Lavoro pubblico nei Comuni: quali criticità dopo decenni di politiche di austerità

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di Tatiana Cazzaniga, Enzo Bernardo (FP CGIL nazionale)

I Comuni stanno scomparendo.

Non appaia un’affermazione paradossale, ma dopo i decenni di politiche di svendita del patrimonio, di tagli ai bilanci, di interruzione del turnover delle lavoratrici e dei lavoratori così come di blocco di ogni possibilità di valorizzare chi lavora nell’Ente locale, non è peregrino chiedersi quale sia il destino dei Comuni italiani.

Nel 1999, con l’entrata in vigore del Patto di Stabilità e crescita interno, furono stabilite misure per far partecipare gli Enti locali agli obiettivi di stabilità finanziaria, definiti dallo Stato in accordo con l’Unione Europea, in seguito all’approvazione del Trattato di Maastricht (1992) e del Trattato di Amsterdam (1997).

Un patto che ha colpito, in particolare, le capacità d’investimento degli Enti locali (fino all’azzeramento, nel triennio orribile 2008-2010) attraverso i tagli dei trasferimenti e la contrazione della spesa corrente.

I Comuni, poi, hanno tagliato e ridotto sensibilmente il personale. Le recenti elezioni delle Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU) hanno dimostrato che molti piccoli Comuni ormai non hanno neppure un dipendente.

L’Istituzione più vicina ai cittadini, il luogo più prossimo dove esercitare la democrazia, rischia di scomparire per consunzione.

Stiamo parlando della capacità di fornire e di esigere i servizi alla persona, da quelli sociali a quelli educativi, passando per tutte le attività della vita quotidiana, la manutenzione, la salvaguardia del suolo e del territorio, laddove l’Istituzione pubblica si mostra e opera solo in quanto capace di far vivere il territorio come soggetto della cittadinanza.

Il Comune vive indubbiamente un problema democratico, l’elezione diretta del Sindaco ha finito per svilire il ruolo dei Consigli comunali, quello che era il luogo deputato alla discussione del futuro del territorio, dove si programmava lo sviluppo sociale, urbanistico, l’igiene ambientale. Ora c’è rimasta solo la discussione del bilancio. Si discuteva del futuro, ora ci si spartisce il poco che c’è. Alla fine, il Comune si ritira dal territorio.

Eppure, sappiamo che i servizi pubblici sono locali e devono essere gestiti dai Comuni. È a partire dalla lotta alla direttiva Bolkestein che FP CGIL, assieme ai movimenti sociali, si batte perché questo ruolo non venga né sottratto né impoverito. Allontanare i servizi dal territorio significa affidare i beni comuni e i beni pubblici, garantiti costituzionalmente, a soggetti esterni con interessi privati incompatibili con il benessere comune.

Si consideri ad esempio il tema dell’acqua pubblica: quella battaglia è ancora oggi in corso nonostante il pronunciamento popolare dei referendum, a dimostrazione di quanto quella lotta fosse necessaria. Si parla di siccità e la variegata gestione del settore idrico si dimostra, ancora una volta, incapace di garantire il diritto all’acqua per tutti. La crisi idrica non è solo quella, importantissima, dell’acqua potabile ma è crisi energetica, del settore agricolo e riguarda oggi tutto il Paese, senza risparmiare neppure la aree più industrializzate del Nord.

I servizi sono forniti e garantiti attraverso il lavoro. Sono svolti da lavoratrici e lavoratori. In passato, quando il Comune aveva a disposizione i propri operai, era in grado di intervenire celermente per risolvere un problema, ad esempio la  chiusura di una buca stradale. Oggi gli appalti e i subappalti ne hanno peggiorato l’efficienza. È stato perso il controllo sull’edilizia popolare, manca laprogettazione, tutto è affidato ad agenzie esterne e possiamo dire che i cittadini alla fine non sanno più che fine fanno le opere pubbliche.

Se mancano i lavoratori demografici i cittadini non riescono più a ottenere l’emissione di una carta d’identità in un tempo ragionevole.  Se manca il personale necessario, i servizi sociali non sono in grado di soddisfare efficacemente e tempestivamente i bisogni dei propri assistiti.

Se ne accorge chi vuole fare un figlio e non ha servizi.

Si parla spesso della città dei 15 minuti, ma deve essere chiaro che ciò significa avere in prossimità tutti i servizi sociali, sanitari, demografici, educativi, gli asili nido, la scuola materna, la scuola primaria. Senza il personale, senza le lavoratrici e i lavoratori questi servizi non possono essere forniti efficacemente.

