Pubblichiamo la traduzione di Andrea Mazzocco dell’intervento fatto da Raúl Zibechi all’Incontro Internazionale “El sur resite”, tenutosi al Caracol Jacinto Canek di San Cristobal de las Casa (Chiapas) e tappa conclusiva della carovana a cui ha partecipato una nutrita delegazione dell’associazione Ya basta! Êdî bese! e dei Centri Sociali del Nordest.
Buongiorno a tutte e tutti, ringrazio il CNI e la coordinazione della carovana di avermi invitato a questo incontro, e ringrazio voi per essere qui. Dividerò il mio intervento in tre parti, la prima, su richiesta delle compagne e dei compagni della coordinazione, in cui parlerò un po’ di Cina, dopo parlerò del capitalismo e successivamente delle autonomie in ribellione.
Stiamo vivendo un momento importante nella storia dell’umanità, momenti che non succedono tutti gli anni né ogni poco tempo: la transizione da una grande potenza egemonica, Stati Uniti, a un’altra, apparentemente Cina. Questi periodi di transizione egemonica sono molto conflittuali, sono molto caotici, sono momenti nei quali si producono cambiamenti che influiranno per decenni nella vita delle popolazioni.
Nella storia dell’America Latina abbiamo due transizioni egemoniche, una durante le guerre d’indipendenza, in cui si passò dall’influenza spagnola a quella inglese, la seconda più o meno nel periodo della rivoluzione messicana, e di altri processi in America Latina, che è la transizione dall’egemonia inglese a quella statunitense. Questo è importante perché siamo in “cima” a questo momento di transizione. Una lezione che ci danno queste transizioni precedenti è che tutte in qualche momento hanno significato guerre, guerre molto importanti, la guerra d’indipendenza, le guerre napoleoniche in Europa, la prima e la seconda guerra mondiale nel secolo passato, e adesso la particolarità è che abbiamo il rischio di guerre fra potenze che dispongono dell’arma nucleare. Come sapete non è un tema di poca importanza, per l’esistenza dell’umanità è un tema di primo piano.
Però che significa per noi l’ascesa della Cina? Da un lato, dobbiamo riaffermare, credo io, che siamo anti-imperialisti, che siamo contro l’imperialismo yankee ma anche contro tutti i tipi di imperialismo, in questo caso Cina, o che sia Russia o Inghilterra non importa, siamo contro tutti gli imperialismi. E lo sottolineo perché ci sono alcuni movimenti sociali in America Latina, alcuni di essi molto importanti, che già si sono posizionati a favore della Cina. Perché la Cina ha un discorso da paese socialista, quindi vediamo che alcuni movimenti, non pochi, si appoggiano alla Cina, o credono che la Cina rappresenti la salvezza contro l’imperialismo yankee. Questo è un errore gravissimo, che già hanno pagato alcuni movimenti indipendentisti, quando nella guerra d’indipendenza si allearono a una potenza per combatterne un’altra, e alla fine crearsi un nuovo problema. Però da un altro lato la Cina è una società di una nazione profondamente patriarcale, oltre che capitalista, molto patriarcale. Se voi guardate le foto del comitato centrale del partito comunista cinese, vedrete sempre la stessa immagine: uomini, adulti, alcuni adulti anziani, con vestito e cravatta neri, e con sguardo molto serio. Quasi non ci sono donne negli organi di direzione del partito. Quindi questo trionfo delle Cina potrebbe significare una rafforzamento del patriarcato. C’è tutto un processo di rafforzamento del patriarcato in molti aspetti che più avanti menzionerò.
