Arcella N. 13: il talk a Sherwood festival 2023

Il primo talk dello stand “media e produzione” di Sherwood festival è stato la presentazione del libro “Arcella n.13” di Elisa Falcioni e Luca Zaghetto, edito da Red Star Press in collaborazione con il Centro studi e documentazione Open Memory.

Arcella n.13 è un libro vero, che seppur raccontando una storia di un arresto, del carcere, dell’isolamento riesce ad essere leggero e ironico proprio per togliere l’immagine stereotipata della lotta, dell’amicizia nei movimenti, della militanza in anni importanti, come quelli del “lungo ‘68”. Un libro che pone delle riflessioni su come l’impegno politico e sociale continui ad essere, a dispetto del disimpegno e dei valori individualistici propagandati negli ultimi decenni, una via di gratificazione e realizzazione alla quale non si può e non si deve rinunciare.

In questo libro si racconta un periodo particolare della storia padovana nel quartiere padovano dell’Arcella, anni importanti per la storia dei movimenti politici ma non solo, anche per l’intera società. Gli anni 1975-76 sono anni che hanno visto forti mobilitazioni antifasciste a Padova, come nel giugno del ’76, quando il comizio di Almirante fu cancellato per un attacco nella sede del Msi proprio in Arcella. Nel maggio del ’76 in Arcella si cominciava a sentire la necessità di spazi sociali e così venne occupato il primo centro sociale in via Ticino, vicino a dove verrà occupato il Pedro oltre 10 anni dopo. Nell’ottobre del 76 nasceva anche Radio Sherwood, che inevitabilmente si intreccia con queste vicende. Tra il febbraio ed il marzo del ’77 ci furono molte occupazioni universitarie, ma da questo cominciò anche un ondata di repressione mai vista prima nel territorio nazionale: si vide Calogero inviare mandati di cattura con le operazioni del 21 marzo del 77, del 7 aprile del 79, quando vennero emessi 21 mandati di cattura, e dell’11 marzo del 1980, con altri 32 mandati di cattura.

“Come è nata l’idea di scrivere e raccontare questa storia in particolare?”

L’idea di scrivere e raccontare questa storia, parla Elisa Falcioni, è nata dalla necessità e dalla voglia di  scrivere della sua vecchia compagnia dell’Arcella per rilasciare un documento scritto da chi ha vissuto quegli anni e da chi ne ha solo sentito parlare. L’idea di scriverlo a due mani è nata per avere due diverse visioni dello stesso fatto visto da due età diverse: da una parte chi la vive in prima persona e dall’altra chi vede i protagonisti con ammirazione.

“Cosa significa il titolo del libro?”

Il titolo, risponde Luca Zaghetto, è un gioco di parole da “Ar-cella numero 13”, il numero 13 infatti rappresenta il numero di cella dei protagonisti, “gli arcellotti”. Il racconto tratta gli anni formativi di due persone e del loro anno di carcere con due punti focali: l’amicizia del gruppo e la forza che trasmettevano all’esterno, e l’esigenza di raccontare un momento di passaggio storico che avviene a partire dal 1980, una frattura tra quello che è stato e quello che sarebbe avvenuto dopo.

“Perché una casa editrice come Red Star Press fa da editore di un libro che tratta fondamentalmente del tema dell’amicizia?”

Arcella n.13, nonostante sia un libro che fondamentalmente parla di amicizia, non rappresenta solo questo, dice Luca Zaghetto, e non solo perché questi ragazzi nonostante una grande inconsapevolezza facevano politica, ma anche perché l’amicizia capovolge quello che è periferia e centro. Senza l’aggregazione, senza gli spazi, senza vivere la città e il proprio quartiere le lotte sarebbero diverse e si regredisse ad un mondo di plastica.

“Cosa rappresenta la foto di copertina?”

La foto di copertina, racconta Elisa, è datata 1975 e fu scattata da un fotografo dell’arcella che vede i 5 componenti del gruppo storico dell’Arcella “alla muretta” e ne rimane stupito, così decide di invitarli ad un set fotografico e utilizzò la suddetta foto per partecipare ad un concorso fotografico. La foto rappresenta l’inizio della compagnia, l’inizio della prepolitica, quando alcuni del gruppo hanno scelto la militanza.

“Come è stato scelto il linguaggio?”

Il linguaggio usato del libro è molto semplice perché vuole esprimere quello di quei giovani, che per quanto discutessero di filosofia e sociopolitica, avevano un linguaggio di un gruppo di diciottenni di una realtà di quartiere e confidenziale. Questi amici, quando sono stati forzati a vivere in carcere, hanno sviluppato non solo una grande coesione, che ha permesso loro di vivere meglio di altri individui proprio perché in gruppo, ma anche relazioni tra il gruppo e il resto della popolazione carceraria. Questo gruppo era rispettato e creava del contropotere: da un lato per la forza della loro amicizia, dall’altro per il background da militanti. Grazie a questi elementi, il libro cerca di rappresentare in modo realistico la realtà e quotidianità del carcere, la vita e il contropotere politico.

“Quanto è importante raccontare la tematica della repressione e del carcere ma soprattutto quanto è fondamentale creare del contropotere da queste misure coercitive per liberarsi dalle costrizioni?

Cristiano Armati, della casa editrice Red star press, come prima cosa parla di quanto sia fondamentale rompere l’idea che ci sia una divisione netta tra cosa succede dentro e fuori dal carcere. Questo libro, nella sua semplicità, fa sembrare il carcere una tregua, uno spartiacque tra un prima e un dopo, nel sottofondo del libro si vede per esempio la sfilata dei colletti bianchi alla Fiat, le parole della Thatcher “non esiste una società ma solo individui” e quindi l’apertura della stagione che corrisponde al periodo berlusconiano e alla televisione, per affermare disvalori di massa: un mondo che si capovolge.

I protagonisti dal carcere vivono questi cambiamenti in modo traumatico perché quegli anni erano uno spartiacque storico enorme, il carcere restituisce ai protagonisti un mondo già cambiato proprio quando sembrava che tutto potesse avere un senso.

Nell’ultima parte del libro emerge un ultimo tema: prima ci si mobilitava, si stava insieme, ci si organizzava per molto meno rispetto ad oggi e l’effervescenza sociale è molto diversa. Questo è uno dei fili conduttori positivi del libro che Cristiano ricorda con la frase di Abby Hoffman “Eravamo giovani, eravamo arroganti, erravano ridicoli, eravamo eccessivi, eravamo avventati ma avevamo ragione.”

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