Il sindacato United Auto Workers (UAW) sta rinnovando il contratto di lavoro dei 146.000 operai delle 3 grandi imprese statunitensi dell’auto. Le cosiddette Big 3: Ford, General Motors (GM) e Chrysler (ora incorporata in Stellantis; di cui Exor, della famiglia Agnelli, è maggior azionista).
Imprese che, reduci dalla crisi finanziaria del 2007 (crisi di cui i lavoratori avevano dovuto farsi carico, perdendo alcune conquiste e concedendo assunzioni a condizioni minori che hanno creato operai “di serie b”), appena ritornate agli utili (250 miliardi di dollari di profitti accumulati dal 2013), li hanno indirizzati al riacquisto di proprie azioni e all’immensa remunerazione dei propri dirigenti (i 3 amministratori delegati guadagnano all’anno da 21 a 25 milioni di dollari cadauno).
Gli scioperi per il contratto sono effettuati da UAW con una modalità “nuova”, lo Stand-Up Strike, adottato per primi nel 1993 dagli assistenti di volo di Alaska Airlines, col mettere in sciopero volta a volta voli casuali. L’imprevedibilità aveva costretto allora la compagnia aerea a inviare crumiri (come consentito dalle leggi USA nel caso di rinnovo del contratto) su tutti i voli in partenza. Mentre il Sindacato poteva mettere in sciopero solo una parte degli iscritti, quelli considerati più “strategici” e impegnare quindi risorse minori per gli scioperanti (che negli USA sono pagati con un’ “importo di sopravvivenza” dal Sindacato).
Lo stesso sistema di sciopero è applicato oggi da UAW, in modo progressivo e diversificato nelle 3 aziende in relazione all’andamento delle trattative (che sono separate ma contemporanee, cosa nel passato mai avvenuta).
Prevedendo una vertenza non breve, UAW ha messo in campo anche modalità di pubblicizzazione della trattativa inusuali, tra cui i resoconti settimanali on line del confronto con le aziende e continue pubblicazioni di notizie su Facebook, X e Instagram. Le dirette video settimanali del presidente UAW, Shawn Fain, su Facebook, con più di 60.000 spettatori, sono tra gli eventi più seguiti negli USA. Lui indossa spesso una maglietta con su scritto EAT THE RICH (Mangia i ricchi). Nei suoi discorsi è valorizzato l’interesse generale della vertenza, e se ne preannuncia la ricaduta in positivo sulle aziende auto non sindacalizzate, sui futuri stabilimenti di veicoli elettrici (EV) e sull’intera classe lavoratrice USA.
Le comunità locali, impoverite dalla chiusura degli stabilimenti (65 sono gli stabilimenti auto in meno nell’ultimo ventennio), forniscono sostegno ai picchetti: nei filmati si sentono i clacson delle auto in transito che appoggiano la lotta.
La competizione, che prima le aziende facevano pagare ai lavoratori, viene ora riversata su di esse: la trattativa contemporanea, in vista dei 3 contratti che rimarranno separati, sfida ognuna delle 3 a “comportarsi meglio”, aprendosi via via alle richieste di piattaforma. Inoltre i management aziendali sono in difficoltà a capire dove inizieranno ulteriori scioperi e impiegano tempo e soldi nello spostare inutilmente pezzi di ricambio da uno stabilimento all’altro onde cercare di anticiparne la mancanza per la chiusura improvvisa di impianti a monte della lavorazione.
Gli scioperi erano iniziati il 15 settembre da 12.700 operai in uno stabilimento per impresa. E incrementati il venerdì successivo, in 20 Stati della Federazione, dai 5.600 lavoratori di tutti i 38 centri di distribuzione dei ricambi di Stellantis e GM. Ma non di Ford, in relazione ai progressi compiuti in quel momento da questa impresa nelle trattative. Altro venerdì e altri scioperanti aggiunti: i 7.500 lavoratori Ford di Chicago e GM di Lansing (Michigan). Il successivo venerdì nessun’altra proclamazione ma mercoledì 11 ottobre l’aggiunta allo sciopero di un impianto Ford che produce SUV nel Kentucky. E il 24 ottobre lo stabilimento più grande di Stellantis, a Sterlings Heights (Michigan) con 6.800 lavoratori e quello di GM a Arlington in Texas con 5.000. Con questi ultimi due, al 24 ottobre sono in sciopero permanente 45.500 operai di 8 grandi stabilimenti di assemblaggio e 38 magazzini, sui 146.000 operai coinvolti nel rinnovo del contratto.
Migliaia di lavoratori sono stati nel frattempo mandati a casa dalle imprese per mancanza di pezzi di ricambio prodotti a monte. Mentre negli stabilimenti non (ancora?) coinvolti nello sciopero sono praticati sia il rifiuto dello straordinario volontario che il work-to-rule (l’attenersi strettamente alla propria mansione).
