La manifestazione di Steccato di Cutro, al netto del dibattito sul luogo di indizione, è stata necessaria e doverosa. Oltre 5.000 persone hanno attraversato la frazione balneare di Cutro, dove il 26 febbraio, a poche bracciate dalla costa calabrese circa un centinaio di persone hanno perso la vita, in quello che è stato considerato come il più grave naufragio degli ultimi 10 anni e che in molte analisi ha tracciato un filo di continuità con la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013.
Promossa dalla Rete 26 febbraio, “Fermare la strage, subito!“, ha visto l’adesione e la partecipazione di un ampio arcipelago di realtà sociali e associative che hanno deciso di mobilitarsi da tutta Italia (ma soprattutto dalla Calabria e dalle altre regioni limitrofe), e suggella un periodo di iniziative territoriali, che dopo lo shock del naufragio, hanno riportato in piazza lo sdegno e l’urgenza di soccorrere le persone, nonché l’urgenza di un cambio radicale delle politiche migratorie per garantire il diritto alla mobilità umana e mettere la parola fine ad ogni politica incentrata sul respingimento e l’esternalizzazione delle frontiere attraverso accordi con dittature e milizie.
Il corteo partito alle 14.30 con ancora dei pullman in arrivo, fin dalla partenza, si è caratterizzato in due spezzoni: il primo, silenzioso, che si è voluto rappresentare con bandiere della CGIL e di striscioni delle sezioni regionali del sindacato, con dietro l’ARCI e alcune ong; il secondo, con amplificazione e poche bandiere di appartenenza, si è definito e descritto negli interventi e negli slogan rilanciati, con in testa lo striscione della Rete 26 febbraio sorretto dai familiari dei dispersi, e a seguire associazioni antirazziste, centri sociali, sindacati di base.
«Non si poteva rimanere in silenzio, non è il momento del lutto ma della rabbia di fronte ad un omicidio di massa che è avvenuto per volontà politica, di fronte alla squallida passerella del governo Meloni a Cutro e alle politiche razziste e anti-migranti che continuano da oltre 20 anni» ha dichiarato al microfono un militante de La Base, realtà sociale di Cosenza promotrice della contestazione di giovedì a Cutro.
«Vogliamo verità e giustizia. Se la missione di soccorso fosse stata attivata immediatamente come è successo questa notte con le tre diverse operazioni SAR al largo delle coste calabresi – ha osservato una attivista locale – le persone sarebbero vive e probabilmente già ripartite per altri paesi europei dove ricongiungersi con i loro parenti». La triplice operazione di soccorso notturna, dove complessivamente sono state soccorse oltre 1.300 persone a circa 100 miglia dalla Calabria è la riprova molto concreta che quando i mezzi di soccorso si attivano in tempo e in forza, è possibile prevenire qualsiasi naufragio.
«Continuate a cercare in mare fino a quando non saranno ritrovate tutte le persone disperse» è l’appello rivolto al governo italiano da Zara, rifugiata afgana che ha chiesto di proseguire le ricerche e di ascoltare le famiglie per il rimpatrio delle salme.
«I famigliari delle vittime che sono ancora qui chiedono da un lato che le ricerche non vengano interrotte, dall’altro di essere ascoltate per quanto riguarda il rimpatrio delle salme», ha confermato il progetto Mem.Med che fin dal giorno successivo al naufragio si è fatta carico di un lavoro continuativo di sostegno e accompagnamento dei parenti. Non è chiaro quali siano le intenzioni delle autorità italiane in merito alle ricerche in mare, ma un primo tentativo di trasferire lontano da Crotone le salme di alcune vittime del naufragio è stato interrotto solo dopo le proteste dei familiari. «C’è chi vorrebbe rimpatriare le salme nel Paese d’origine e chi preferirebbe invece portarle dove si è stabilità la comunità o dove vivono i parenti, sono situazioni diverse ma accomunate dal fatto che nessuna autorità se ne occupa».
Le testimonianze dei familiari confermano che oltre che alla violenza del confine, al dolore per la perdita di una persona cara, si è aggiunta altra violenza e altra sofferenza. Non solo c’è stata un’omissione di soccorso che ha lasciato morire delle persone, ma pure dopo non si è tenuto conto della dignità dei soggetti, che sono stati abbandonati e supportati solo dall’associazionismo e dal volontariato locale. In tutto ciò è stata evidente l’assenza di una cabina di regia e di un piano organizzato che sapesse tenere in considerazione i bisogni plurimi, a partire da un supporto materiale fino a quello di cura, mediazione e psicologico. Siamo di fronte a reiterate e gravi inadempienze delle autorità italiane: di come è stata gestita la camera ardente al Palamilone, del modo in cui sono stati trattati i parenti delle vittime e le stesse persone sopravvissute. Una vergognosa vicenda che tocca più livelli e che sarà importante raccontare.
Altre voci durante il percorso hanno risposto alla propaganda governativa che ha toccato il suo punto massimo durante la conferenza stampa del consiglio dei ministri a Cutro, palcoscenico usato per comunicare l’approvazione di un nuovo decreto straordinario e repressivo, dove il nemico pubblico numero uno, il capro espiatorio delle tragedie del mare su cui riversare tutte le responsabilità, e così auto-assolversi di tutto, è diventato lo “scafista”. Un decreto che, una volta spenti i riflettori su Cutro, mette mano alla protezione speciale con l’intento di arrivare ad abolirla, cosa che porterebbe ad un aumento delle persone irregolari, e punta a potenziare i CPR e a togliere tutele giuridiche nelle procedure di trattenimento ed espulsione, anche dei richiedenti protezione internazionale.
La manifestazione si è infine conclusa sulla spiaggia, a poche centinaia di metri dove sono visibili i resti del caicco. Una parte del primo spezzone ha accompagnato dei sindaci locali mentre deponevano delle corone di fiori; il secondo spezzone, compatto, ha prima di tutto ascoltato le voci dei familiari delle persone disperse e ha partecipato al toccante momento di commemorazione richiesto dalla comunità afghana.
«Oggi parliamo insieme a loro e non per loro, siamo uniti nel pianto, nel dolore ma anche per proseguire insieme nella richiesta di verità e giustizia e politiche diverse» ha detto la Rete 26 febbraio. E mentre si alternavano al microfono gli interventi finali, è stata data la notizia del ritrovamento di un altro piccolo corpo, la 76esima vittima accertata, la ventiduesima al di sotto dei 12 anni[1].
[1] Questa mattina, domenica 12 marzo, sono state ritrovate altre 3 vittime. Sale così a 79 il numero delle persone che hanno perso la vita nel naufragio: 32 di loro sono minori, di cui 23 compresi nella fascia d’età tra 0 e 12 anni