di Nico Maccentelli
Oggi è il 25 aprile e la Resistenza narrata dal regime, con le sue liturgie e le icone del passato tanto comode per le baruffe della partitocrazia, avrà anche troppo spazio. Per questo voglio fare qui una “contro-liturgia” (mo basta con le sacralizzazioni che depotenziano i reali contenuti!) e parlare di altre Resistenze: quelle di oggi, quelle che vengono occultate e censurate, attaccate e derise dal sistema mediatico.
Partiamo con la prima Resistenza, tutta Ucraina. Ma non quella della propaganda atlantista dei vari programmi su La7, la RAI, Mediaset, della carta stampata come i bugiardoni di regime: La Repubblica, La Stampa e il Corriere, bensì quella di chi in quel vero e proprio mattatoio che è l’Ucraina, la guerra proprio non la vuole: non vuole combatterla e non vuole viverla. E rifiuta la narrazione drogata di un regime nato da un golpe targato CIA nel 2014, che ha non solo represso l’opposizione interna russofona e ortodossa d’osservanza moscovita, ma ha chiuso radio e giornali, messo al bando i partiti d’opposizione compreso il PC d’Ucraina, perseguitato giornalisti e chiunque cerchi di informarsi su canali alternativi e di esprimere il proprio dissenso. Un regime che con un sito, Myrotvorets (1), segnala i “nemici” da colpire e cancella come “eliminati” quelli assassinati dalle sue bande naziste, come accaduto al fotoreporter italiano Andrea Rocchelli e alla giornalista Dughina. In una guerra iniziata con questo golpe e con l’aggressione alle Repubbliche di Donetsk e Lugansk, nate per difendere la popolazione russofona dalla repressione nazi-banderista (2).
In questo contributo video di Nicolai Lilin si scopre che una rete di ragazzi ucraini, per fuggire dalla guerra, ha aiutato a scappare dal paese almeno (stima la Gestapo, pardòn, i servizi ucraini) 1500 retinenti alla carneficina bellica. A fuggire da un paese il cui governo ha persino proibito per legge l’eventualità di intavolare trattative con il nemico. Anche psicologicamente una gabbia sociale che non lascia alcuno scampo.
Due di questi attivisti si sono già presi sette anni. Il perno centrale di questo gruppo (non ne conosciamo il nome) stava in Moldova e fortunatamente è riuscito a scappare, evitando così i 9 anni che il regime banderista di Kiev voleva comminarli.
Questo dunque è un episodio della Resistenza vera in Ucraina, non quella del battaglione Azov spacciato dai nostri falsificatori a mezzo busto per un circolo di lettori di Kant. E neppure quella degli “anarchici” armati fino ai denti e a pieno servizio della strategia unipolare atlantista, organici all’esercito nazi-banderista, strani soggetti ai quali certa compagneria dà spazio associandola a Resistenze antifasciste e antimperialiste vere e proprie come in Rojava o nel Chiapas.
La vera Resistenza dunque, in Ucraina come altrove, è resistere alla guerra, battersi contro il fascismo di cui si tinge ogni regime che la guerra la vuole imporre sempre per gli interessi delle classi dominanti. Ciò significa disertare, rifiutare, sabotare e nelle condizioni che lo consentono, combattere l’unica guerra che valga la pena di essere combattuta: quella degli sfruttati contro gli sfruttatori, la guerra popolare e proletaria realmente antimperialista e di classe, nelle fasi politiche in cui questo passaggio si rende necessario e inevitabile.
Pertanto, è possibile sfilare il 25 aprile con le Schlein dall’elmetto rosa? No, proprio non è possibile. Non lo è in linea di principio perché come la Meloni e il resto della partitocrazia il PD è più che supino ai desiderata imposti dagli USA attraverso la NATO nell’invio di armi a Zelensky, in spregio e violazione ancora una volta dell’art. 11 della Costituzione. È soprattutto la forza politica maggiormente accreditata a Washington e non da oggi.
