo è cantante in questo caso ma l’uomo di per sé non è per forza cantante; se non vi fosse «cantante», l’uomo non cesserebbe affatto di essere «uomo». Pertanto, l’attributo «cantante» è essere solo per accidente, mentre «uomo», in quanto oggetto di predicati è «sostanza» di questi predicati.
Infine, è utile accennare anche ai concetti di Potenza e Atto. Tramite il primo si afferma la possibilità che un essere od una sua facoltà sia, anche se in quel momento non è (una determinata cosa). Il secondo è l’essere quando ed in quanto tale, in quel preciso momento e nella sua forma compiuta. Riprendendo in prestito la categoria dei contrari, in potenza i contrari sono insieme nel medesimo oggetto: la salute in potenza può essere sia buona salute sia malattia; in atto invece la salute o è buona o è malattia.
Questo tipo di pensiero metafisico è, in conclusione, ricerca dell’esistenza di determinate forme e strutture di realtà. È la forza dell’intelletto puro che ritorna più che mai necessario ai fini di una comprensione più completa ed assiale della realtà. Nel tempo di uno scientismo che non solo ha dichiarato guerra contro qualsivoglia campo di sapere oltreterreno, ma che si afferma esso stesso come assoluto e ben più dispotico di una metafisica che colga l’ordine, quindi la bellezza; le connessioni, quindi il senso di tutto il creato, per non parlare del fatto che è soltanto attraverso questi concetti della metafisica che è possibile concepire in modo razionale ciò o colui che chiamiamo Dio. Non è assurdo credere che la metafisica sia stata ritenuta la filosofia prima non soltanto in termini di scienza, ma anche per conseguenze etiche. Chissà se non anche per fare omaggio al più intelligente e giusto tra gli uomini[11], il quale dedicò l’intera sua vita a ricercare se le virtù umane fossero molte oppure una sola, concludendo che esse sono un’unica scienza che unisce le virtù molteplici.
di Matteo Parigi per ComeDonChisciotte
[1] Aristotele, Metafisica, 982 b
[2] Ivi 983 a
[3] Ivi cit.
[4] G.Reale, Storia della filosofia greca e romana, p.2276, Giunti/Bompiani, Firenze 2018
[5] M.Heidegger, Nietsche, p. 373, a cura di F.Volpi, Adelphi, Milano 1994, op. cit.
[6] Ibidem
[7] Metafisica 1005 b
[8] Ivi 1006 b
[9] Ivi 1006 a
[10] Per l’argomento v. Platone, Repubblica, Parmenide, Filebo, Timeo, Lettera VII e gli studi sulle c.d. dottrine non scritte
[11] Platone, Fedone 118 a