«Non ci compete governare tutte le maree del mondo, bensì mettercela tutta a sostegno degli anni a noi assegnati, estirpando il male dai campi che conosciamo, in modo che chi vivrà dopo abbia terra sana da coltivare. Del tempo che farà non siamo noi a disporre.» (J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, RR, V. IX)
INDICE
1. Immagini e discorsi del post-alluvione: la «regione-modello» nella melma
2. Conseguenze di cemento e arboricidio: l’esempio del Savena
3. La lotta al «Passante di Bologna» dopo le piogge
4. Come ti “compenso” l’ecocidio
■ Pugno d’asfalto in guanto di velluto verde
■ Cementificare per «salvare il suolo»
5. «Ogni giorno qualcosa»: un ecosistema di lotte a Bologna
■ Due insegnamenti della lotta No Tav
6. La lotta al Passante è di portata nazionale ed europea
7. Materialismo fantastico
8. Verso il 17 (e 18) giugno
1. Immagini e discorsi del post-alluvione: la «regione-modello» nella melma
Distese di pesci morti a galla in canali dove non c’è più ossigeno.
In termini tecnici si chiama anossia. Tra le sue conseguenze anche il colore rosso intenso del canale Zaniolo.
Canali dalle acque morte, e nei campi intorno migliaia di fenicotteri dispersi, spaesati, in cerca dei nidi che la piena di melma ha spazzato via.
Melma piena di liquami zootecnici e rifiuti di ogni genere, che quando arriva in mare forma vaste chiazze color bitume.
Eppure in riviera l’Adriatico è limpido, balneabile, godibile. Deve esserlo, o salta la stagione. Per rassicurare i bagnanti si farebbe di tutto. Il 2 giugno l’assessore regionale al turismo Andrea Corsini ha annunciato che avrebbe bevuto un bicchiere di acqua di mare. Non sappiamo se poi l’abbia fatto. Lo squaraus è la cosa più simpatica che possa capitare, anche con l’Adriatico “pulito”. E che l’acqua di mare non si beve te l’insegna la mamma quando hai due anni.
Nel mentre, prosegue – autoreferenziale, demenziale, foriero di ulteriore sventura – il dibattito su chi fare commissario alla ricostruzione.
Lo abbiamo già scritto, per noi il commissario è una figura da abolire, perché strumento delle politiche d’emergenza, garanzia che ogni decisione sarà calata dall’alto. C’è bisogno del contrario: di processi dal basso, di partecipazione reale, di ridiscutere l’assetto del territorio, senza dare nulla per scontato e senza più «firmare cambiali in bianco alla classe dirigente», per riprendere l’espressione usata in quest’intervista.
Chiunque venga nominato commissario farà danni. Detto questo, l’insistenza su Bonaccini, proprio lui, «uomo della ricostruzione» è a dir poco ridicola.
Il sindaco di Bologna Matteo Lepore ripete che c’è un solo nome, abbiamo un solo nome, un solo nome. Tra un po’ lo canterà sulle note di Guantanamera. Allo stadio quel coro vuol dire «c’è un solo vero campione»; qui significa «non abbiamo nessun altro, siamo alla frutta». Anzi, no, pure la frutta è bella che andata.
Anche il capo della Cgil Maurizio Landini ha dichiarato che non dare l’incarico a Bonaccini sarebbe «uno schiaffo». No, lo schiaffo è quello che la realtà ha dato a Bonaccini e al suo entourage, compresa Elly Schlein, fino a poco tempo fa vicepresidente di regione, con delega al cosiddetto «Patto per il Clima».
Lo spettacolo di sé che danno gli amministratori emiliano-romagnoli fa pensare a un’altra dimensione del multiverso. Un mondo fatato in cui l’Emilia-Romagna è davvero quella che loro dipingono: una specie di Bengodi governato da illuminati e con la popolazione più intelligente d’Italia. Nella nostra dimensione, invece, il PD regionale – e dunque nazionale – sta colando a picco nella melma, trascinato da una zavorra di miti e clichés, come ha ben riassunto la geografa ed esperta di consumo di suolo Paola Bonora:
«Si chiude sotto i nostri occhi un’epoca, stiamo assistendo alla fine del PD e del suo baluardo, l’Emilia “rossa”, travolti dal fango e dal discredito. Ripudiata da tempo l’identità, con il collasso territoriale il centrosinistra perde anche la reputazione di buona amministrazione ed è gioco facile per le destre sparare sul moribondo. Il percorso è stato lento, la tecnostruttura era solida, costruita tra gli anni 60 e 70, fondata su idee, professionalità, passione militante […] Una fase di breve durata, poi l’adesione acritica al mantra della crescita, all’urbanizzazione compulsiva che privilegia la rendita e la privatizzazione. Il consumo di suolo è frutto di quegli anni, si costruisce (troppo, come la crisi immobiliare-finanziaria ha mostrato) per speculazione, per investire. Si stravolgono gli assetti territoriali con incosciente noncuranza alla manutenzione e alla cura […] La pianificazione, orgoglio del “modello emiliano”, da sistema di controllo si trasforma in dispositivo di valorizzazione i cui decisori sono i privati investitori non più le municipalità, come ha sancito la legge regionale del 2017, vantata come capolavoro di innovazione, irta di antinomie e mistificazioni. Non a caso da quell’anno il consumo netto di suolo, calato a causa della crisi, ricomincia a salire.»