Non è possibile nemmeno riguardo il sentiment del nostro popolo, che non vuole questa guerra e non vuole mandare armi a uno dei due contendenti. Per cui, quale Resistenza abbiamo in comune con il PD e compagnia cantante? Nessuna, quando c’è chi sostiene un governo nazi-banderista e destra o sinistra che siano, obbediscono al padrone d’Oltreoceano andando persino contro gli interessi del proprio paese.
Ma questo sentiment nostrano, ben espresso da fior di sondaggi, si lega bene a un’altra Resistenza, che è andata oltre una visione del fascismo piuttosto retrodatata, fatta di orbace e fez, di nostalgici a Predappio e di gruppi manovrati dagli apparati dello Stato alla bisogna.
È una Resistenza diversa, che in questi tre anni è cresciuta in una vasta opposizione sociale alle restrizioni pandemiche che, la si pensi come si vuole, di fatto hanno rappresentato un laboratorio politico di controllo sociale che molti, purtroppo, nella sinistra di classe hanno sottovalutato. Una Resistenza popolare che ha attraversato numerosi paesi, dal nostro all’Australia, al Canada e a numerosi altri (3). Una Resistenza che ha saputo collegare questo passaggio autoritario di superamento persino dei diritti fondamentali “borghesi”, quello delle restrizioni “sanitarie” alla successiva fase di guerra che stiamo vivendo oggi.
Cos’è allora il fascismo e come si presenta oggi? In questo spunto di Andrea Zhok, c’è una sintesi che ben lo definisce:
«Dopo l’uscita giovialmente fascista di La Russa sui partigiani, eccoci ricaduti stancamente per la miliardesima volta nel giochino politico più stantio della storia italiana.
A destra ogni tanto si sveglia qualcuno, estraendo l’orbace dall’armadio tarlato del nonno, e per darsi un tono tira fuori qualche trombonata da Cinegiornale dell’Istituto Luce. Sorge naturale il sospetto che gente come il ridente Presidente del Senato siano a libro paga del PD, perché cosa farebbe il comitato di affari multinazionali che risponde a quel nome senza le sue cicliche rimpatriate “antifasciste”?
Se non ci fosse ogni tanto qualche anziano reduce che se ne esce con un bel “Quando c’era LVI!” una buona parte del PD (e dell’odierno arco costituzionale) non sarebbe distinguibile dal reparto pubbliche relazioni di una Corporation multinazionale.
Ma grazie al cielo ogni tanto, come i pugili suonati che menano pugni all’aria al suonare del gong, di quando in quando si riesce ancora a riesumare qualche scampolo di “minaccia fascista” d’antan e a “sinistra” per qualche giorno si può respirare:
“Fiuuu! Abbiamo ancora una ragione di esistere”.
Ora, il punto davvero grave, quello imperdonabile e che se ignorato oramai deve essere inteso come dolo, è non capire DOVE sta il potere oggi e qual è l’orizzonte odierno di pericolo rappresentato da QUESTO potere.
Perché, sia ben chiaro, è sacrosanto tener ferma la condanna del fascismo storico.
E’ sacrosanto perché è giusto lottare contro un Potere impermeabile alla volontà popolare, contro un Potere che monopolizza la comunicazione mediatica, contro un Potere che censura le voci politicamente sgradite, un Potere dove politica, “padroni del vapore” e magistratura si allineano nello schiacciare ogni contestazione, un Potere guerrafondaio e affetto da un patologico senso di superiorità.
E’ giustissimo combattere tutto questo.
Solo che oggi tutto questo non lo si trova sotto il nome “fascismo”.
Il Potere reale, il Potere apparentemente illimitato, arrogante e pericoloso oggi è nelle mani di un blocco politico tecnocratico e neoliberale, trasversale a destra e sinistra, un blocco il cui baricentro è il “medio-progressismo” (cit. Fantozzi) rappresentato al meglio da forze come il PD.
