Alle radici di un nuovo immaginario

di Paolo Lago e Gioacchino Toni

[In occasione dell’uscita del volume di Paolo Lago e Gioacchino Toni, Alle radici di un nuovo immaginario. Alien, Blade Runner, La Cosa, Videodrome. Prefazione di Sandro Moiso (Rogas 2023), si riporta un breve stralcio dell’Introduzione ringraziando l’editore per la gentile concessione]

Consapevoli che lo sguardo sull’alterità è inevitabilmente anche uno sguardo su sé stessi, sulla propria identità, alcune opere cinematografiche uscite a ridosso dei primi anni Ottanta del Novecento – Alien (1979) e Blade Runner (1982), entrambe di Ridley Scott, La Cosa (The Thing, 1982) di John Carpenter e Videodrome (1983) di David Cronenberg – hanno affrontato in maniera del tutto nuova le montanti paure identitarie del periodo costringendole al confronto con alterità sempre più spaventose. […]

Nelle opere qui selezionate come apertura degli anni Ottanta il futuro si mostra tutt’altro che rassicurante; la tecnologia si svela ben poco affascinante e desiderabile e le corporation che governano i diversi contesti si rivelano interessate esclusivamente al profitto, tanto da mettere in gioco senza alcuna remora il futuro stesso dell’umanità o quel che ne resta.

Ad essere ricorrente in queste opere cinematografiche è anche il timore della perdita del controllo sulle tecnologie; si tratta di una paura ricorrente nel mondo tecnologico e più quest’ultimo è complesso, dunque meno di esso è dato di comprendere, maggiormente si risvegliano inquietudini profonde.

I film presi in esame prospettano una visione distopica del futuro, lontanissima da quei radiosi scenari futuristici che facevano da sfondo anche alle avventure più spaventose messe in scena dalla cinematografia precedente: l’astronave di Alien o la metropoli di Blade Runner si mostrano spazi pericolosi che si reggono su un equilibrio precario che potrebbe implodere da un momento all’altro, la distesa di neve in cui è ambientata La Cosa non esercita alcun fascino e la tele-visione che plasma la mente e il corpo degli individui in Videodrome si prospetta come anticipazione di uno spazio disumanizzato ove l’individuo, sedotto e abbandonato dalle immagini, è condannato a vivere da sfruttato in uno stato di perenne allucinazione a cui paradossalmente fornisce volontariamente il suo contributo1.

Spetta a film come questi disturbare il mito del successo individuale, con la sua pretesa di fare a meno di ogni residuo di socialità, che inizia a diffondersi, come un virus, sin dai primi anni Ottanta. […]

Gianni Canova ricorda come negli anni Cinquanta, nell’indagare la figura dell’alieno nella fantascienza, già Roland Barthes2 avesse sottolineato la sostanziale incapacità nella cultura occidentale di immaginare l’Altro, tanto da risolvere il “controllo sociale dell’alterità” «attraverso un atto di appropriazione e di ridefinizione morfologica che lo rendeva in tutto e per tutto omologo all’Identico»3. Ebbene, già sul finire degli anni Settanta, con il graduale eclissarsi della figura del “nemico esterno”, l’immaginario occidentale si è trovato a fare i conti con “il ritorno del rimosso” e, non avendo più a disposizione un oggetto esterno su cui addossare le proprie paure, ha finito per proiettarle su di un «mostruoso “fantasma circolante, senza forma o confini”, a cui dà tout court il nome archetipo di Alien»4.