In realtà, per quanto obnubilati dall’ideologia – quella del realismo capitalista, sposata col fanatismo dei convertiti – i dirigenti del PD sanno che tutto ciò sta accadendo. L’alluvione li ha messi di fronte al loro incubo: la realtà che arriva a chiedere conto. Ma la retorica suprematista e l’arrocco a difesa dell’esistente sono tutto quel che hanno, e a quello ricorrono: «Emilia-Romagna über alles / Über alles in der Welt».
Ricorrendovi, capita che diano in escandescenze, come Bonaccini il 9 giugno scorso, durante La Repubblica delle Idee, invadente kermesse con cui il giornale di Elkann e Molinari, una volta all’anno, si impadronisce di piazza Maggiore e dintorni.
In quattro minuti di replica viscerale a una contestazione sorta dalla piazza, il governatore ha messo in fila un incredibile marasma di diversivi e non sequitur, di date, dati e presunti primati con cui – sapendo che lì per lì nessuno poteva controllare – ha riscritto la storia della regione. Accanto a lui, un Lepore pietrificato dall’imbarazzo. Storici come Guido Crainz e Franco Cazzola si sarebbero messi le mani nei capelli. Qui il video, con la nostra disamina di quanto detto.
2. Conseguenze del cemento e dell’arboricidio: l’esempio del Savena
L’arrocco non servirà. Si diffonde sempre più la consapevolezza dei danni che ha fatto la loro cementificazione, la loro guerra agli alberi e al suolo. Si sentono sempre più tecnici, esperti, addetti ai lavori dire quel che appare ovvio ma che gli amministratori negano: si è costruito ovunque. Ecco Fausto Pardolesi, funzionario dell’Autorità regionale di Bacino dei fiumi romagnoli:
«Era meglio tenere il terreno sgombro per l’espansione del fiume. Evidentemente non si è costruito in modo prudente, dal Dopoguerra in poi facendo partire urbanizzazioni in zone depresse orograficamente, oppure troppo vicino agli argini […] Il fango non è usuale di tutte le piene, in questo caso nelle vallate il fiume si è ripreso spazi che non usava da almeno un secolo, erodendo le sponde per centinaia di metri, il fango proviene da lì […] Bisogna lasciare spazio al fiume e piuttosto che costruire protezioni ad abitazioni e altre costruzioni troppo vicine al fiume, per poi doverle riparare a ogni piena, bisognerebbe delocalizzare i fabbricati, spostarli in zone più sicure».
Nicola Armaroli, scienziato del CNR e studioso di questioni energetiche, è andato anche più in là, parlando di «una cementificazione che fa vomitare».
Riguardo al fango e all’erosione a cui accenna Pardolesi, è sempre più chiaro che i fiumi in piena hanno distrutto e trascinato via gli argini dove questi erano stati disboscati. Si vede in tutte le immagini delle rotte di Idice, Lamone, Savena, Senio, Sillaro ecc. Argini resi fragili, ridotti a puri cumuli di terra… per poi magari farci sopra «percorsi cicloturistici», cioè – diciamola come va detta – ulteriori colate d’asfalto in nome del «green». Un green che arriva distruggendo ecosistemi e compromettendo l’assetto del territorio.
Emblematico il caso del Savena, i cui argini furono rasati a zero nel 2014. In pochi giorni sparirono circa sessantamila alberi, anche in zone classificate SIC, Siti di Importanza Comunitaria. Furono distrutti trenta ettari di vegetazione ripariale. Gabriele Minghetti, allora sindaco di Pianoro e presidente dell’Unione Montana Savena e Idice, ignorò ogni critica, come ignorò i pareri di WWF, Legambiente e Unione Bolognese Naturalisti.
Durante una serata informativa a Rastignano, l’esperto di ecologia fluviale Giuseppe Sansoni mise in guardia dalle possibili conseguenze di una simile devegetazione.
Peraltro, la situazione del Savena era già critica, come fa notare il naturalista Fausto Bonafede in una relazione sulle ultime alluvioni:
«Il Corso del Savena […] è zona ad alto rischio idraulico e idrogeologico. In tutta questa zona l’alveo è stato ristretto a dismisura con strade, costruzioni e manufatti di ogni tipo realizzati a pochi metri dall’alveo attivo o addirittura dentro l’alveo […] Le sezioni di deflusso sono diventate insufficienti per smaltire anche piene modeste, figuriamoci cosa può succedere in occasione di eventi meteorologici estremi come quelli del 17 e 18 maggio 2023. La situazione è destinata a peggiorare con i lavori del “Nodo di Rastignano” salutato da tutti come la soluzione di tutti i problemi.»
