Militarizzazione e repressione nei territori indigeni

Il 25 aprile 2023 è partita la carovana El sur resiste, coordinata da organizzazioni indigene del sud-est messicano afferenti al Congreso Nacional Indigena (CNI), con la partecipazione di organizzazioni europee e internazionali. Più di 170 persone con cui condividiamo un tragitto di 10 giorni per 7 Stati della regione.

In un Messico in cui disuguaglianze e insicurezza sono in continua ascesa, in cui l’estrazione di valore dai territori e dai corpi è al servizio del capitale nazionale e transnazionale in nome dello sviluppo e della modernizzazione al servizio dei ricchi e dei potenti, questa prova di forza risalta la volontà dei los de abajo di reagire a quella che il governo chiama “quarta trasformazione”.

Già dai primi incontri è stato ricordato l’imminente trentennale del levantamiento zapatista, esperienza che ha ridato dignità ai popoli indigeni che da più di 500 anni vengono sottomessi, colonizzati e sfruttati in nome dello sviluppo capitalista coloniale. Una sottomissione che non si è mai fermata e si traduce oggi nella continua marginalizzazione e repressione che subiscono le popolazioni indigene da parte dai vari corpi delle forze pubbliche, esercito e Guardia Nacional in primis.

La ricerca di autonomia, il recupero della memoria e della cultura indigena, hanno sedimentato in questi anni una grandissima forza organizzativa delle comunità anche nei centri più urbanizzati. La lotta contro le altissime tariffe elettriche ha fatto sì che si sviluppasse un pensiero critico tra la popolazione rispetto ad altri megaprogetti connessi alla produzione energetica, come raffinerie, miniere e parchi eolici, oltre all’evidente devastazione ambientale che ne consegue. 

Proprio questa strenua difesa del proprio territorio e del proprio modo di vivere ha da sempre attirato la repressione da parte del governo e dai suoi alleati della criminalità organizzata; innumerevoli gli episodi di minacce, estorsione, sequestri, incarcerazioni e omicidi per intimidire chi ha scelto di mettere i propri corpi in prima fila nella difesa dell’acqua, della terra e dell’aria.

Un esempio dell’imponente depredazione di questi territori è l’oleodotto che dovrebbe portare petrolio greggio estratto negli Stati Uniti in Guatemala passando per il Chiapas, o le decine di progetti di estrazione mineraria della zona, fino ad arrivare al Corredor Interoceanico e il Tren Maya.

Queste opere prevedono la devastazione di uno dei polmoni verdi del pianeta, la Selva tropicale, in cui troviamo riserve d’acqua che servono l’intero Messico, in un mondo in cui il riscaldamento globale sta provocando eventi metereologici estremi e profonde siccità, pensare di perpetrare queste opere è un passo in più che ci porterà al collasso climatico. 

Il neoliberismo è arrivato alla sua fase più sfrenata, in cui tutto è giustificato per gli interessi economici del capitale transazionale, dimostrando come il suo unico interesse sia sfruttare i territori ancora vergini del pianeta, attraverso la mobilità delle merci, lo sviluppo del turismo di massa, l’estrattivismo di risorse naturali e lo sfruttamento della forza lavoro razzializzata.

La costruzione di megaprogetti ha quindi l’obiettivo di ridurre lo spazio e il tempo, accelerare la produzione e il trasporto delle merci e garantire in questo modo un maggiore controllo statunitense anche tramite il controllo delle rotte commerciali. Un esempio di ciò lo troviamo nel progetto di costruzione di un gasdotto all’interno del Corredor Interoceanico, che collegherà Oceano Atlantico e Oceano Pacifico trasportando gas liquefatto derivante dal fracking nordamericano, per l’esportazione verso il sudamerica e, attraverso trasporto via mare, all’Europa, in base ai nuovi accordi commerciali successivi all’embargo verso la Russia. 

