La battaglia dell’acqua. Estrattivismo, crisi climatica, resistenze

Lunedì 3 luglio si è tenuto a Sherwood Festival il “La battaglia dell’acqua. Estrattivismo, crisi climatica, resistenze” con Kyra Grieco (Antropologa), Andrea Goltara (Italian Centre for River Restoration), Baptiste David (Bassines non Merci), Anna Ghedina (Fridays for Future) e Ludovica Moro (Social Climate Camp).

Andrea Berta, che ha moderato la discussione, ha aperto riportando una piccola parabola didascalica del defunto David Foster Wallace: un vecchio pesce incontra due giovani pesci, e dice loro: “Buongiorno ragazzi, com’è l’acqua?”. Dopo un po’, allontanandosi, uno dei pesci più giovani guarda l’altro e gli chiede: “Cosa diavolo è l’acqua?”.

Questa parabola esemplifica in maniera chiara come alcuni presupposti impliciti di come elaboriamo la realtà intorno a noi rendano praticamente invisibili i processi che la regolano e definiscono. La parabola può portare a ragionare sull’ideologia, e nel caso di questo dibattito si applica in maniera calzante rispetto alla percezione ed esperienza che abbiamo della crisi climatica. È ormai inequivocabile che ci troviamo dentro la crisi climatica e che il fautore di questa condizione di riscaldamento globale abbia un nome ben preciso: capitalismo. Quello che però risulta ben più difficile da fare è capire come agire dentro un contesto di crisi climatica e perciò come organizzare un’analisi adeguata ai nostri tempi, «togliere la testa dall’acqua e scoprire il cielo». L’obbiettivo del dibattito, a partire dalla battaglia per l’acqua, «è discutere su come si organizza l’assalto a quel cielo e per fare questo bisogna definire l’acqua in cui ci stiamo muovendo, o meglio andare a definire la natura pervasiva ed ideologica del capitalismo».

Abbiamo un capitale che estrae profitto da risorse naturali che definiscono letteralmente i limiti della nostra sopravvivenza: acqua, aria e terra. Alla stessa maniera, il capitalismo estrae profitto da tutto l’ambito della riproduzione, e in generale di tutti quei rapporti non salariali che caratterizzano la maggior parte dell’accumulazione capitalistica: il lavoro domestico e non pagato delle donne, ma anche la finanziarizzazione e tutti i tagli alla sanità, ai servizi, ai beni necessari, all’istruzione, tutte misure che fanno sempre ricadere su chi lavora il peso della sua riproduzione.

Dentro questi processi di estrazione, costruire confini (di genere, razza, classe) è funzionale a poter estrarre profitto, ma si deve accompagnare ad una gestione materiale dei processi di estrazione. In questo, la governance dei territori gioca un ruolo centrale: la creazione di “zone di sacrificio” in moltissime parti del Sud del mondo (ma anche nel Nord) è cruciale per sostenere un sistema basato sulla crescita infinita in un pianeta finito.

In questo contesto, la creazione e la gestione di situazioni emergenziali (come i terremoti, le alluvioni, etc.) e la gestione di grandi opere (come la TAV, le olimpiadi, etc.) sono sempre stati accompagnati da meccanismi di commissariamento, di interessi strategici nazionali e di commissioni speciali, che materialmente hanno distrutto i processi democratici dal basso di decisionalità, lasciando moltissimi territori in ostaggio di processi di devastazione ambientali e sociale.

La crisi climatica ci porta ad uno scarto qualitativo nel discorso sui limiti, perché a differenza di quelli artificialmente creati dal capitalismo, la crisi climatica ci pone di fronte al tema ineluttabile della scarsità, ponendoci davanti alla problematica di come ci si adatta a vivere dentro un contesto di scarsità. Ovviamente il tema della siccità è principe di questa discussione, e credo sia importante discutere delle varie esperienze proprio a partire da questa tematica.

La battaglia dell’acqua diventa quindi emblematica di un paradigma che pervade le nostre vite, di un’ideologia che è riuscita, da storia, a diventare natura, per cui, citando Jameson, “è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”. Di fronte ad un’ideologia come quella capitalista, che si mette davanti anche alle fondamenta ecologiche dell’esistenza, la lotta per l’acqua rappresenta uno di quei banchi di prova dove distruggere la “naturalità” del capitalismo e immaginare, fuori da quel paradigma, come adattarsi e riuscire a vivere e lottare dentro la crisi climatica. La questione dell’adattamento, infatti, se viene slegata dalla necessità di svelare quei processi impliciti e “naturali” del capitale, ricade, come spesso succede, pienamente dentro un adattamento capitalista ai cambiamenti climatici.