Per ultimo, per terminare con la Cina, quando due padroni si scontrano, quando due latifondisti litigano, potrebbe essere, ma solo “potrebbe” essere, che si apra una opportunità per il popolo. Però questo non vuol dire che dobbiamo appoggiare uno di loro, vuol dire che quando c’è questa situazione di crisi, di caos, è probabile che i popoli incontrino una crepa, un’uscita, perché quando i due padroni litigano entrambi si indeboliscono, sono occupati in questo conflitto. Ecco con questo finisco la parte sulla Cina. E’ pericoloso unirsi a un impero in ascesa che sempre ci porgerà la mano, perché ha bisogno di trovare appoggio nelle popolazioni, guardate la guerra d’indipendenza, i creoli cercarono l’appoggio del popolo per combattere l’impero spagnolo, e dopo che vinsero ci sottomisero. Come succede sempre.
Il secondo tema è il capitalismo. Io credo che l’esproprio e lo sfruttamento cominci ora. Cioè, viviamo guerre di espropriazione è chiaro, tutte le analisi lo indicano. In quei paesi dove sono stati fatti studi sulla proprietà della terra, è stato rivelato come il 40%, cioè 4 ettari su 10, ancora non si trovano in mano dell’oligarchia, delle imprese o del grande capitale. Un caso ad esempio è quello brasiliano, dove ci sono analisi abbastanza rigorose che dicono che questo 40% delle terre appartengono a terre sottostanti la riforma agraria, che i “sem terra” stanno occupando, terre dei popoli neri e afrodiscendenti, terre destinate dallo stato ai parchi naturali, chiamate anche terre di conservazione, e quelle terre che sono dei piccoli contadini, in ogni paese piccolo e medio coltivatore si considera chi ha meno di 100 ettari o più o meno 50. Questo insieme di terre, oltre alle terre dove troviamo pescatori, i “raccoglitori” che vivono del cocco o altri frutti che la terra produce, sappiamo che il 40% delle terre non sono in mano del capitale.
Però ci sono anche paesi in cui è molta di più, in Colombia i popoli originari hanno un terzo della terra, riconosciuto dalla costituzione, oltre a loro ci sono le popolazioni nere e tutto il resto che ho già menzionato, per cui probabilmente in Colombia siamo oltre il 50%. Questo vuol dire che queste sono le terre sotto le mire del capitale, e che per quanto ha avanzato rimangono ancora terre che non controlla. Per questo dico che l’esproprio aumenterà. Per questo dico che tuttavia gli rimane molto su cui avanzare e questo ci deve convincere che la guerra per espropriazione comincia ora e durerà molto tempo. Non che mi piaccia ma è quello che vedo.
In secondo luogo, vorrei dire che le guerre di espropriazione sono strutturali, che voglio dire con questo, con “strutturali”. Che fanno parte della struttura del capitalismo oggi, oggi il capitalismo non può vivere senza questa guerra di espropriazione. Oggi il capitalismo non può agire senza violenza contro le popolazioni, perché nessuno si appropria di ciò che non ha perché gli viene dato volontariamente, devi espropriare, uccidere, assassinare, sgomberare. E lo sgombero, l’esproprio, è una delle figure centrali.
Quindi lungo periodo, 20/30 anni, una persona che girava per di qua, Immanuel Wallerstein, lo diceva, un lungo periodo di 20/30 anni di questo processo, e per cui militarizzazione, il militarismo è arrivato per rimanere, con alcune caratteristiche tremende. La sinistra non si è mai fidata dei militari, era un patrimonio delle sinistra di qualsiasi colore, incluso nella social-democrazia, c’era una sfiducia nei militari. Adesso i “progressisti” dell’America Latina difendono le forze armate. Quello che succede in questo paese, che è il paradigma, la fotografia più brutale della militarizzazione, quando si da alle forze armate la capacità di costruire la grande opera, sta succedendo anche in Argentina, dove le forze armate non potevano neanche apparire in pubblico perché hanno commesso un genocidio, fatto durante la dittatura, adesso il governo progressista argentino decreta che otto grandi siti estrattivi, uno di essi si chiama Vaca Muerta ed è una delle maggiori riserve di idrocarburi dell’America Latina, vengono militarizzati. Una cosa che nessun governo di “destra destra” ha mai potuto fare. In Cile, in Wallmapu in territorio mapuche, oggi ci sono più militari e più mezzi, cingolati, blindati, che in tutti i governi neoliberali, dovendo tornare indietro fino alla dittatura di Pinochet per vedere se ce n’erano di più o un numero simile, di militari in Wallmapu. Per cosa? Per difendere le imprese forestali dal popolo mapuche. Niente di più, niente di meno. In questa situazione siamo. In Colombia, dove c’è un nuovo progressismo al governo, ha già deciso, Petro, il presidente Petro e la vicepresidente Francia Marquez, di usare l’alleanza col pentagono e le forze armate degli Stati Uniti per difendere l’amazzonia. E da li si libreranno elicotteri black hawk, che è un elicottero di alta gamma, per questa situazione.