Se a decenni di malterritorio aggiungiamo i disboscamenti del 2014, e se a questi aggiungiamo quelli dell’autunno 2022 al Paleotto, finalizzati proprio a insediare il cantiere del Nodo di Rastignano – «opera che aspettavamo da più di trent’anni», dixit Lepore – il quadro è completo. Così si è preparata l’esondazione e rotta del Savena del maggio 2023.
E a conti fatti, scrive ancora Bonafede, in val Savena
«è andata “bene” rispetto a quel che è accaduto nelle valli della Romagna, a meno di 60 km in linea d’aria […] In val Savena la pioggia caduta il 17 e 18 maggio 2023 è stata minore, variando dai 147 mm di Loiano ai 166 mm di Madonna dei Fornelli; in molte zone della Romagna è andata molto peggio: si va dai 205 mm di Brisighella (RA) ai 254 mm di S. Cassiano sul Lamone.»
Se sulla val Savena si fosse rovesciata una quantità di pioggia analoga – cosa che comunque può accadere in futuro – le vie di San Lazzaro e di Rastignano somiglierebbero a quelle di Conselice.
Con buona pace di amministratori ed “esperti” che da settimane ci raccontano che gli argini vanno «puliti». In Emilia-Romagna, più puliti di così si muore.
Anzi, si muore già così.
3. La lotta al «Passante di Bologna» dopo le piogge
Il post-alluvione sta dando nuovo impulso alle lotte ambientali in regione, in particolare a quella contro l’Allargamento fino a diciotto corsie della tangenziale di Bologna e dell’Autostrada A14, nei tredici chilometri in cui scorrono affiancate, attraversando le periferie del capoluogo. L’intento è realizzare il cosiddetto «Passante». Che, sia chiaro, ancora non esiste.
Quando si dice «il Passante», ancora troppe persone non riescono a figurarsi di che si tratti. Del resto, «Passante» è un nome che crea confusione, richiama qualcosa che passa e va, mentre questo, se lo fanno, rimane.
Fino a qualche anno fa era chiamato il «Passante di Mezzo», per distinguerlo dalle altre due opzioni sul tavolo: «Passante Nord», cioè un nuovo tratto autostradale nella parte più settentrionale della provincia, e «Passante Sud», per cui si ipotizzava un mega-traforo dei colli. Dove, come cantava Guccini, Bologna tiene il culo.
Ora il Passante non è più «di mezzo» in quel senso, ma sarebbe sicuramente in mezzo. In piena città, in mezzo ai maroni, in mezzo ai polmoni.
Va sempre ribadito di cosa si tratta: dell’allargamento di tangenziale e A14, e va spiegato che questo progetto ne implica molti altri, decine di nuove colate d’asfalto che stanno per investire Bologna e i suoi dintorni.
Per preparare quelle colate si distruggono boschi urbani e stradali. Ruspe e motoseghe hanno già abbattuto decine di migliaia di alberi. Agli esempi fatti negli scorsi articoli aggiungiamo quanto accaduto lungo l’A14, documentato nel video qui sotto.
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Dove noi vediamo boschi, ecosistemi, vita, i politici e gli affaristi vedono solo “sporco”, “degrado” e legname da vendere alle centrali a biomasse.
Alla luce delle alluvioni, tutto questo risulta ancora più assurdo. Eppure la classe dirigente non dà il minimo segno di voler cambiare rotta. Bologna va verso una cementificazione che, una volta mappata anche solo a macchie di leopardo, toglie il fiato. Ne parleremo.
E si continuano a buttare giù alberi, ovunque, com’è da poco accaduto in via Erbosa, quartiere Navile. Un intero, lussureggiante bosco di acacie e robinie, dimora di uccelli, vibrante di api e altri insetti impollinatori, è stato cancellato in un vero e proprio blitz.
Questa la realtà dei fatti che la classe dirigente cerca ancora di coprire col greenwashing e con la logica, da rifiutare in toto, delle «compensazioni».
4. Come ti “compenso” l’ecocidio
Nel nostro articolo del 12 aprile scorso abbiamo già sottolineato come il Passante di Bologna non sia affatto un’infrastruttura «di nuova generazione», bensì un fossile spruzzato di verde. La verniciatura consiste soprattutto nel trasformare terreni agricoli o già rinaturalizzati in future, eventuali fasce boscate e giardinetti.
Le prime, allo scopo di mitigare l’impatto dell’opera, ma soprattutto di accumulare un credito, per calcolarlo nella partita doppia dell’anidride carbonica, compensare quella prodotta dall’aumento di veicoli in transito (+ 25mila al giorno), e ottenere un bilancio positivo: un’autostrada a 16/18 corsie che fa bene alla salute, rispetta l’ambiente e contrasta il riscaldamento globale.
Parchi e giardini servono invece a fatturare «verde pubblico», a incassare ettari di «bosco» e interventi «green», a sostituire piante selvatiche con piante addomesticate, campi coltivati con panchine, in zone della città dove non mancano i prati pettinati e i sentieri disegnati col brecciolino, ma stanno invece scomparendo i terreni agricoli e la diversità biologica.
