La lingua dovrebbe esser la creazione congiunta di poeti e operai -George Orwell
Quando parliamo di poesia vengono in mente i grandi autori e autrici che hanno reso famosa la forma d’arte. Da Saffo a Neruda, passando per Dante, Majakovskij, Rimbaud: nomi che tutti conosciamo e che suggestionano e continueranno a suggestionare intere generazioni di individui.
Come forma d’arte è stata declinata in un’infinità di modi differenti. La poesia come preghiera e meditazione, come nella mistica islamica. La poesia come catarsi, come liberazione dai mali interiori. E ancora, la poesia come celebrazione dell’edonismo, della sregolatezza, dello stile di vita bohemien.
La poesia come musica, vera peculiarità del mezzo di comunicazione poetico: il sentire le parole anche al di fuori del significato, ricercare nella fonetica il senso della bellezza.
Forse, se c’è un ambito che sembra proprio non coniugarsi con la poesia, è proprio la fabbrica.
Potremmo liquidare la questione semplicemente affermando che non ci sono “ponti” tra i due mondi. Del resto, sembra che la storia -perlomeno quella che ci viene sovente raccontata- scavi un grande selciato tra chi produce merci chi produce cultura, quest’ultima spesso appannaggio di classi borghesi.
Proprio in questo contesto nasce la necessità della poesia operaia. Spesso si parla di come la classe lavoratrice abbia difficoltà a coniugare ciò che viene sterilmente definito “capitale culturale”. La letteratura ha sempre avuto questo problema: come possono storie che trattano di tutt’altro avvicinarsi alla stragrande maggioranza di lavoratori e lavoratrici, che le percepiscono come distanti e lontane dal proprio vissuto?
Di recente siamo però dinanzi ad un forte revival della letteratura working class, testimoniato anche dall’omonimo Festival che si è tenuto a Campi Bisenzio dal 31 Marzo al 2 Aprile nei locali della GKN.
In questa occasione abbiamo avuto il piacere di conoscere e di dialogare con Matteo Rusconi, poeta e operaio metalmeccanico.
Qui di seguito pubblichiamo una selezione di poesie della sua ultima raccolta Trucioli (Aut Aut edizioni,2021) con un commento originale dello stesso Rusconi:
“Quello della fabbrica è un contesto da sempre regolato da ritmi, tempi e cicli di lavoro vorticosi che tendono ad appiattire le capacità cognitive a favore di quelle “meccaniche”. Già ne parlavano negli anni Settanta i cosiddetti poeti operai (Di Ruscio, Brugnano, Di Ciaula, per citarne alcuni) i quali, attraverso i loro versi, denunciavano le condizioni di vita all’interno delle fabbriche.
Ad oggi però, nonostante le varie conquiste, pare che non sia cambiato molto: si timbra il cartellino e subito si viene gettati dentro a un mondo in continuo movimento, sempre più robotico e alienante, in cui si diventa noi stessi codici e ingranaggi di una macchina più grande.
In tutta questa delirante depersonalizzazione la poesia, oltre a essere un potente strumento di denuncia, può diventare un valido mezzo per riappropriarsi del proprio io interiore e della propria condizione sociale, recuperando così parte di quella umanità che piano piano stiamo perdendo.”
***
METALLO DURO
Vieni
vienimi a trovare
tra punte di metallo duro che mi forano il petto
tra il refrigerante che schizza
come pioggia opaca contro un cristallo
azzera il ciclo del filetto
-ripetizione su ripetizione-
stacca la batteria del muletto
stanco, chiudi il portone e ammazza l’aria
sigilla le ventole che aspirano la noia.
Vieni a bruciare
il segno del truciolo affilato,
tagli che al mattino mi hanno stregato
come se fossero rughe di una vecchia strega.
Tra lamiere accartocciate
fragili e deformate, come carta di spagna piegate
poni lo spessore dei tuoi polpastrelli. Accudiscimi.
Scaglia a terra i miei vestiti
mostrami il verme rinchiuso in un cassone
il suo fabbricarsi le proprie corone.
Vieni
vienimi a salvare
con la tua valigetta da rappresentante
con gli occhiali protettivi di plastica trasparente
porta con te
tre punte di metallo duro
trafiggi i miei palmi. Rendimi uomo.