Quindi la diagnosi dell’EZLN sulla quarta guerra mondiale, fatta da più di due decadi, pare totalmente accettata e totalmente corretta. Viviamo una guerra di espropriazione contro i popoli per “pulire” il territorio e rimodellarlo a immagine e somiglianza degli interessi del capitale. Su questo vorrei solo aggiungere che oltre a questi problemi abbiamo la migrazione e il cambiamento climatico. Non è chiaro se oggi sia più il militarismo o il cambiamento climatico ciò che sta provocando le migrazioni, però si è iniziato a parlare di rifugiati climatici, da un po’ di tempo vero, e questo è un sintomo molto chiaro che l’ambiente sta diventano un grosso problema in questo paese.
Per terminare questa parte, vorrei dedicare qualche minuto al narco. Cos’è il narco, o il crimine organizzato. Se lo analizziamo “dal basso”, dalla parte dei ragazzi e delle ragazze che ci si trovano dentro, possiamo vedere che sono persone povere, di quartieri periferici o popolazioni indigene, che non hanno futuro, che la disuguaglianza ha bloccato l’ascensore sociale per queste persone e quindi cercano un appiglio. Se lo analizziamo “dall’alto”, dal sistema, vediamo che il narco è un capitalismo di grande successo. L’accumulazione di capitale del narco è impressionante, è esproprio, come il capitale, è accumulazione acceleratissima attraverso la guerra e gli sgomberi violenti, e siamo in un momento in cui c’è un interconnessione, un “meticciato” fra il narco e il capitale, il narco e lo stato, il narco e le forze armate. A tal punto che sarebbe molto difficile stabilire un linea, una frontiera fra ciò che è narco e ciò che è borghesia, perchè iniziano ad sovrapporsi i loro interessi. E io sostengo, molti sostengono, che c’è di fatto un’alleanza fra il narco, lo stato e i capitalisti. Perché perseguono gli stessi obiettivi, perché confluiscono negli stessi interessi, finanche hanno gli stessi modi, perché il capitale funziona in “stile narco”, così come il narco è un impresa capitalista di successo, sempre di più le imprese e le multinazionali capitaliste si comportano come i narco, e la prova è Bety Cariño, che fu assassinata su mandato di un’impresa multinazionale.
Questo ci porta a una conclusione molto importante: il narco oggi è sistemico, il sistema si appoggia al narco. Qui ci fu un’alleanza colombiano-messicana durante il governo di Peña Nieto, e il principale generale della polizia colombiana, Oscar Naranjo, era specialista in una pratica molto diffusa in Colombia dagli anni ’80 in cui lo stato e i militari impararono a usare il narco contro i movimenti popolari, contro la guerriglia, ma non solo contro la guerriglia proprio contro i movimenti popolari. E quando il popola Nasa, a cui appartiene Vilma, fu attaccato, potevano essere indistintamente militari, paramilitari, narcos, e a volte tutti insieme, un bel casino. Mi sembra che questo sia importante per concludere che il narco è parte del sistema, il crimine organizzato è parte del sistema, perché il sistema è crimine organizzato, oggi il capitalismo, finché non si concluderà la transizione, è crimine organizzato. Questo mi pare che a volte, così come si diceva spesso durante la carovana, il sistema vuole farci credere che il Tren Maya e il Corredor Interoceanico son due cose totalmente distinte, sono lo stesso progetto in realtà, ugualmente ci vogliono far credere che il narco e lo stato sono due cose totalmente distinte, ma sono la stessa cosa. Quindi il sistema cerca di confonderci attraverso questo meccanismo.