E’ così negli USA, è così nell’UE ed è così in Italia.
E riciclare oggi il “pericolo fascista” non è più un errore di analisi: è una colpa politica grave, è complicità con il potere nella sua forma più pericolosa.»(Andrea Zhok)
Io semplicemente mi limito a definire il fascismo come quella forma di dominio repressivo e classista che il capitale assume in determinate fasi di crisi economica, politica e sociale nei confronti delle classi popolari subalterne. Quando il suo potere viene messo in discussione, ma anche quando il conflitto sociale è a dei livelli così bassi da consentire spazi di manovra sul corpo sociale tali da abbassare l’asticella dei diritti, dei salari, delle forme di democrazia che lo stato liberale aveva dapprima concesso nel corso delle lotte sociali.
Il primo caso, in Italia, trovò le sue massime espressioni con modalità diverse a seguito delle lotte operaie e contadine degli anni ’20 con l’ascea di Mussolini e nell’Italia del secondo dopoguerra attraverso la strategia della tensione e lo stragismo di stato voluto e diretto dagli USA negli anni della Prima Repubblica.
Mentre il secondo è proprio di oggi, dopo la sconfitta storica delle organizzazioni della sinistra rivoluzionaria e di classe e della forza del movimento operaio nei mutamenti di composizione di classe e di avvento del tatcher-reaganismo neoliberista nei primi anni ’80 del secolo scorso. Se facciamo un paragone con la situazione francese, lo scarto di conflittualità sociale balza subito agli occhi.
La discesa in piazza di un movimento anti-pandemico, certo eterogeneo, con molta confusione, certe ambiguità, espressione dei più diversi settori sociali colpiti dalle restrizioni che toccavano anzitutto il mondo del lavoro: lavoratrici/tori, piccole attività, avrebbe dovuto comunque svegliare lo spirito tattico leninista in certi ambiti dei comunisti italiani. Ma si è lasciato il campo a forze di altra natura, spesso apprendisti stregoni che oggi nell’inevitabile riflusso del ciclo di lotte si contendono le spoglie di questo movimento con goffi quanto autoreferenziali tentativi di aggiudicarsi l’egemonia, di cosa poi…
Ma comunue questo vasto ciclo di lotte trasversali nel corpo sociale, il cosiddetto 99%, ha saputo collegare nel post-covid il legame di continuità tra la “dittatura sanitaria” e la guerra attuale. “Guerra e pandemia, unica strategia” è lo slogan che sintetizza questa consapevolezza in un antifascismo che spesso è più nei fatti che nelle intenzioni, poiché il fascismo oggi si ripresenta come strumento autoritario della guerra imperialista, ma anche come laboratorio di controllo sociale e in specifico del capitale sul lavoro, come guerra sociale dall’alto, che non ammette emendamenti alla sua traiettoria bellicista e di rapina sociale.
Chi nell’ambito dell’antagonismo di classe ha paragonato il greenpass al tesserino sanitario, addirittura alla patente ha fatto e tutt’ora sta facendo del buon antifascismo? In realtà il compito di questo antagonismo doveva essere quello di andare in quelle piazze che hanno risposto con la mobilitazione al ricatto del greenpass, a un regime che ha sospeso migliaia di lavoratrici e lavoratori. Ma questa miopia gli ha impedito qualsiasi iniziativa in questo senso, lasciando nell’ignavia il miglior patrimonio politico della lotta di classe italiana. La risposta dunque è no, non fa un buon antifascismo.
L’intervento politico è venuto invece da quelle componenti di questo patrimonio che all’inizio in ordine sparso, poi via via con livelli minimi di organizzazione di base è stata interna a questo movimento e oggi spinge per sviluppare la consapevolezza che la guerra conclamata ha una stretta correlazione con la guerra biologica creata e sviluppata nei biolaboratori in tutto il mondo e di cui Wuhan rappresenta la struttura più nota ed emblematica. Così come la correlazione è anche tra guerra imperialista esterna e quella antiproletaria interna, con l’autoritarismo biotecnologico che piega il lavoro salariato agli standard di sfruttamento necessario al capitale per estrarre pluvalore relativo e assoluto dai corpi precarizzati, individualizzati, ossia privi di anche solo un’intenzione aggregativa di classe.
