Cinquant’anni fa, l’11 settembre del 1973, le forze armate cilene attraversarono la Baia di Quintero e irruppero nella fonderia e raffineria di rame di Ventanas, assaltando le recinzioni dalla spiaggia e occupando rapidamente la struttura. Il colpo di stato sostenuto dalla CIA contro il governo democraticamente eletto di Salvador Allende viene di solito visualizzato attraverso le drammatiche immagini dei jet Hawker Hunter che bombardano il palazzo presidenziale de La Moneda, o dei soldati che trascinano migliaia di prigionieri politici nello Stadio Nazionale di Santiago, dove molti incontrarono la morte o la tortura. In quello stesso giorno, tuttavia, l’esercito s’impadronì anche dei principali impianti industriali del paese con l’obiettivo strategico di distruggere le roccaforti della militanza operaia che aveva spinto verso la radicalizzazione del programma governativo per una transizione al socialismo. Cinquant’anni dopo, il rame è nuovamente al centro dell’attenzione. Per esempio S&P Global stima che – se la transizione da una matrice energetica fossile a una basata sui minerali dovesse avvenire – la domanda di rame potrebbe raddoppiare entro il 2035.
Gli orrori della dittatura di Pinochet – in quanto ad assassinii, sparizioni forzate, torture, carcere ed esilio – sono ormai noti. Un altro aspetto importante è però quello del suo devastante impatto ecologico. La zona industriale di Ventanas, oggi la più famosa “zona di sacrificio” del Cile, ne è un drammatico esempio. Infatti, la dittatura mise fine – tra le altre cose – al piano di upgrade ambientale del complesso cuprifero di Ventanas, elaborato sotto il governo Allende in seguito alle pressioni degli operai e dei contadini che avevano denunciato gli impatti nocivi dell’inquinamento. Se implementato, il piano avrebbe risparmiato alle città vicine di Puchuncaví e Quintero due decenni d’inquinamento senza restrizioni.
Da un punto di vista più ampio, i regimi neoliberisti sudamericani hanno consolidato le economie del continente nella loro funzione coloniale di export di materie prime. Questa strategia estrattivista è stata perseguita con pochi scrupoli rispetto a salute e ambiente, aggiungendo alla violenza brutale della repressione la “violenza lenta” della nocività. Riconoscere le conseguenze di lungo termine di tale violenza ha implicazioni importanti su come pensiamo la transizione ecologica oggi. Infatti, affrontare la crisi ecologica richiede una divisione internazionale del lavoro più equilibrata. Senza trasformazioni in questo senso, i tentativi di transizione energetica attuali rischiano di provocare un approfondimento del tutto insostenibile dell’estrattivismo e delle disuguaglianze.
Operai e zolfo
La costruzione di un complesso per il processamento del rame a Ventanas – una comunità di agricoltori e pescatori tra il comune di Puchuncaví e quello di Quintero – cominciò nel 1960. Lo stato cileno affidò i lavori a un consorzio della Germania Occidentale e costituì la Empresa Nacional de Minería (ENAMI) per gestire le fabbriche. Il progetto non prevedeva un sistema per la cattura delle emissioni, anche se la tecnologia necessaria esisteva già all’epoca. Nonostante ciò, i lavori furono tormentati da ritardi, scostamenti di bilancio e incidenti. La fonderia fu inaugurata nel 1964 e la raffineria solo nel 1966.
Sulle pagine della rivista operaia La unidad, diretta dal delegato sindacale Carlos García, un operaio ricordava i primi mesi di ENAMI di Ventanas in questi termini:
I macchinari erano così difettosi che entravamo alle 7 di mattina ma non sapevamo quando saremmo usciti. Di solito, per tre mesi di fila, finivamo tra le 3 e le 5 del mattino seguente. Era un lavoro abbastanza pesante, dovevamo sollevare e controllare circa 3000 barre da 120 chili ciascuna. Terminata la fusione, dovevamo restare a calafatare le forme e riscaldarle a quasi 200 gradi. Con il poco cibo a disposizione, non so come siamo sopravvissuti. Era un tale inferno che non voglio nemmeno pensarci. La cosa peggiore è che il prodotto non valeva nulla, perché i test chimici davano cattivi risultati. […] Fu un tale fallimento che lo stesso capo dei tedeschi tentò il suicidio. (La unidad, settembre 1970, p. 2)
Per restare fedeli alla terminologia di un operaio in pensione, i primi operai di Ventanas possono essere suddivisi in tre categorie: los nortinos (i settentrionali), los pitucos (i “fighetti”) e los huasos (i contadini).