Libertà di transito che al contrario è negata alle popolazioni che migrano verso nord dal centro America, e che trovano in Chiapas una repressione fortissima. Nella parte meridionale della costa del Chiapas abbiamo potuto vedere con i nostri occhi movimenti migratori a piccoli gruppi, di 15/20 persone l’uno, probabilmente gruppi isolati vicini però alla grande carovana partita il 23 apri. A partire da Tapachula, al confine col Guatemala, la Carretera Panamericana si riempie di posti blocco della Guardia Nacional e del’lInstituto Nacional de Migración, aumentando ancor di più il controllo del territorio, la repressione e la continua violazione dei diritti umani in uno degli stati più militarizzati del Messico. Proprio in questo tragitto, nella costa del Chiapas, la carovana viene fermata più volte nei posti di blocco, subendo provocazioni e tentativi di rallentamento egregiamente gestiti dagli osservatori e dalle osservatrici dei centri dei diritti umani che accompagnano la carovana, che hanno anche evitato la volontà manifestata al terzo posto di blocco di schedare tutte le persone non messicane presenti.

Il passaggio il giorno successivo nello stato di Oaxaca, nell’Istmo di Tehuantepec, conferma il trade d’union di questa continua pressione da parte delle forze di polizia e dell’esercito. Nella comunità di Puente Madera, visitata dalla carovana “Mexico Profundo” anche lo scorso agosto, solidarizziamo con i compagni e le compagne della comunità in mobilitazione permanente contro il Corredor Interoceanico, che è stata raggiunta da 17 ordini di cattura per la resistenza dei suoi integranti. Una repressione feroce contro una comunità che sta legittimamente lottando contro la volontà di espropriare 370 ettari del terreno comune della comunità per costruire un parco industriale. Un esproprio illegale, visto che la terra comunale di uso comune è prevista dalla legge agraria e non dovrebbe essere possibile privatizzarla. 

Lo scorso 17 gennaio l’agente comunitario David Hernandez Salazar di Puente Madera fu detenuto illegalmente proprio per la lotta che stanno perpetrando contro il Corredor Interoceanico. La pronta reazione della comunità che si organizzò bloccando la Carretera Panamericana richiedendo l’immediata liberazione, schierando anche la solidarietà internazionale, fortunatamente riuscì nell’intento di far rilasciare David.

Gli stessi atteggiamenti intimidatori li abbiamo potuti notare il giorno seguente presso la comunità di Mogoñe Viejo che da 60 giorni sta bloccando la costruzione dei binari del treno previsti nell’opera del Corredor interoceanico con un nuovo accampamento che la comunità ha chiamato “Tierra y LIbertad”.

Nel corso degli anni sono state svariate le azioni violente e repressive tra cui si annota anche l’assassinio esattamente 13 anni fa, da parte di un gruppo di paramilitari, della militante Bety Cariño e di Jyri Jaakola, attivista finlandese per i diritti umani.

Più recentemente il presidio ha subito vari attacchi da parte della marina militare che molte volte si è presentata all’accampamento intimando di sgomberare il campo per proseguire con la costruzione dell’opera. Un episodio in particolare, che è stato segnalato, è avvenuto in seguito alla confisca dei macchinari da parte della comunità a cui è seguita l’aggressione notturna dell’accampamento da parte della polizia statale, della marina e dell’esercito con aggressioni verbali e fisiche, con armi ben in vista, nel tentativo di costringere la comunità a sgomberare il campo e riprendere i macchinari da cantiere.

A tutto ciò si unisce l’appello dell’EZLN per la liberazione di Manuel Gomez Vasquez, campesino tseltal e base d’appoggio zapatista, in carcere da più di due anni con l’accusa di omicidio di 4 persone uccise a Ocosingo durante un’ondata di violenze perpetrate da gruppi paramilitari. Lo scorso marzo il centro di diritti umani Fray Bartolomè de Las Casas (Fayba) denuncia il fatto che le autorità non hanno realizzato un’indagine approfondita e scientifica, imputandogli l’omicidio mentre di fatto era a casa con la sua famiglia nel suo domicilio.

Le autorità zapatiste sostengono che la responsabilità della detenzione illegale appartenga al governatore del Chiapas, Rutilio Escandon, e al presidente municipale di Ocosingo, Jesus Alberto Oropeza Nàjera, entrambi appartenenti al partito Morena. “Sappiamo bene che sono contro di noi e le basi d’appoggio zapatiste e ci incarcerano ingiustamente, stanno distruggendo le comunità espropriando le terre. Dove sono coloro che dicevano “prima i poveri”? Stanno arrestando e uccidendo i poveri!” denunciano le autorità zapatiste.

Non possiamo che unirci all’appello di liberazione di Manuel e di tutte le persone che vengono perseguitate per aver difeso la terra e le loro comunità: la lucha es por la vida!

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