 

Kyra Greco introduce il suo intervento parlando di come l’estrazione capitalistica di valore abbiamodificato radicalmente i territori, creando alterazioni fisiche e un accesso differenziale alle risorse naturali, ma anche andando a modificare le relazioni sociali, in termini di inclusione ed esclusione, generando nuove forme di diseguaglianza sociale. Questo ha un peso ancora maggiore lungo il confine estrattivo della questione di genere, ma dall’altra parte ha portato molte donne ad essere attrici principali nella costruzione di nuove lotte e nell’organizzazione delle comunità nelle lotte per le risorse naturali, in questo caso in America Latina.

L’antropologa spiega come il suo approccio alla questione dell’acqua si sì sviluppato con la Grande Mineria in Sud America. Una miniera a cielo aperto è una grandissima espropriazione di terreno che richiede un grande utilizzo di energia e risorse. Una delle miniere su cui si è concentrata è una delle più grandi miniere di estrazione di oro, tre volte più estesa del comune di Padova, prevede l’accaparramento di terre, di risorse idriche, la privatizzazione di vie di comunicazione. Siamo nelle alte terre andine, il piccolo campesinado sopravvive attraverso un’agricoltura di sussistenza, c’è un grande problema di inquinamento delle acque perché il processo di estrazione viene fatto con acidi tra cui cianuro, basta un minimo sbaglio umano o meccanico e le sostanze penetrano nei corsi d’acqua con avvelenamento di animali, territori e persone.

Le prime attività colpite sono quelle di soggetti femminili e femminilizzati, attività di sussistenza, attività di cura indispensabili per la comunità. E questo è uno dei motivi per cui le donne hanno un ruolo centrale in contrapposizione all’estrazione mineraria. Siamo del nord del Perù vicino a una grande miniera d’oro e dal 2011 al 2013 c’è stata una grande opposizione alla realizzazione di nuove miniere. Le donne sono scese in strada rivendicando l’ importanza dell’ acqua per la riproduzione sociale: dal lavare i piatti, ad abbeverare gli animali a lavare i panni. Ci sono state occupazioni anche del centro città per settimane da parte di donne campesinas, hanno portato le loro pentole rendendo il centro città un’enorme cucina a cielo aperto per le migliaia di manifestanti che combattevano la costruzione delle miniere, porta la riproduzione al centro dell’opposizione dell’estrattivismo.

L’acqua è vita, crea legami, connessioni, ci sono comunità legate da risorse idriche, l’acqua ha permesso di creare convergenze tra settori sociali e politiche, tra élite urbane e il campesinado, tutte categorie che storicamente non avevano avuto lotte in comune, donne di diverse estrazioni sociale che si incontravano intorno alla rivendicazione del lavoro di cura. In una sorta di vuoto politico, dopo la guerra interna degli anni 90 tra il Sendero luminoso e le forze dello Stato. I conflitti ambientali e in particolare il tema dell’acqua hanno permesso di ripoliticizzare molti settori.

 

Interviene poi Andrea Goltara presidente di Associazione per la riqualificazione acque. Ricorda il 2022 come l’anno della grande siccità, forse la peggiore degli ultimi 500 anni in Europa, dove le risorse idriche si impoveriscono sempre di più e in prospettiva i corsi d’acqua avranno sempre meno risorse per le attività umane. Quasi tutte le azioni del governo sono andate verso la costruzione di nuove opere, infrastrutture, in un contesto come quello italiano già pieno di costruzioni. Ci manca acqua? Costruiamo dighe e invasi, ma ci sono più di 500 dighe e gli invasi probabilmente sono più di 20.000.

Il settore agricolo è quello che consuma più acqua, ma non si vuole mettere in discussione nulla, la prospettiva è quella di consumare più acqua e si realizzano sempre più opere. I corsi d’acqua sono sistemi già in grande sofferenza, hanno già meno del 10% di quella che avrebbero naturalmente, in più ci sono deroghe per cui spesso si arriva al 5%. Gli sbarramenti lungo i corsi d’acqua sono più di un milione in Europa. La propaganda dice che finanzierà sempre più infrastrutture. Siccità e alluvioni sono molto legate tra loro, servono opere anche per le alluvioni. I due decreti principali che il governo ha portato avanti sono il decreto siccità e il decreto alluvioni, per bypassare le norme e costruire nuove opere.