I nortinos erano gli operai qualificati provenienti dalla regione mineraria di Copiapó, nel Deserto di Atacama. Spesso figli di minatori, erano cresciuti in una cultura immersa nella familiarità con il metallo rosso. La leggenda narra che alcuni horneros (operatori di fornace) del nord potevano stabilire la qualità dei campioni di rame a occhio nudo, prima ancora che gli analisti li controllassero nel laboratorio. Le miniere del nord erano anche state la culla del movimento operaio cileno e molti nortinos portavano con sé una cultura di radicalismo di classe che trovò un terreno fertile a fine anni ‘60.
I pitucos erano i tecnici con un’istruzione formale, gli impiegati e i dirigenti. La maggior parte erano pendolari che dai centri urbani di Valparaíso, Viña del Mar e Quilpué arrivavano ogni giorno a Ventanas coi mezzi aziendali. Quasi tutte le donne impiegate da ENAMI Ventanas all’epoca – una piccola minoranza – ricadevano in questa categoria. Tuttavia, il loro status di colletti bianchi non le proteggeva dal sessismo, a tal punto che La unidad pubblicò diversi appelli per fermare le molestie di genere. Dato che il complesso di Ventanas iniziò a operare sotto il governo democristiano di Eduardo Frei, molti picutos furono inizialmente reclutati tra le fila della DC cilena. Tuttavia, quando la coalizione di sinistra Unidad Popular portò Allende alla presidenza con la vittoria elettorale del 4 settembre 1970, un nuovo gruppo di giovani laureati e studenti di sinistra iniziò ad attraversare i cancelli della fabbrica.
I huasos provenivano dalle comunità agricole circostanti. Erano lavoratori “dequalificati” e con una scarsa istruzione, eppure difficilmente gli altri dipendenti sarebbero stati in grado di svolgere i compiti più pesanti e pericolosi assegnati a questi operai-contadini. Le piogge acide causate dalla stessa ENAMI Ventanas avevano devastato i campi circostanti, tra le proteste dei contadini. Espropriati dall’accumulazione nociva, molti di questi lasciarono la loro falce in cambio di un martello nelle fabbriche, dove incontrarono lo zolfo alla fonte, condannati alle mansioni più infernali. “Sono tutti morti” è la risposta laconica che abbiamo più volte ricevuto chiedendo di abitanti di Puchuncaví che avessero lavorato a ENAMI Ventanas dai primi anni. Alcuni contadini non si adattarono alla disciplina di fabbrica e presero il largo, altri riuscirono a reggere il nuovo tipo di fatica, trovando un sollievo occasionale nell’osservanza di “San Lunedì” (o i suoi equivalenti per i turnisti).
Mario Cisterna, un operaio di Puchuncaví incarcerato e licenziato con il golpe, ha raccontato così la sua storia:
Il mio primo lavoro è stato nell’agricoltura. Poi, quando è cominciata quella roba là [ENAMI Ventanas], seminavamo ma raccoglievamo più. Le fabbriche, il fumo, rovinavano i raccolti e abbiamo dovuto cercarci qualcos’altro. Così ho iniziato a lavorare nell’edilizia. A 16 anni andavo a caricare i camion per riempire il terreno per le fabbriche. […] Lì ho conosciuto i sindacati e ho iniziato a mettermi in storie di politica. Così ci hanno messo nelle liste nere, cercavamo lavoro e non ce lo davano. Finché non è arrivato il governo di Allende. […] E ci han messo a lavorare giù nella fonderia, con tutto il fumo, per farci morire poi. I migliori là erano quelli che avevano lavorato nei campi, i più bruti, perché eravamo tutti abituati allo sforzo fisico. I gentiluomini delle città non ce la facevano col martello. Senza di noi, tutti quei weones sarebbero crepati.
Tutti i principali partiti dell’Unidad Popular – il Partito socialista, il Partito comunista e il Movimiento de Acción Popular Unitaria (MAPU, sinistra cristiana) – avevano gruppi di fabbrica a Ventanas. José Carrasco, presidente della Asociación de Operarios en Ventanas, era un membro del PC cileno. Anche il gruppo extraparlamentare Movimiento de Izquierda Revolucionaria (MIR) aveva un membro nel direttivo dell’associazione: Guillermo Sotomayor, altrimenti noto come Caballo Loco (Cavallo Pazzo). Nonostante questo, la DC cilena mantenne un largo seguito nella fabbrica, cosicché i dibattiti tra gli operai rimanevano accesi e a volte duri. Tuttavia, quando l’11 luglio del 1971 il parlamento cileno approvò all’unanimità la nazionalizzazione di tutte le grandi miniere di rame, che Allende chiamava “il salario del Cile”, la misura trovò un ampio sostegno tra la popolazione, compresi gli operai di Ventanas.