I numeri non sono meno crudi. I Comuni operano in un comparto, quelle delle Funzioni locali, che ha registrato nel 2020 un totale di occupati (comparto e dirigenza), pari a 490.329 unità. In un decennio sono stati persi 106.767 lavoratori e lavoratrici (ben il -17,88%).

La spesa complessiva per il personale del comparto Funzioni locali è scesa dai 27 miliardi di euro circa del 2011 a poco più di 22 mld nel 2020. Si tratta di una riduzione del 18,7%,  la più alta tra tutti i settori della Pubblica Amministrazione. Una punizione, più che una penalizzazione.

Con questi dati il declino è vicino. Si finirà per svuotare la democrazia. Vuol dire rendere fragile una comunità. Vuol dire abbandonare un presidio della democrazia, che garantisce diritti universali a tutte e a tutti.

La stessa pandemia avrebbe dovuto insegnare che le comunità locali sono il primo fronte della tutela della salute collettiva. Pochi ricordano che il Sindaco di un Comune è il primo responsabile della salute dei cittadini. Nei piccoli Comuni se va via il medico di medicina generale, i cittadini interpellano il primo cittadino e i consiglieri.

I Comuni, invece, sono stati impegnati non a garantire i servizi ma a tagliare la spesa ad essi destinata, a esternalizzare e privatizzare i servizi pubblici locali, fino a mettere sul mercato il suolo, il territorio e il patrimonio immobiliare.

È necessario un cambio radicale nel campo dei bilanci pubblici diventati oramai un luogo di finanziarizzazione. Dobbiamo partire dall’idea che i servizi pubblici locali siano un investimento e non una spesa. Le scelte di finanza locale devono tornare nelle mani dei cittadini e dei rappresentati.

La Costituzione italiana è chiara: gli  Enti locali devono poter finanziare integralmente le funzioni pubbliche a loro attribuite, perseguendo la rimozione delle diseguaglianze economiche e sociali e favorendo l’effettivo esercizio dei diritti della persona, la soddisfazione dei bisogni primari delle comunità locali di riferimento, l’inclusione, la coesione e la solidarietà sociale, la salvaguardia degli ecosistemi, del territorio, dell’ambiente urbano e del patrimonio comune (art.9) garantendo la sostenibilità ecologica delle attività produttive ed economiche territoriali, anche in relazione al riscaldamento globale e ai conseguenti cambiamenti climatici in corso.

Siamo certamente contrari alla autonomia differenziata, non certo al decentramento e al suo valore. Eravamo contrari alla cancellazione delle Province e ancora oggi paghiamo il prezzo di una scelta ideologica che ha ridotto e reso meno efficace l’azione politica ed amministrativa per la difesa dei diritti dei cittadini. Passando oltretutto attraverso il dolore e l’ingiustizia della perdita del luogo di lavoro per migliaia di lavoratrici e lavoratori.

Le politiche degli appalti – che hanno causato dumping contrattuale e lavoro povero all’interno del settore pubblico e in particolare nei Comuni – e la riduzione delle risorse hanno prodotto una mancata valorizzazione dei profili professionali, che ormai non sono più intercettati dalla pubblica amministrazione. I bassi salari e la mancata valorizzazione della carriera fanno sì che lavoratrici e lavoratori escano dai Comuni senza essere sostituiti da nuovi dipendenti. Il lavoro pubblico non è più attrattivo. Concorsi recenti, come quello per l’assunzione di personale nell’ambito dei Fondi coesione per il Sud, richiedevano, per essere assunti in un Comune, lauree e master, proponendo però un lavoro precario con stipendi di 1300 euro, responsabilità pari a quelle di un dirigente e assenza di alcuna prospettiva di stabilizzazione.

Per questo abbiamo bisogno di uscire da questa tendenza distruttiva. È necessaria una campagna straordinaria di assunzioni, in particolare nei Comuni, con salari dignitosi; serve una campagna contro le esternalizzazioni, contro il lavoro povero e la precarietà, che parta subito dalla stabilizzazione dei precari nella pubblica amministrazione e un piano straordinario di investimenti.

Foto:

Fog City” di davidyuweb ( CC BY-NC 2.0.)

Work in progress” di Stefano Mortellaro (CC BY-ND 2.0)

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 51 di Gennaio-Marzo 2023: “Riprendiamoci il Comune

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