Il tentativo è quello evitare di passare per i pochi percorsi che ci sono di partecipazione pubblica. Nel decreto siccità c’è un articolo che si chiama “superamento del dissenso”. Con esso anche se un ente pubblico avrebbe teoricamente la possibilità di bloccare un’opera, ormai tutto è commissariato, superando così il dissenso locale. La Commissione Europea ha fatto la proposta di un nuovo regolamento, il Nature Restoration Law, un regolamento sul ripristino della natura che dice di rimuovere opere, di restituire spazio ai fiumi per tutelarsi da siccità e alluvioni e per fare ciò  i fiumi hanno bisogno di più spazio.

Per stoccare acqua è più sensato usare il sottosuolo e quindi ricaricare le falde, quindi bisogna aiutare i fiumi a fare questo lavoro, fare in modo che i sedimenti dei fiumi si muovano. Le coste diminuiscono perché mancano i sedimenti che arrivano dai fiumi. I letti dei fiumi sprofondano e questo determina un riflusso di acqua marina. Il suolo ha una capacità enorme di trattenere acqua ma deve essere trattato bene, bisogna aumentare carbonio nel suolo ma ciò è impossibile a causa dell’agricoltura intensiva. I grandi rappresentanti del mondo agricolo trascurano questa cosa. Il 12 luglio i rappresentanti delle istituzioni europei dovranno votare questa proposta di leggi. Il Partito Popolare Europeo e altre coalizioni stanno facendo di tutto per mandare a monte questa legge.

 

Dall’Italia alla Francia, è il turno di Baptiste David, rappresentante di Union Solidaire e di Bassins non merci che è un comitato che lotta contro i mega bacini ed è parte del movimento dissolto amministrativamente dal governo Soulevement de la Terre.

Baptiste spiega come è cresciuto questo movimento: «mentre si stava organizzando la manifestazione di Saint Solines c’è stata una grande crescita politica del movimento ambientalista in Francia e da qui si è iniziato a immaginare un sindacato dei bacini con una visione altermondialista e globale». L’idea alla base è che non ci sia un mondo diverso da questo per difendere oceani, fiumi, mari: «dobbiamo riuscire a cambiare questo mondo cambiando anche la maniera in cui lo viviamo. Per fare questo ci siamo resi conto che era imperativo creare una nuova narrativa e abbiamo cercato di immaginare che cosa ci avrebbe potuto unire in un senso globale, iniziando ad esempio ad aumentare la popolazione delle anguille, aumentiamo la biodiversità, la popolazione di libellule».

In un mondo molto antropizzato la produzione di cibo e la questione del cibo e dell’autonomia alimentare è importante, per cercare di costruire un sistema che accolga la dimensione non umana e crei nuove relazioni: «ci si chiamo chiesti perché non creare un welfare autonomo dell’alimentazione, sulla base del principio per cui ognuno secondo le sue possibilità ed ognuno secondo i suoi bisogni. Per tutte queste ragioni stiamo cercando di immaginare dei sindacati collegati ai bacini versanti che si basi su articolo 22 dei diritti dell’uomo e si basi sui sostegni sociali, usando ad esempio strumenti come il credito d’imposta per garantire il welfare dell’alimentazione».

L’idea è quella di partire da una base di contribuiti elevata ognuno secondo sue possibilità, aggregando contadini, pescatori ma anche persone che abitano i territori dei bacini versanti. «Rispetto a questo meccanismo, con una contribuzione ognuno di 300 euro su un’economia di scala si garantirebbe la sicurezza alimentare guadagnando 100 euro. Con una dimensione di 100 iscritti si riuscirebbe a garantirsi 10.000 euro al mese per riacquistare dei terreni e rimetterli in funzione rispetto all’etica di cui si sta parlando. Vivo in una regione di 200000 abitanti, se il 5% si iscrive si parla di possibilità di risorse di circa un milione di euro. Questo ci permetterebbe di avere i mezzi per iniziare di acquisire una serie di strumenti per esempio per acquistare edifici e far si che ci sia un’accoglienza diversa, permettere la ripopolazione delle anguille, acquisire il debito di molti contadini e garantire un meccanismo di produzione differente».

Grazie a questo meccanismo è possibile cercare di rovesciare il rapporto di forza con le istituzioni centrali ma anche locali, e soprattutto con i grandi sindacati agricoli che dettano le politiche agricole. Dentro a questo quadro l’obiettivo è trasformare le istituzioni locali in istituzioni comuni e avere veramente una gestione dei beni comuni degna di questo nome. «Per concludere se tutti iniziamo a ragionare al di là della dimensione umana, per bacini versanti, di convivenza anche con il non umano, si può allora immaginare di federarsi tra diversi bacini versanti a livello globale. La domanda che vi pongo d’oltralpe è se siete pronti a immaginarvi come bacini versanti».