Contro la nocività
La nocività interna era acutamente percepita dagli operai, come regolarmente deplorato da La unidad sin dal primo numero dell’ottobre 1969. I lavoratori denunciavano una lunga lista di rischi per la salute: polveri e gas tossici, temperature estreme, patologie muscolo-scheletriche, turni troppo lunghi, ecc. Nel luglio 1970, García osservava che “l’azienda dichiara che non ci sono gas tossici e che le ulcere non sono malattie professionali anche se ha i dati che mostrano un numero altissimo di lavoratori malati” (La unidad, luglio 1970, p. 1). La unidad dovette persino pubblicare una lettera del Dipartimento di igiene, sicurezza e medicina del lavoro nel quale l’agenzia governativa sfatava il mito che il latte fosse un rimedio antitossico efficace (La unidad, settembre 1970, p. 23). Prima del golpe, alcune misure preventive e dispositivi di protezione erano stati gradualmente migliorati, ma permanevano gravi lacune. Nel 1972 ENAMI costituì un comitato bipartito su salute e sicurezza, che stilò un rapporto caustico e sottolineò l’urgenza delle riforme.
La nocività esterna era discussa più raramente nelle pagine della rivista. Tuttavia, in un articolo del 1971, per esempio, l’autore Guillermo Herrera scriveva: “Le preoccupazioni dei contadini, emerse fin dall’inizio rispetto ai possibili impatti delle emissioni della fonderia sui campi, sono state di fatto confermate” (La unidad, settembre 1971, p. 5). Un’impiegata oggi in pensione ha ricordato:
Non ci crederete, ma le persone erano molto consapevoli delle questioni ambientali anche all’epoca, perché vedevano l’impatto dell’inquinamento da zolfo e i lavoratori avevano sollevato la questione. Volevamo filtri, nuove tecnologie, un sacco di cose, anche all’epoca! Ma poi con la dittatura non è stato possibile.
Ci furono in effetti dei preparativi volti a espandere e migliorare il complesso industriale come parte della strategia governativa per una maggiore industrializzazione del rame fresco di nazionalizzazione. Nei primi mesi del 1973, ENAMI aveva approntato un piano che prevedeva l’installazione di un impianto di acido solforico che avrebbe catturato una parte delle emissioni inquinanti e l’introduzione di altre tecnologie più avanzate. La unidad notò che il nuovo impianto avrebbe ridotto “le enormi quantità di gas solforosi che attualmente vengono dispersi nell’atmosfera, provocando seri problemi ai contadini e alla popolazione in generale” (La unidad, aprile-maggio 1973, p.12). Ma la Storia si mise di traverso.
Un golpe tossico
La vita di fabbrica rimase rapidamente irretita nei problemi causati dal boicottaggio economico sostenuto dagli Stati Uniti, dai preparativi del golpe e dalle divisioni all’interno della sinistra su come rispondere. Alcuni lavoratori strinsero legami politici con i pirquineros, i piccoli minatori che fornivano il rame grezzo a ENAMI. Molti erano di sinistra e – cosa più importante – maneggiavano quotidianamente la dinamite durante il lavoro. Ma la corsa contro il tempo dei lavoratori militanti finì a sbattere sull’abissale asimmetria di potere tra il movimento operaio e le forze armate. Come testimoniato dall’ex dipendente di ENAMI Ventanas, e in seguito prigioniero politico, Rafael Maldonado:
Facevamo assemblee dentro alla fabbrica e la gente era disperata perché vedevano il golpe arrivare ma non sapevano che fare. […] I tralicci dell’elettricità a Valparaíso erano costantemente sabotati [dall’opposizione] e la città restava al buio. Così facevamo la guardia alle torri di trasmissione di ENAMI e, tra tutti noi, non avevamo neanche un fucile! […] L’esercito sapeva molto bene cosa fare: tagliarono le linee telefoniche e attaccarono [ENAMI Ventanas] dalla spiaggia. E non incontrano nessuna resistenza. Occuparono la fabbrica in cinque minuti.
Il golpe schiacciò brutalmente ogni forma di organizzazione alla luce del sole nei luoghi di lavoro e Ventanas non fece eccezione, come testimoniato da un’ex impiegata:
Il golpe fu orribile, per oltre un anno abbiamo lavorato con i soldati armati che dirigevano la fabbrica. Orribile. Alcuni compagni di lavoro non li abbiamo mai più visti. […] Avevano una lista, e se il nome di qualcuno ci finiva dentro, i soldati lo chiamavano e lo portavano via. Li buttavano a terra e poi nei camion e li portavano via. Era orribile perché li mettevano a strati, uno sopra l’altro.