Pugno d’asfalto in guanto di velluto verde
Un esempio lo troviamo nella registrazione dell’udienza conoscitiva che si è svolta on-line, il 20 aprile, su richiesta della commissione per la mobilità, di quella per l’ambiente, nonché della consulta per il verde del Comune di Bologna, in merito ai cantieri del Lotto 0 del Passante.
Nell’intervento di Fabio Visintin, responsabile unico del progetto per Autostrade, vengono analizzati, molto brevemente, i casi delle fasce boscate Chico Mendes, Agucchi-Zanardi e Scandellara. Dalle immagini riportate sulle slide risulta evidente che, a fronte dell’abbattimento di decine di alberi, vecchi anche di 30 anni, verranno giardinizzati e rimboschiti terreni già verdi e in alcuni casi già sistemati a parco.
Nella foto qui sopra si vede la fascia boscata Chico Mendes, a sud della Tangenziale/A14. L’area contornata in blu misura 6,42 ettari di superficie, con terreno coltivato e prato incolto. Autostrade vi calerà 2,45 ettari di forestazione e 3,97 ettari di parco urbano. In questo modo, potrà capitalizzare il tutto alla voce «opere verdi realizzate grazie al Passante». Opere di cui, a ben vedere, non ci sarebbe alcun bisogno, se lo stesso Passante non aumentasse la produzione di CO2, innescando la necessità di compensarla con alberi, quasi fossero macchine per assorbire anidride carbonica.
Nel giardino di via Frisi, a nord della Tangenziale, Autostrade prevede 0,54 ettari di forestazione e 2,13 di parco urbano. Peccato che l’area sia già un giardino, per quanto poco curato, con staccionate, panchine in metallo, fontanella, sentieri… La foto del Geoportale Nazionale risale al 2012, la sistemazione è stata fatta nel 2014. Anche in questo caso, quindi, si tratta di un intervento deciso al solo scopo di incassare credito verde.
Infine, le zone bordate in arancione saranno anch’esse soggette a interventi green, che le priveranno del loro utilizzo come campi coltivati (tra i pochi rimasti a sud della Tangenziale).
Stesso discorso per le altre due zone del Lotto 0 presentate dall’ing. Visintin, e in generale per tutto il guanto di velluto verde che serve a nascondere questo pugno d’asfalto sferrato contro la città.
Tuttavia, il meccanismo delle compensazioni non funziona soltanto offrendo il «green» al posto dei 3000 alberi abbattuti o dei 9 km di filari estirpati. Nel caso dei 30 ettari di bosco «interferiti» dal Passante, questi non verrano rimpiazzati, bensì pagati, con il verde dei dané e un versamento sull’apposito fondo regionale, come riportato in tabella.
Facciamo notare che Autostrade, nel 2017, rispondendo alle richieste di integrazione alla VIA della Regione Emilia-Romagna calcolava la superficie boschiva impattata dal Passante in 16,09 ettari, diventati poi 29,43 nel Progetto definitivo, aggiornato a novembre 2020. Allo stesso modo, nel 2017, gli alberi da abbattere risultavano 1711, contro i 2.936 del Progetto definitivo.
E a proposito di numeri: parlando dei cantieri del Lotto 0, l’ing. Visintin ha mostrato una slide relativa alle aree interessate da lavori. Al momento, nella cosiddetta Fase A, si tratta di 23 ettari (236,765 mq), occupati all’81%, e già le reti arancioni si sviluppano per chilometri. Nella Fase B, con gli espropri, si arriverà a 300 ettari (3 milioni di mq). Tanto per rendere l’idea di quanto grande sarà la superficie di terreno rivoltato e attraversato dalle ruspe, rispetto ai 20 ettari che verranno asfaltati dalle nuove corsie.
Certo, una parte di questa gigantesca area “lavorata” verrà poi convertita in verde pubblico, anche se, come abbiamo già fatto notare, non è mai ben chiaro di quanto si parli: da 140 ettari si è passati a 160, mentre Visintin ha parlato di 180 ettari (75 di fasce boscate in terreni di proprietà di Autostrade e 105 di «boschi» e parchi in terreni pubblici). Sia come sia, a fronte di 300 ettari interessati dai lavori, il peso dei 180 «riqualificati» – e sbandierati come «green» – risulta molto ridimensionato.
Anche perché tale «riqualificazione» non ha tempi certi, né si basa su documenti definitivi e consultabili. Il Passante non ha ancora ottenuto dal Ministero la dichiarazione di pubblica utilità – dopo la quale si può procedere con gli espropri – e il Progetto esecutivo è ancora in fase di approvazione.
Il Comune di Bologna, per mitigare… le critiche, ha chiesto di anticipare la piantumazione di qualche alberello, ma Autostrade ha risposto che questo sarà possibile solo nel parco Rabin (circa 300 piante), nel parco Morandi (100 piante) e al parco Tanara (niente piante, ma un po’ di arredo, giochi, illuminazione). In tutte le altre aree non si può intervenire perché saranno cantieri operativi o logistici o da bonificare, e pertanto le opere verdi dovranno attendere la fine dei lavori.
