La morte di Silvio Berlusconi, offre la possibilità di aprire uno sguardo su un lungo periodo storico e sulle trasformazioni sociali, culturali, politiche ed anche antropologiche che lo hanno attraversato. Non ci interessano i giudizi morali o etico-politici, la corruzione che comunque hanno la loro importanza e di cui è già stato detto tutto. D’altra parte, esiste un potere di classe che sia scevro dalla corruzione?
Molto di più interessa il profilo storico-politico, lo sfondo su cui si staglia il personaggio. Dagli anni ’80 in poi si afferma, dentro i processi di globalizzazione, la controrivoluzione neoliberista: vengono progressivamente smantellate le conquiste del ’68 ed il ciclo di lotte operaie che aveva ottenuto importanti risultati sui salari, il reddito, lo stato sociale nel quadro della produzione fordista.
La crisi del fordismo, la sconfitta della forza operaia e dei movimenti rivoluzionari, porta il potere del capitale ad elaborare nuove strategie di controllo e di dominio. La grande fabbrica fordista viene destrutturata, la classe operaia e la sua organizzazione autonoma disgregata, licenziamenti, precarizzazione, delocalizzazioni della produzione, privatizzazione e smantellamento del Welfare e dei diritti sociali. Possiamo riassumere questi processi nel termine “neoliberismo”, dal significato non univoco, con varie sfaccettature, ma che sostanzialmente esprime l’egemonia della controrivoluzione del capitale.
La sinistra, nel suo complesso, non riesce a cogliere questo passaggio dal fordismo al post-fordismo, ad elaborare nuove strategie di lotta, in particolare la socialdemocrazia, prona e supina rispetto all’egemonia neoliberale, che avvalla il predominio del capitale finanziario, i diktat delle banche e delle multinazionali, dei poteri forti sul piano globale. Come sempre, la controrivoluzione insegue e si appropria, stravolgendole e rovesciandone il segno, delle istanze dei movimenti rivoluzionari, in primo luogo la libertà, il rifiuto del lavoro salariato, l’autonomia, l’indipendenza.
Margaret Thatcher e Ronald Reagan ne sono l’espressione globale più significativa ed è all’inizio degli anni ’80 che inizia il periodo di incubazione del berlusconismo, la declinazione all’italiana del neoliberismo, il mito di una società di individui, completamente atomizzata e priva di legami sociali, ognuno “imprenditore di se stesso”, in eterna competizione con tutti gli altri. Individualismo possessivo e rottura della solidarietà sono le armi dei neoliberisti per la rottura di ogni unità e ricomposizione di classe.
Il neoliberismo berlusconiano si avvale, oltre che di questo apparato ideologico da “Chicago Boys”, del formidabile apparato mediatico di cui è proprietario, in grado di manipolare il “popolo”, offrendo con un linguaggio semplice e pop lo spettacolo ed i messaggi che il Sovrano vuol far passare. Mediaset diventa il partito stesso da lui fondato e non importano le bugie, le false promesse, la fraseologia vuota che ben rappresenta il vuoto politico al tramonto della Prima Repubblica. Un vuoto terribilmente efficace, che attrae, cattura desideri, speranze, la propensione al consumo illimitato, ma nel contempo accelera la distruzione dello Stato sociale e la precarizzazione del lavoro, privatizza i beni comuni, eleva il mercato a Dio supremo dell’accumulazione di capitale e di ricchezza. Insomma, la conquista delle “anime” e dei corpi per l’affermazione della proprietà privata e l’individualismo possessivo.
Di più: l’uso del corpo, il proprio corpo che esce dai media ed invade i più intimi recessi e pulsioni di massa con una presenza continua ed assillante, soprattutto il corpo delle donne, che devono essere belle, attraenti, disponibili, sono strumenti politici per la creazione del consenso. Berlusconi crea un immaginario consumistico e spettacolare, che avvolge tutta la vita sociale e che è necessario decostruire, che permane al di là del personaggio.
Coloro che si sono succeduti al governo del paese dopo di lui non sono certo migliori: da Matteo Renzi a Mario Monti, da Mario Draghi fino al governo apertamente di destra reazionaria di Georgia Meloni. Tutti, bene o male, hanno inseguito le direttrici indicate da Silvio Berlusconi. Al di là delle differenze sul piano politico, si accampa il presidenzialismo, l’accentramento dei poteri nelle mani dell’esecutivo, annullando ogni dialettica istituzionale pur in una democrazia rappresentativa in crisi irreversibile. Bisognerebbe rileggere l’analisi gramsciana su Cesarismo e Bonapartismo nei Quaderni dal Carcere, anche se il contesto storico è profondamente mutato e non si colloca più sul piano degli stati nazionali, ma su quello delle relazioni di potere a livello globale. Il cesarismo Berlusconiano trova nel governo di Giorgia Meloni il suo inevitabile compimento e “solo una rivoluzione ci può salvare”.
Immagine di copertina: Wikimedia Commons.