Le persone da noi intervistate stimano che centinaia di lavoratori di Ventanas furono licenziati all’indomani del golpe, principalmente in base a criteri politici. Di questi, la maggior parte fu imprigionata e torturata in diversi centri di detenzione. Per esempio, la Marina stazionò la nave carboniera Lebu nella Baia di Valparaíso e la usò come centro clandestino di detenzione e tortura. Decine di dipendenti di ENAMI Ventanas furono ammucchiati nell’imbarcazione assieme agli altri prigionieri politici. Una volta rilasciati, alcuni andarono in esilio, altri affrontarono una vita di stenti nelle liste nere del regime di Pinochet.
Mario Cisterna era tra questi e ha ricordato che, nelle settimane successive al golpe, il transatlantico italiano Verdi attraversò la Baia. Il capitano avvistò alcuni corpi in mare e avvertì la Capitaneria di Porto di Valparaíso. È effettivamente esistita una nave da crociera di nome Verdi – costruita nel 1951 e demolita nel 1977 – che offriva viaggi in Cile. La nave faceva parte della flotta della Italia-Società di Navigazione, i cui archivi sono custoditi dalla Fondazione Ansaldo di Genova. Tuttavia, la Fondazione ha indicato che tali archivi non includono documenti specificamente legati al transatlantico Verdi.
La dittatura supervisionò la deindustrializzazione del Cile, con il doppio risultato di cancellare le roccaforti della militanza operaia e assicurare la funzionalità dell’economia del paese al “mercato globale” e alla sua fame di minerali e monoculture. A Ventanas, il golpe ha ritardato il miglioramento tecnologico del complesso cuprifero di quasi vent’anni. Infatti, il sistema di cattura delle emissioni iniziò a funzionare solo negli anni ‘90, dopo il ritorno della democrazia.
Humberto Arenas, ex dipendente di ENAMI e prigioniero politico, ha commentato:
C’era un piano del governo [della Unidad Popular] e di ENAMI: un investimento per catturare le emissioni e trasformarle in acido solforico. Ma tutto è stato stroncato dal golpe. Dopo il golpe, tutto quello che è successo a Ventanas è stato catastrofico perché nessuno si è preoccupato della salute degli operai e dell’inquinamento ambientale.
Le fabbriche operarono così senza un sistema di cattura di emissioni per decenni. Per la fine degli anni ‘80, il degrado ambientale dei territori circostanti, causato da zolfo e altri metalli come arsenico, rame, piombo, mercurio e cadmio, avevano raggiunto livelli estremi. Questa contaminazione persiste ancora oggi, con tutti i rischi per la salute che ne derivano. Negli anni ‘90, ENAMI Ventanas ha lanciato un upgrade tecnologico che ha ridotto significativamente le emissioni inquinanti. Tuttavia, la performance ambientale della fabbrica è rimasta al di sotto dei migliori standard internazionali e nel 2022 il governo ha deciso la chiusura della fonderia.
La politica della transizione energetica
Chiedersi come sarebbero oggi l’America Latina e il mondo se non ci fossero stati i colpi di stato è, purtroppo, farsi una domanda senza risposta. Nel nostro caso, nulla garantisce che l’industrializzazione del rame promossa dal governo Allende sarebbe stata economicamente efficace o ecologicamente positiva, per esempio generando tecnologie meno impattanti o rilassando la pressione a estrarre minerali a rotta di collo. È però chiaro che la riforma di ENAMI Ventanas messa in cantiere all’inizio del 1973 sarebbe stata un passo significativo nella direzione giusta, evitando così due decenni d’inquinamento sfrenato.
Oggi, il Cile resta il principale estrattore di rame ma il processamento industriale del “metallo della transizione” è situato perlopiù in Cina. Tuttavia, i prodotti finali contenenti rame sono prodotti da operai asiatici low-cost per essere in gran parte esportati al Nord Globale. Quest’ultimo resta dunque il principale beneficiario dell’attuale divisione internazionale del lavoro.
Gli attuali tentativi di transizione energetica aumenteranno drasticamente la domanda per i “minerali critici”, rame incluso. È però improbabile che tale transizione sarà ecologicamente efficace senza una trasformazione delle relazioni sociali che plasmano l’innovazione tecnologica. In questo senso, è necessario creare lo spazio politico per una divisione internazionale del lavoro più bilanciata, come passo verso la demercificazione del lavoro e della natura. In caso contrario, la transizione energetica non farà altro che perpetuare un sistema di profonde disuguaglianze sociali e ambientali, storicamente mantenuto con alti livelli di violenza, gravi violazioni della dignità umana e impatti ecologici che nulla hanno di sostenibile.
* Questo contributo è stato realizzato con l’appoggio della borsa di ricerca ECF-2020-004 della Leverhulme Trust.
** Traduzione di Miriam Viscusi, grafica di Fabrizio Urettini