Cementificare per «salvare il suolo»
Ma la lavatrice verde di Bonaccini & Lepore non gira soltanto per smacchiare il Passante.
Lunedì 5 giugno, in consiglio comunale, è stata approvata una delibera, che l’assessore all’urbanistica Raffaele Laudani ha motivato con una «maggiore attenzione al tema del consumo di suolo». Eppure, il risultato della votazione sarà che un terreno agricolo diventerà edificabile.
Questo terreno, di proprietà del comune di Bologna, si trova nel comune limitrofo di Castel Maggiore e misura circa 18 ettari di superficie catastale. Il 14 dicembre 2017 i due comuni hanno sottoscritto un accordo per la “valorizzazione immobiliare” dell’area, ovvero per costruirci sopra.
Notare la data: una settimana dopo, il 21 dicembre, viene approvata la famosa legge regionale dell’Emilia Romagna «contro il consumo di suolo». Sara un caso?
Sei mesi più tardi si inaugura la Nuova Galliera, una variante alla strada provinciale n. 87, pensata per deviare il flusso dei veicoli fuori dall’abitato di Castel Maggiore e di Funo. Ma poiché “chi semina strade raccoglie traffico” ecco che oggi, come si legge nella delibera, «è maturata la consapevolezza che l’insediamento previsto necessita di un significativo ridimensionamento in quanto il carico urbanistico dallo stesso generato graverebbe eccessivamente sulla viabilità locale, al momento già provata dall’apporto di traffico generato dalla Nuova Galliera».
Questo è il vero motivo che porta i due comuni a correggere i piani e a ridurre di un terzo la superficie utile edificabile – non un metro quadrato di meno, per «rimanere entro limiti che rendano l’intervento economicamente sostenibile», ovvero generatore di grana.
Da 12.500 mq si passa quindi a 8.000 mq di superficie utile, «alla quale poter aggiungere fino al 60% di superficie accessoria». Da sottolineare che il comune di Castel Maggiore doveva realizzare un comparto di Edilizia Residenziale Sociale di 2.500 mq proprio nei 4.500 mq di superficie utile eliminata. Dovendo scegliere a cosa rinunciare, tagliano le case popolari.
L’unico consigliere della maggioranza che ha votato contro la delibera è stato il verde Davide Celli, già contrario al Passante di Bologna. I suoi colleghi di coalizione si sono stupiti: ma come, qua riduciamo il consumo di suolo e tu non sei d’accordo? Celli ha risposto che, dal suo punto di vista, c’è comunque del terreno agricolo che verrà coperto di condomini. Difficile dargli torto, o sostenere che ha guardato al bicchiere mezzo vuoto. Perché il bicchiere, in questo caso, è per due terzi pieno di cemento.
5. «Ogni giorno qualcosa»: un ecosistema di lotte a Bologna
A Bologna «c’è della mossa». Da settimane ogni giorno accade qualcosa, e un resoconto completo richiederebbe troppo spazio. Si va dai semplici volantinaggi a occupazioni come quella in via Agucchi sgomberata il 3 maggio in piena alluvione, accampamenti di lotta come quello al giardino Virginia Woolf, blocchi della tangenziale come quello del 10 giugno, passando per contestazioni ed escraches, spentolate e performance che ricordano la land art, biciclettate e trekking urbani, assemblee popolari e festival. Last but not least, i sabotaggi notturni. Tutto contro il Passante ma non solo: in città sono nati nuovi comitati contro i «mostri urbani» e in difesa degli alberi.
E non si tratta solo della città, anzi. Dopo le alluvioni c’è stato un salto di livello, ma si può dire che l’attuale sequenza sia cominciata nel settembre 2022, con la marcia «I sollevamenti della terra», che collegò le lotte territoriali dalla Bassa all’Appennino, da Malalbergo al Corno alle Scale, facendo tappa anche a Bologna il 3 settembre.
Quel giorno la marcia si congiunse a una camminata contro il Passante. Tutte e tutti insieme, si occupò con canti e balli la rotatoria di via Corticella che immette in tangenziale. Un evento “seminale”, preludio alla grande manifestazione del 22 ottobre, quando trentamila persone salirono sulla tangenziale stessa e la bloccarono.
Due insegnamenti della lotta No Tav
Noi seguiamo da anni le vicende della lotta No Tav in Valsusa, e nella «mossa» bolognese riconosciamo due capisaldi etico-strategici dell’agire di quel movimento.
Il primo è che non si prendono le distanze dalle tattiche che adottano le altre componenti. C’è chi fa gli scontri e chi fa ricorsi legali, chi mette insieme una lista civica e chi prega la Madonna davanti ai celerini. Nessuna componente deve forzare le altre su terreni in cui si trovano a disagio, ma che cento fiori sboccino. Se si rinuncia a questo principio, subito scatta il divide et impera, la falsa dicotomia tra «buoni» e «cattivi», e il discorso del movimento viene dirottato: anziché degli obiettivi della lotta si è costretti a parlare della «violenza». A quel punto è la fine.