È su queste coordinate politiche che parte della sinistra rivoluzionaria sarà presente alla grande manifestazione del prossimo 1° maggio a Pesaro, contro la costruzione di un biolab di terzo livello in Italia e in una zona del tutto inadatta: vicino a numerose abitazioni e su terreno alluvionale (4).
La lotta dunque continua e non ho trovato parole più adatte per definire la nuova Resistenza a un capitalismo atlantista in declino e per questo ancor più pericoloso e feroce Sono queste parole di Davide, amico e compagno:
La Liberazione è cosa seria
E oggi più che mai necessaria: occorre liberarsi dal sistema della guerra permanente, dal sistema della paura, del terrorismo di stato che si sussegue ininterrotto di emergenza in emergenza per legittimare sempre nuove forme di comando e di sfruttamento.
Liberarsi dalla paura e dalla vigliaccheria che hanno portato a dare credito alla più grande operazione di militarizzazione integrale della società che hanno chiamato pandemia.
Quell’operazione NON È UNA PARENTESI INFELICE DELLA STORIA, bensì un’ accelerazione di processi già in atto da decenni e arrivati ora ad una svolta epocale, basata sul dominio totale dell’oligarchia capitalista in lotta per tenere a galla un sistema, il loro, malato terminale, che sta portando l’ umanità nel baratro.
Il primo passo del cambiamento necessario è avere chiara la visione dei processi in atto, cosa che per ora non si esprime minimamente a livello collettivo. Non a livello di massa.
Quindi non sorprende assistere allo spettacolo indegno di gente che scambia la guerra della Nato per Liberazione.
La maggior parte di quei signori sono gli stessi che parlavano di “responsabilità sociale” in appoggio alle inoculazioni forzate.
Di menzogna in menzogna, dalla guerra “sanitaria” a quella imperialista.
Due facce della stessa medaglia. Chi continua ad occultare una delle due, o applaudire ad entrambe, farebbe bene a lasciar perdere il 25 aprile, la liberazione ha bisogno di uomini e donne libere, non di servi addormentati.
Cominciare dal CORAGGIO, qualità primaria in via di estinzione: dal latino HABEO CORE, avere cuore.
Una vita senza coraggio è una vita senza cuore, da morti che camminano, il materiale umano necessario alle guerre del capitale.
DISERTARE RIFIUTARE SABOTARE.
Evviva la Libertà, evviva la liberazione.
Davide Milazzo, insegnante di arti marziali
Note:
1. Si veda: https://it.wikipedia.org/wiki/Myrotvorets
2. Qui Valerio Evangelisti spiega molto bene il contesto in cui è nata questa aggressione, otto anni di bombardamenti sulla popolazione civile del Donbass. Aggiungerei una considerazione: la Resistenza in Italia ebbe l’apporto decisivo di forze imperialiste come quelle angloamericane contro il nazifascismo. Si facciano le dovute conclusioni e accostamenti a partire dalle ragioni di un popolo oppresso e a cui è stato vietato persino di parlare il russo. La questione è un po’ più complessa di come la pongono certi “compagni”.
3. si veda il laboratorio canadese nel mio intervento su Carmilla qui e a Radio Blackout il 23 febbraio 2022.
4. Qui il mio blog che dà spazio alle Lavoratrici e Lavoratori autorganizzati (Ravenna) e qui un sito dell’Assemblea Antifascita contro il Greenpass (Bologna). Entrambi articolano le mobilitazioni da un punto di vista di classe.
(Immagini tratte dalle opere di Bansky e il “Chef Guevara” da Tv Boy)