L’aumento salariale richiesto era del 40%, condiviso dal presidente degli USA, Biden, nel suo comizio davanti ai cancelli di una fabbrica di Detroit in sciopero e motivato da UAW dalla perdita di potere d’acquisto rispetto all’inflazione ante-contratto e attuale (dal 2008 i salari reali degli operai sono diminuiti del 19%). L’incremento del 40% è lo stesso incamerato dal 2013 dai massimi dirigenti delle Big 3.
Il 24 ottobre è stato firmato un primo accordo per il rinnovo del contratto di lavoro. Quello quadriennale tra Ford e UAW. L’intesa prevede, secondo il comunicato di UAW, un aumento del salario base del 25% (di cui l’11% il primo anno). La paga oraria aumenterà, la massima del 30% (arrivando ad oltre 40 dollari), la minima del 68% (giungendo a 28). E’ ripristinato l’adeguamento dei salari all’aumento del costo della vita (la cosiddetta COLA), la progressione salariale di tre anni, l’eliminazione del doppio livello (assai minore per salario per i neo assunti), pare solo per alcune mansioni.
Non è noto se nell’intesa sono previste riduzioni di orario (UAW aveva richiesto le 32 ore settimanali pagate 40) e garanzie occupazionali nella prossima transizione ai veicoli elettrici che porterà all’apertura di nuovi stabilimenti. Transizione finanziata dall’amministrazione Biden con prestiti alle imprese e finanziamenti alla clientela ma dimenticando i diritti dei lavoratori. Le Big 3, in nuove aziende spesso in compartecipazione con imprese straniere, intenderebbero infatti impiegare operai, non è dato sapere se in numero almeno eguale agli attuali occupati nella costruzione delle auto a combustione interna, con contratti minori per condizioni rispetto a quello, in corso di rinnovo, degli operai degli stabilimenti che producono oggi veicoli a benzina.
Su questo argomento, è stata ottenuta una prima vittoria (che non pare però sia stata assunta nel contratto firmato con Ford). Il 6 ottobre UAW aveva infatti annunciato che i 6.000 posti di lavoro in quattro impianti di batterie elettriche della GM (uno già in funzione, gli altri da costruire) avranno il contratto in corso di stipulazione.
Le imprese di proprietà statunitense sono in ritardo nell’adeguarsi alla produzione di veicoli elettrici: anche Stellantis e Ford devono ancora costruire stabilimenti ad hoc (2 la prima, 3 la seconda). Per cui le fabbriche di auto elettriche negli USA sono oggi la Tesla dell’antisindacale Musk (che potrebbe essere uno dei prossimi obiettivi di sindacalizzazione di UAW) e altre di imprese asiatiche (anche la vietnamita VinFast sta costruendo una fabbrica negli USA), le quali hanno fatto aumentare l’occupazione nell’industria automobilistica statunitense di circa il 30% dall’inizio degli anni ’80, impiegando oggi 1,3 milioni di lavoratori.
Gli iscritti UAW nel settore auto si sono però ridotti, nello stesso periodo, da oltre mezzo milione a 160.000, a causa della chiusura di molti stabilimenti sindacalizzati, trasferiti nel Sud degli USA (in Stati governati dal Partito Repubblicano con leggi che ostacolano la presenza sindacale) e delle esternalizzazioni di un numero sempre maggiore di lavori a imprese non sindacalizzate.
Manifestazioni a sostegno della vertenza dei metalmeccanici delle Big 3 si sono svolte in alcune città. Il 7 ottobre a Chicago, alla presenza del sindaco Brandon Johnson, eletto da una coalizione che comprendeva Sindacati e associazioni del sociale. E il 10 ottobre, in un campo di baseball di Detroit non lontano dagli stabilimenti Stellantis. Un raduno dedicato, con lo slogan “End tiers. No more second class workers” (No doppi livelli contrattuali. No ai più lavoratori di seconda classe”), alla lotta contro il doppio livello retributivo e ai diritti dei lavoratori temporanei part-time, che svolgono in fabbrica i lavori più duri a retribuzioni così basse per vivere in una grande città che qualcuno ha riferito in un’intervista di lavorare nello stabilimento metalmeccanico per 10 ore al giorno e poi fare un turno in Amazon per altre 5 ore.
Prima dello sciopero, il fondo di UAW ammontava a 825 milioni di dollari. Gli iscritti che fanno sciopero, o sono stati allontananti dai reparti a causa dei blocchi a monte, ricevono dal sindacato 500 dollari a settimana come indennità. Nel 1946 lo sciopero in GM durò 113 giorni. Ancora in GM nel 2019 finì dopo 40 giorni. Che ora sono stati raggiunti in questo rinnovo anche da Ford, con cui è avvenuto il primo accordo, mentre continuano gli scioperi in General Motors e Stellantis.