Dalle pellicole qui prese in esame sembrano insomma emergere quelle inquietudini identitarie che attraversano gli Stati Uniti a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta destinate a proiettarsi, ben oltre i confini americani, fino ai nostri giorni. L’incontro con l’alterità diviene pertanto l’occasione per fare i conti con sé stessi alle prese con un inquietante mutamento identitario in atto. […]

Alien, Blade Runner, La Cosa e Videodrome si prestano anche ad essere analizzati dal punto di vista dello spazio. In essi, infatti, si alternano diverse tipologie di spazi che possono essere affrontate per mezzo degli strumenti critici offerti da studiosi come Gilles Deleuze, Félix Guattari e Michel Foucault. Ai primi si devono i concetti di “spazio liscio” e “spazio striato”, esposti in Mille Piani. Capitalismo e schizofrenia, uno studio uscito proprio agli inizi degli anni Ottanta, come i film presi in esame. Lo “spazio liscio” è quello del deserto, legato alla “macchina da guerra nomade”, lo “spazio striato”, invece, è proprio dell’organizzazione del potere della città e dell’apparato di Stato5. Michel Foucault, invece, in una conferenza tenuta nel 1967 e pubblicata postuma nel 1984 col titolo Des espaces autres, a fianco di “utopia” introduce il termine di “eterotopia”6. Quest’ultima, nell’ottica dello studioso, si configura come un luogo separato dal normale contesto quotidiano, “una specie di contestazione al contempo mitica e reale dello spazio in cui viviamo”7. […]

[In] tutti e quattro i film la minaccia proviene sempre da una spazialità “liscia”: in Alien e Blade Runner la creatura aliena ed i replicanti giungono dallo spazio, in La Cosa il mostro mutante giunge anch’esso dallo spazio galattico ma anche dal deserto di ghiaccio dell’Antartide, dove viene rinvenuto. In Videodrome, infine, la minaccia proviene dallo schermo e dall’etere delle stazioni televisive, da luoghi inconsistenti e spettrali, onnipervasivi quasi quanto la rete Internet di oggi.

In ognuno di questi film occorrerà prestare anche una particolare attenzione allo spazio come ambiente, come sfondo dell’azione scenica perché i personaggi interagiscono sempre con un ambiente. Quest’ultimo può assumere diverse sembianze e valenze, può essere esterno o interno e, alcune volte, può assumere le caratteristiche delle eterotopie foucaultiane, di spazi cioè completamente “altri”, separati da tutti i normali ambienti della quotidianità.

[Le] pellicole qua affrontate si mostrano del tutto prive di intenzioni rassicuranti; si tratta di opere nate sulle inquietudini per dispensare dubbi. Nel bene e nel male, i primi anni Ottanta del secolo scorso hanno davvero rappresentato un importante spartiacque politico, culturale ed estetico e i film di Ridley Scott, John Carpenter e David Cronenberg hanno sapientemente dato immagine a un nascente nuovo immaginario che, a ben guardare, si è riverberato fino ai nostri giorni. […]

A ridosso dei primi anni Ottanta, Alien, Blade Runner, La Cosa e Videodrome forniscono le prime avvisaglie di alcune questioni su cui, come ha efficacemente illustrato Gianni Canova,8 insisterà, con maggiore evidenza e consapevolezza, il cinema del decennio successivo:

la crisi dell’egemonia dello sguardo nella società contemporanea, la perdita del legame ontologico fra immagine e realtà, l’avvento di un paradigma tecnologico e culturale in cui l’immagine filmica reagisce alla consapevolezza del proprio definitivo ingresso in un regime di simulazione lasciando emergere la crisi delle sue forme tradizionali e dei suoi più collaudati dispositivi di rappresentazione del visibile9.

La progressiva caduta dei sogni di onnipotenza dello sguardo e della fiducia concessa dal cinema all’illusione riproduttiva/sostitutiva del reale, ha indotto diversi film a prospettare una sorta di rinuncia a vedere. […]

Già i quattro film su cui ci si concentra la disamina si fanno carico di segnalare come l’atto del vedere non sia più sufficiente per comprendere e capire, palesando così l’entrata in crisi di una convenzione su cui reggevano il cinema e tutto l’immaginario dell’era del visibile. […]

Alien e Blade Runner di Ridley Scott, La Cosa di John Carpenter e Videodrome di David Cronenberg hanno saputo aggiornare lo sguardo, dando immagine a quelle inquietudini identitarie e a quelle mostruosità che hanno fatto capolino insieme al neoliberismo in apertura degli anni Ottanta e che, in fin dei conti, non sono che le premesse alla nostra contemporaneità, le radici di un nuovo immaginario.

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