È un segno di maturità che nessuno abbia preso le distanze dai sabotaggi degli ultimi mesi, sia quelli dei cannoni sparaneve sul Corno alle Scale sia quelli dei cantieri del passante al Navile*.
Nel suo libro Neither Vertical Nor Horizontal: A Theory of Political Organisation (Verso, 2022), Rodrigo Nunes invita a superare i dilemmi che ogni ondata di movimento si trova di fronte e su cui finisce per arenarsi, quelli riguardanti l’organizzazione. Nunes invita a pensare il movimento
«ecologicamente: come un’ecologia diffusa di relazioni che attraversano e mettono insieme diverse forme d’azione (aggregata, collettiva), forme organizzative disparate (gruppi di affinità, network informali, sindacati, partiti), individui che ne sono parte o ci collaborano, individui senza affiliazioni che partecipano alle proteste, condividono materiali on line o semplicemente seguono con simpatia gli sviluppi su testate giornalistiche, pagine web, profili social, spazi fisici ecc. Qualunque cosa noi consideriamo come totalità del “movimento” è in realtà un network non afferrabile nella sua totalità, fatto di tanti network diversi, un’ecologia di network in evoluzione a sua volta incastonata dentro ecologie più vaste che si sovrappongono in vari modi […] Non c’è bisogno di alcun tipo di coordinamento o addirittura di alcun contatto diretto tra le diverse componenti di un ecosistema perché possano interagire tra loro: agendo nell’ambiente che hanno in comune, possono modificare indirettamente i loro campi di possibilità […] Non si organizza una totalità: ci si organizza dentro di essa.» (traduzione nostra)
Nunes non parla del movimento No Tav, ma la storia di quest’ultimo fa capire molto bene cos’è un ecosistema di lotte.
Il secondo caposaldo è che non si propongono «tracciati alternativi», «migliorie», «mitigazioni», rattoppi, niente. Si dice no all’opera inutile e basta. In Valsusa quel no ha a lungo mantenuto la chiarezza, tenuto unite componenti diversissime, prodotto nuova soggettività che poi si è radicata nel territorio.
A Bologna, è su questo che Coalizione Civica si è giocata ogni credibilità e inclusione in lotte reali. Quando ha accettato di discutere “migliorie” al Passante, da lì è stato un unico piano inclinato. Parti accettando l’opera come un dato, e finisci per diventare una corrente, per ora ufficiosa, del PD. A quel punto ti dedichi al greenwashing, millantando «risultati» che dovrebbero giustificare la tua presenza là dentro e spegnere la tua coda di paglia in fiamme.
6. La lotta contro il Passante è di portata nazionale ed europea
Il Passante di Bologna è un’opera d’impatto nazionale e la lotta per contrastarlo riguarda tutte e tutti. Non soltanto perché lo snodo viario di Bologna è il più importante tra centro e nord Italia, ma anche e soprattutto per il valore politico e simbolico che assume l’ennesima opera inutile imposta. Raddoppiare l’autostrada A14 e la tangenziale che girano intorno alla città – ma in realtà la attraversano – significa affermare definitivamente la pratica del sacrificio dello spazio urbano e della salute pubblica sull’altare della viabilità automobilistica.
Mentre altrove in Europa gli urbanisti e le amministrazioni locali si pongono il problema di come diminuire il traffico su gomma, in Italia – e nella sedicente bene amministrata Emilia-Romagna – si va nella direzione diametralmente opposta. Si abbattono alberi, si sacrifica suolo, lo si impermeabilizza, si colano cemento e asfalto che d’estate si arroventano, si sollevano polveri sottili, si investono miliardi che Autostrade per l’Italia ci farà pagare con gli interessi.
Tutto questo per avere più spazio per le automobili e i camion, più inquinamento, più mobilità privata, come se fossimo ancora nel secolo scorso. Gli studi più avanzati sulla viabilità ci dicono infatti che l’idea di fluidificare il traffico automobilistico concedendogli più spazio è una mera illusione. Più corsie significano più auto e più traffico, quindi ancora più problemi.
Qualcuno si chiederà che senso abbia combattere contro un’opera già approvata dalle forze di governo della Regione e della Città metropolitana, senza nessuna opposizione nelle sedi politico-istituzionali e con molta rassegnazione anche da parte della cittadinanza – sempre più disgustata dall’offerta politica, al punto che quasi un bolognese su due non va più a votare. Che senso ha lottare se so già che non c’è una rappresentanza che possa trasformare il mio impegno in realtà? È su questo scetticismo e sul fatalismo imperante che scommette la classe dirigente emiliano-romagnola, proprio come quella nazionale.
Ecco, sarà il caso di dirlo forte e chiaro: probabilmente oggi non c’è una battaglia più sensata di questa.
Non solo lanciare una manciata di sassolini negli ingranaggi della macchina devastatrice può rallentare lo scempio o almeno costringere i guidatori a gettare la mascher(in)a da “buoni” che cela la loro ipocrisia.