CATENA PERPETUA
Poesie prefabbricate
versi al carbonio
inox e cemento e cielo grigio
pausa di un’ora
cibo in scatola
carne a pezzetti assembramento di Lego
carie e stress
raschiare il superfluo
produrre il bello, produrlo funzionante
produrre
la biro frena, la poesia sfancula
produrre
respirare
respirare se fai in tempo
si inceppa la Fiat 500
la busta paga non ritorna
produrreprodurreprodurreprodur-reprodurre
respirare
respirare
respirare se c’è tempo
fumi di veleno
morire
essere sconfinato tra le pagine di un libro.
SEI L’ALBA DEL MIO GIORNO
A Chiara
Sei l’alba del mio giorno
alta, oltre l’odore acre del limone chimico
con cui detergo
il carter di ogni mio palpito.
Mattina nitida
scia di elettroni nello scarto
sei lampo di verità
vita mossa al di là
di qualsiasi contratto umano.
Sei l’alba del mio giorno
anche dietro le saracinesche scure
e durante le ore
in cui un controller FANUC
sagoma l’inerzia del mio movimento.
Risplendi ancora
sulle mie spalle appesantite di fatica
risorgi ancora, dalle mie scapole
più forte di tutti i neon travestiti da sorgente.
SIBERIA
È uno spigolo di Siberia, la fabbrica
quando riapre
con i suoi discorsi di ferie passate, di sveglie suonate
mai troppo presto
e che ti fanno rimpiangere l’inverno per la strada
mentre tua madre sta sognando tuo padre ancora
[giovane
di quella giovinezza che le suggerisce l’ora di andare
in cucina, a preparare la colazione
e più tardi
il pranzo per la tua pausa da campione
-perché sei ancora il suo campione-
anche se oramai
le mutande te le lavi da solo.
È un campo di Siberia, la fabbrica
con il taglio degli utensili ghiacciato
che ti rimanda ai pini sotto zero
e non appena stringi il primo pezzo in morsa
parallelo senti il gelo mordere la condensa dei tuoi
[pensieri
e vorresti scoppiasse un incendio in reparto
per scaldarti un poco le brache
e farti qualche goccio in più di ferie
per spendere tutto ciò che dalla tredicesima in tasca ti
[rimane.
Quando riapre, in inverno, questa fabbrica
è come la taiga siberiana
fa un freddo assassino
e io sembro mio nonno partito nel 41’ per il fronte
da cui ha fatto ritorno
con l’artico infiltrato nell’eskimo
e con un sacco in spalla pieno di storie tristi
che in confronto questo gelo
ha il calore di un timido inverno.
FERRO
La poesia è una fabbrica
una città meccanica
un convoglio industriale
e io sono un poeta operaio
un poeta del ferro
un poeta d’acciaio.
Non riesco più a pulirmi
dagli angoli neri delle mie mani;
da una cicatrice sulla nocca
il ferro mi ha messo radici dentro.
CONTESTAZIONE DISCIPLINARE
Si contesta al signor “poeta”
che sul posto di lavoro egli si scervella troppo
provocando il tragico rallentamento delle consegne
con dolorose conseguenze.
Si rende noto che secondo la legge
la nostra legge
gli è tassativamente negato di sfarfallare,
qui non è mai la stagione adatta per uno sfuggente
[svolazzare
si deve lavorare
senza sosta produrre
e frastornarsi con i rumori della galera.
Se si vuole un po’ di aria fresca
sarebbe meglio cercarla altrove,
magari dove è concessa anche l’erba di un recinto…
D’ora in poi non saranno più tollerate
impaginazioni di corrieri sibillini
e sarà vietato chiunque si creda uno scrittore pittore
[cantore
di sprecare colore per imbrattare le ore dedicate alla
[reclusione.
In fondo, è per grazia da noi concessa
timbrare un cartellino
perdere lo status di Poeta
quindi, si richiede la massima devozione
e di scambiare il volto di Dio con quello del padrone.
L’immagine di copertina è tratta dalla copertina del libro di Matteo Rusconi Trucioli (Aut Aut Edizioni 2021).