Infine, la questione delle autonomie in rivolta. Quello che possiamo vedere in tutta l’America Latina è un’espansione, una crescita delle autonomie, giusto? Un’espansione ma non come autonomia burocratica, come autonomia istituzionale; autonomie di fatto. Anche nei Paesi in cui esistono organizzazioni indigene burocratiche, ci sono settori come la guardia indigena che sono autonomi e difendono il territorio e non fanno parte di questo quadro burocratico. Oppure in Cile o in Perù; in Perù sono stati creati due governi territoriali autonomi, uno per la nazione Wampis, l’altro per la nazione Awajun. In Brasile abbiamo 30 processi di demarcazione autonoma dei territori indigeni, e così via. In altre parole, per molti popoli l’autonomia è già diventata un senso comune, e questo mi sembra un risultato importante perché non è più solo che alcuni sono in autonomia. E dico popoli originari, ma anche popoli neri. Nel Cauca colombiano, la guardia indigena – che esiste ormai da più di 20 anni – è cresciuta, non so se ha un figlio – sarebbe piuttosto brutto dirlo – ma un cugino, la “guardia cimarrona”, che è la guardia dei popoli neri, e questo è un gigantesco passo avanti, no?
Senso comune dei popoli, autonomia. Ma sono autonomie molto diverse, non c’è un modello autonomo. Non ci aspettiamo che i Mapuche creino Giunte di Buon Governo, creano quello che possono creare in base alle loro tradizioni, alla loro storia, ai loro modi, giusto?
E un’altra questione: le autonomie sono iniziate – e nella Carovana lo abbiamo sentito mille volte nei luoghi più diversi – con un senso comune, che è quello di resistere a ciò che viene fatto e allo stesso tempo di creare, di creare nei nostri spazi modi di vita diversi, relazioni sociali diverse. E l’autodifesa. Ogni popolo si difende come crede; alcuni con i bastoni, altri con le armi, altri con i cappucci, altri con le bandane, ma si difendono. E l’autodifesa è un elemento fondamentale perché noi rifiutiamo la guerra e questo è molto chiaro. Non diciamo guerra alla guerra, come dicevamo ai nostri tempi quando dicevamo che avremmo risposto alla violenza reazionaria con la violenza rivoluzionaria, no. Non faremo la guerra, ma non staremo con le braccia incrociate a farci uccidere, no? Resisteremo e avremo squadre e gruppi di autodifesa.
Per concludere, vorrei toccare un argomento che mi sta molto a cuore; è importante perché ho vissuto un’esperienza di recente, ed è il tema della spiritualità. Resistere, creare e il tema della spiritualità. Per tutta la vita ho pensato che la base dell’autonomia fossero le terre comuni, e naturalmente le terre comuni sono molto importanti, sono fondamentali perché ci siano i popoli in resistenza. Ma oggi capisco che la base delle terre comuni e delle autonomie è una certa spiritualità dei popoli. E questa spiritualità l’avete vista durante il viaggio, vero? Ci sono state diverse cerimonie alla terra, all’acqua, e questi sono elementi fondamentali che sostengono la resistenza. Parlare di spiritualità significa parlare di donne. Le donne hanno un ruolo centrale nella spiritualità. Il legame donna-vita-madre-terra è un legame centrale. Ma allo stesso tempo – e vorrei dirlo molto chiaramente – la spiritualità è ciò che ci permette di sostenerci a lungo termine, perché, come è stato detto prima, la vittoria principale è che siamo qui da 500 anni. E forse avremo altri 500 anni di vita come popolo. Questo è il nostro trionfo.