Non solo ogni lotta lascia un’eredità di esperienza e conoscenza che può sempre essere rigiocata in futuro.
Ma soprattutto, è soltanto nel conflitto con il dato che può maturare una nuova presa di coscienza. Ed è quello di cui c’è più bisogno oggi. Ecco perché è meglio una buona “causa persa” di qualunque contentino o mitigazione ottenuti per fingere che il nostro fare abbia un qualche significato. In gioco ci sono le sorti del territorio in cui viviamo e del pianeta sul quale viviamo. Non è mai esistita una “causa persa” migliore di questa. E a volte nella storia le “cause perse” sono le uniche per cui valga la pena lottare.
Come ci insegna anche una certa letteratura.
7. Materialismo fantastico
Sembra proprio che i movimenti ambientalisti e per la giustizia climatica stiano riscoprendo l’immaginario fantastico. Lo abbiamo constatato leggendo i volantini e i comunicati che circolano a Bologna.
Forse il seme lo aveva piantato dieci anni fa lo street artist Blu, quando aveva dipinto sulla fiancata del centro sociale XM24 la sua celebre rappresentazione in stile Bosch dei conflitti cittadini. In quell’opera Bologna era rappresentata come una città di salumieri e speculatori cementizi – dove la torre degli Asinelli diventava la Torre Oscura di Sauron – assediata da un variegato popolo di media-attivisti, ambientalisti, punk, ecc. Nell’uno e nell’altro schieramento comparivano creature e personaggi della saga di Star Wars e soprattutto della Terra di Mezzo.
Qualche anno dopo, nei giorni dello sgombero del medesimo centro sociale, erano state lanciate manifestazioni «contro il nulla che avanza», con un riferimento diretto al romanzo di Michael Ende, La storia infinita.
Nei comunicati più recenti abbiamo sentito riecheggiare La collina dei conigli di Richard Adams – perché così si sono chiamati le e gli occupanti di via Agucchi: «coniglie e conigli» – e ancora l’universo tolkieniano, con tanto di riadattamento della celebre poesia dell’Anello in versione anti-Passante.
«Diciotto corsie sotto il cielo che risplende.
Dieci anni di lavori che la triste morte attende.
Uno snodo per l’oscuro Sire dei regni di cemento.
dove brama il traffico in aumento.
Una grande opera per domarli,
il Greenwashing per ghermirli e nel buio incatenarli.
Nella terra di Bologna, dove l’ombra cupa scende.»
Come già accaduto qualche decennio fa nel mondo anglosassone, il messaggio ecologista contenuto nelle opere fantastiche è recuperato e rimesso in gioco nelle lotte cruciali del presente. L’immaginario fantastico viene riletto e rideclinato da una nuova generazione.
Negli anni Settanta ci provarono i giovani neofascisti a buttarsi sul fantasy e sulla fantascienza. Mezzo secolo dopo, una persona nata in quella temperie, il cui libro preferito è dichiaratamente Il Signore degli Anelli e che volle ribattezzare «Atreju» la festa dei giovani di AN (dal nome del personaggio della Storia Infinita), è a capo di un governo non meno innamorato di asfalto e cemento di quelli che l’hanno preceduto, anzi perfino di più. Nel fatto che oggi siano invece i movimenti ambientalisti a recuperare l’applicabilità della narrativa fantastica alla difesa del territorio e dell’ambiente si potrebbe persino vedere una nemesi storica.
Probabilmente questa attualizzazione è dovuta anche al fatto che il prometeismo novecentesco è finito, insieme a quelle utopie sociali, alle grandi speranze nelle meravigliose sorti e progressive dell’umanità, e oggi viviamo invece all’ombra di una minaccia tanto grande quanto incombente, completamente calati dentro la catastrofe. Se mai questa potrà trasformarsi in «eu-catastrofe», cioè in un finale diverso da quello che il pianeta sembra avere in serbo per noi, dipende da quanta gente deciderà di mettersi in cammino e di unirsi contro un modello di sviluppo e un’ideologia che ci hanno portati sull’orlo del baratro. E se lo farà – questa è la cosa più dura – pur sapendo che ogni sforzo potrebbe essere già vano.
Quando guardiamo le immagini dei deserti che avanzano, dei ghiacciai che scompaiono, degli incendi che consumano intere foreste, o delle acque che si riprendono la pianura devastando tutto; quando sentiamo ancora la retorica che ci suggerisce di allearci con il potere devastatore per guidarlo verso gli obiettivi che sono sempre stati nostri, ci viene facile richiamare alla mente certe immagini letterarie e cinematografiche.
Oggi, in questa lotta, è necessario dispiegare tutta la biodiversità possibile. Servirà la strenua ricerca e resistenza di Moscardo, Kaisentlaia, Quintilio, Cedrina, Parruccone, Sagginella, e di tutte le conigliere che possono convergere e insorgere. Servirà la marcia di Barbalbero, Ciuffoglio, Scorzacute, Sorbolesto, e tutti gli altri Ent, consapevoli che, come dice appunto Barbalbero, «se restassimo a casa senza fare niente, la sorte giungerebbe comunque, prima o poi». Chi ha occhi per leggere e orecchie per intendere, intenderà.