 

Interviene poi Ludovica Moro di Ecologia Politica Torino e del Climate Social Camp che si terrà a Torino dal 26 al 28 luglio. «Come salvare l’acqua è la domanda che attraversa tutti gli spazi. Vediamo come la crisi climatica si declina nei nostri territori, la siccità è stata una prova tangibile di crisi climatica e ci permette di andare a comprendere come crisi di questo tipo stravolga l’immaginario stesso delle nostre città e delle nostre montagne». Gli eventi che si stanno susseguendo negli ultimi anni dimostrano che tutto è divenuto immediatamente tangibile: «abbiamo approfondito e indagato la siccità, l’emergenzialità con cui viene impostato il discorso che in realtà ha poco di emergenziale. Le cause  e le conseguenze non sono improvvise, i campanelli d’allarme ci sono. La descrizione fatta attraverso i media, a livello politico manda un messaggio errato, una natura che stravolge le cose e in cui l’umano non sa come reagire e deve fare di tutto, un tutto pericoloso». La logica industriale dei bacini è quella di fare un buco sul terreno così da convogliare in un punto solo l’acqua che potrebbe essere distribuita sul territorio. È poco democratica, accentratrice. Anche il PNRR mostra palesemente la volontà di sopperire alla siccità con la privatizzazione, l’accaparramento e la monetarizzazione dell’acqua. Questo impatta non solo su territori extraurbani, ma anche in città: basti pensare agli sfratti per morosità sulle bollette d’acqua che sono triplicati nell’ultimo anno. «L’acqua ci dà l’opportunità di fare un ragionamento che possa tenere insieme diversi elementi, qual è la prospettiva?».

 

In conclusione di scaletta, Anna Ghedina di Fridays For Future apre con una riflessione su come sta cambiando la lotta sulla crisi climatica in questi anni: «si sente spesso parlare di adattamento alla crisi climatica, ma è importante risignificare questo termine in un’ottica che sia trasformativa e non di compatibilità con capitalismo, ci deve invece essere un ribaltamento del modello di sviluppo esistente che ad esempio inizi a parlare convintamente di decrescita».

È impossibile non portare alla luce in tal senso l’impatto che avranno le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026, non solo nei territori direttamente interessati, ma a livello nazionale e transnazionale. «Iniziamo con il dire che queste Olimpiadi si ispireranno a quelle di Pechino 2022 le prime con la neve al 100% artificiale. Si stanno costruendo dei laghetti artificiali in montagna, inutili perché piove sempre di meno, la maggior parte dell’acqua evapora o risulta inutilizzabile e richiedono soldi per sfangamento e manutenzioni. Quindi l’acqua verrà estratta dai fiumi, quella di cui abbiamo bisogno per la vita». Oltre all’acqua, questo grande evento sarà devastante per l’intero ambiente: nonostante i proclami dei promotori per cui le Olimpiadi sarebbero state a impatto zero, si stanno già disboscando creando problemi dal punto di vista delle temperature e delle risorse naturali.

C’è inoltre il grande problema di un progetto approvato senza alcun coinvolgimento delle comunità territoriali nei processi decisionali. E questo è ancora più grave perché parliamo di una popolazione che spesso si trova in mancanza in montagna di servizi essenziali, dalla salute pubblica alla mobilità. Basti pensare che nel bellunese negli ultimi anni il 40 % dei giovani se ne è andato proprio perché mancano i servizi essenziali.

Infine la questione economico-finanziaria. «Nel 2024 ci saranno le Olimpiadi in Francia, e la lotta nel paese d’oltralpe è stata legata a quella delle pensioni. Allo stesso modo in Italia, i soldi negati a lavoratrici di spettacolo sono stati dati alle mega infrastrutture per le olimpiadi per poi finire in gran parte inutilizzati, come abbiamo visto già per l’Expo a Milano e per le olimpiadi a Torino del 2006». Per tutte queste ragioni è importante che i movimenti assumano la questione Olimpiadi in tutta la sua complessità, proprio perché queste rappresentano un paradigma di una transizione ecologica imposta dall’alto. «Tutti questi temi li affronteremo al prossimo Venice Climate Camp, dove l’assemblea conclusiva avrà come obiettivo quello di costruire un percorso di lungo periodo contro le Olimpiadi 2026».

 

Riprendendo le fila dei vari interventi precedenti Andrea Berta osserva come emerga la necessità di costruire spazi di confronto e un lavoro certosino di inchiesta, di analisi per riscoprire i nostri territori sia in senso umano che fisico e culturale, costruire insieme l’assalto al cielo. «O siamo in grado di convincerci o convincere e come diceva Fisher far sembrare possibile l’impossibile».

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