C’è una storia molto famosa scritta dal Subcomandante Marcos, un vecchio dialogo con il vecchio Antonio in cui dice che la lotta è come un cerchio; inizia in un posto ma non finisce mai. E cosa ha a che fare questo con la spiritualità? Se la lotta non finisce mai, significa che non c’è un obiettivo finale, la conquista del palazzo. Non c’è una vittoria finale. Non c’è un trionfo finale perché altrimenti non sarebbe un cerchio che non finisce mai. L’idea del trionfo finale è un’idea molto cattolica, molto cristiana incorporata nella lotta sociale. Se la lotta è un cerchio che non finisce mai, la spiritualità è ciò che ci sostiene in questo lungo periodo. E credo che dovremmo discuterne anche nei nostri gruppi. Non esiste una vittoria finale. L’Internazionale parla di lotta finale e la lotta finale è quella per entrare nel palazzo, per prendere il potere, e si ritiene che prendere il potere sia sinonimo di fare la rivoluzione. Ebbene, grazie ai popoli originari e grazie al contributo dei compagni dell’EZLN, oggi sappiamo che non esiste una lotta finale, ma un circolo.
Infine, se guardiamo alle guerre in Guatemala e in El Salvador, vediamo come – soprattutto in Guatemala – un apparato d’avanguardia sia stato messo “in cima” alla lotta dei popoli nativi. E questo apparato d’avanguardia ha agito in modo che potremmo definire pragmatico. A un certo punto ha fatto un calcolo costi-benefici, una cosa molto capitalista: se negoziamo ora possiamo stare meglio, la guerra finisce. E lo hanno fatto, e hanno negoziato in una situazione per me deplorevole perché non cambiò nulla, solo la loro posizione, che non era più così esposta. Ma per superare questa idea di calcolo politico, che non è etico, che è un calcolo costi-benefici, questo non-pragmatismo – il pragmatismo è quando calcolo cosa è meglio per me: lavoro per il narco, guadagno di più o continuo nel campo di mais? Per superare questo pragmatismo la spiritualità dei popoli è centrale. Perché altrimenti torneremo sempre a quell’ideologia capitalista, a quei valori capitalisti che sono centrali per il dominio e che noi, come ribelli, come rivoluzionari, come persone che lottano per l’autonomia, non possiamo accettare e ripetere. Se vogliamo essere veri ribelli, se vogliamo lottare per cambiamenti fondamentali, dobbiamo superare questa logica del costo-beneficio, questa logica del calcolo, giusto? Cosa mi conviene? che è sempre individuale, nel caso del Guatemala era individuale, di un’avanguardia di uomini bianchi e accademici.
Quindi mi sembra che la spiritualità sia una dimensione che fortunatamente sta diventando sempre più importante nei nostri movimenti, senza la quale saremmo solo persone che si dedicano all’analisi di qualcosa di terribile come quello che è stato detto: la correlazione delle forze. Guardo la correlazione di forze e se è negativa per me, vedrò come regolare il mio corpo. No. La spiritualità ci mette in un altro posto. La spiritualità ci pone in un altro luogo, non è vero? Non materiale ma profondamente umano, perché l’essere umano è un essere profondamente spirituale che può andare oltre le contraddizioni materiali. Tutto ciò che vediamo oggi è che sta arrivando un’enorme tempesta, che è già in corso, e un terremoto, un terremoto infernale, sta arrivando su di noi. Non possiamo costruire barriere materiali contro questo; possiamo unirci e abbracciarci tra noi e donarci alla vita e alla Madre Terra nella speranza che ci indichi la strada.
Grazie mille.