«A noi non piace quando vengono a scuoterci; e ci scuotiamo solo quando ci è chiaro che i nostri alberi e la nostra vita sono in grave pericolo. […] È l’operato degli Orchi, l’abbattimento immotivato – rárum – senza neanche la cattiva scusa di alimentare i fuochi, che ci ha mandato su tutte le furie, e il tradimento di un vicino che avrebbe dovuto aiutarci. […] Non c’è maledizione in Elfico, in Entico o nelle lingue degli Uomini abbastanza tremenda per un tradimento del genere» (J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, DT, III. IV)
8. Verso il 17 (e 18) giugno
In Italia e in gran parte d’Europa i poteri costituiti hanno – piuttosto correttamente – individuato nei movimenti di lotta su ambiente e clima i loro peggiori nemici. Qui da noi – ma anche in Germania – il pugno di ferro ha colpito soprattutto Ultima Generazione. In Francia a essere prese di mira sono le attiviste e gli attivisti di Les Soulèvements de la terre, che si oppongono alla realizzazione di megabacini di stoccaggio idrico. Il 25 marzo scorso a Sainte Soline, in Nuova Aquitania, il movimento ha subito un attacco poliziesco su vasta scala e violentissimo. Duecento feriti di cui quaranta gravi. Due manifestanti in coma, di cui uno in serie condizioni a tutt’oggi.
Queste mobilitazioni stanno subendo quel che la lotta No Tav subisce da molti anni. La controparte cerca di dissanguarle a furia di repressione, denunce, arresti, misure cautelari, processi.
Ebbene, dovrebbe essere di ottimo auspicio per tutte e tutti questa semplice constatazione: il movimento No Tav esiste ancora. Non solo esiste, ma la sua persistenza ha sin qui impedito la realizzazione di un’opera i cui primi cantieri cercarono di insediarsi in Valsusa nel 2005.
Grazie al fatto che non si è potuto realizzarlo ai tempi, il progetto della Nuova Torino Lione ha perso sempre più pezzi, è apparso in tutte le sue contraddizioni, col tempo sono risultate indifendibili le sue insensatezze e la Francia, che già era poco convinta, ha deciso di smarcarsi.
Diventa chiaro a sempre più persone che il «tunnel di base» tra Susa a St. Jean de Maurienne – quasi sessanta chilometri di traforo, con distruzione di risorse idriche preziose in una zona delle Alpi sempre più esposta alla siccità – sarebbe fine a se stesso. Verrebbe scavato solo per i profitti di chi ha gli appalti e per ideologia, per non dover dire l’unica frase che avrebbe senso: «Il movimento No Tav aveva ragione, e ha vinto».
È più di una coincidenza il fatto che il 17 e 18 giugno ci siano quattro importanti manifestazioni per la difesa dei territori.
Il 17 giugno:
■ la manifestazione transnazionale No Tav in Val Maurienne;
■ il corteo «Diecimila stivali» a Bologna, contro la cementificazione, il Passante, il rigassificatore di Ravenna e altre opere inutili e imposte.
Il 18 giugno:
■ la manifestazione “toscana” contro la nuova funivia Doganaccia – Corno al Scale, che partirà alle 9 dal Lago di S. Gualberto alla Doganaccia, per congiungersi, al Passo di Croce Arcana con la…
■ …manifestazione “emiliana” contro la nuova seggiovia Polla – Scaffaiolo. Ritrovo alle 7.30 (chi può con auto) al parcheggio Certosa lato v.le Gandhi (Bologna) oppure alle 9 a Capanno Tassoni (Fanano). Si sale alla Croce Arcana e poi al Lago Scaffaiolo. Dislivello: m 550 – Km 13 – 5 ore di cammino.
Non è coincidenza, è sincronicità.
È convergenza.
È un’ecologia di ecosistemi di lotte.
Chi sta dall’altra parte non potrà più ignorarla.
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* Sul sabotaggio cfr. Andreas Malm, Come far saltare un oleodotto. Imparare a combattere in un mondo che brucia (Ponte alle Grazie, Firenze 2022).
A riprova di quanto la lotta No Tav sia stata anticipatrice, in Valsusa le questioni sollevate da Malm furono dibattute più di dieci anni fa. A un’assemblea popolare svoltasi a Bussoleno il 15 maggio 2013 Alberto Perino, una vita spesa in battaglie nonviolente, ricordò che alcuni importanti teorici della nonviolenza includono il sabotaggio tra le forme d’azione legittime e praticabili, a certe condizioni.
Ad esempio, Aldo Capitini giustifica «l’assalto al funzionamento di un servizio, di un’industria, di un’impresa pubblica o privata, con danno o distruzione, e quindi oltre il limite della legalità […] quando non vi è nessun rischio per l’esistenza di esseri viventi […] e quando il danno che viene apportato è superato dal danno che quel servizio apporta» (Le tecniche della nonviolenza, 1967).
L’intervento di Perino si trova qui, dal minuto 2:50.