Il detto che “il denaro non dà la felicità” si cita a volte per cercare di dare una qualche speranza a chi pensa ancora che il denaro non sia la pietra angolare di ogni aspetto della nostra esistenza. La realtà è un’altra e cioè che ormai il denaro è il fine di tutto e, anche se non dà la felicità, però rimane al primo posto delle preoccupazioni e impegni. Un recente studio fatto dall’università Autonoma di Barcellona
ha sfatato questa prassi riportando il detto alla sua verità. Si è appurato che le persone più felici del pianeta sono quelle che hanno entrate modeste ma che vivono in forti contesti comunitari e a contatto con la natura e spesso sono le “arretrate” popolazioni indigene. E così anche le scienze accademiche, i sacri palazzi del sapere ci danno ragione; ma in fondo non ci volevano studi e ricerche per scoprire
l’ovvio che noi affermiamo da tempo.
Basta guardare la nostra società per rendersene conto. Siamo strapieni di cose che le persone comprano costantemente, circondati da merci di ogni tipo, dove regna l’opulenza e dove lo spreco è la prassi. Siamo nel paese dei balocchi eppure non si è mai assistito a un periodo in cui le persone fossero così senza speranza, depresse, insicure, impaurite dal futuro a tinte sempre più scure.
La comunità è un lontano ricordo, sostituito da protesi artificiali chiamate telefoni cellulari che fanno comunicare con tutto il pianeta per poi rimanere spesso drammaticamente soli. La natura è sempre più assente soprattutto dalle città e dalla mente delle persone. Quei pochi alberi che resistono vengono abbattuti per fare posto al progresso del 5G e altre assurdità simili, che oltre a essere una potenziale minaccia per la salute, velocizzeranno e aumenteranno ancora di più, se possibile, l’isolamento umano e il suo conseguente avvilimento.
Tutto realizzato per raggiungere il guadagno, la performance, migliorare la prestazione. Ma come potrebbe darci la felicità un elemento come il denaro per il quale facciamo una vita frenetica, corriamo tutto il giorno, ci ammazziamo di lavoro, siamo sempre indaffarati e preoccupati che non ci basti mai. Non basta nemmeno ai benestanti delle società ricche, men che meno a chi ne ha tantissimo e che più ne ha e più ne spende, più ne spende e più ne deve avere. Se ha l’appartamento di lusso, vuole il Suv, se ha il Suv, vuole la macchina sportiva, se ha la macchina sportiva, vuole la villa al mare, in montagna, il viaggio ai tropici, vestiti costosissimi e così via in una rincorsa infinita ad inseguire una impossibile felicità data da qualcosa che per propria natura non può darla.
Chi ha capito che la felicità si basa su ben altri parametri rispetto ai soldi, ora viene chiamato “povero” (che non vuol dire misero), però è felice, perché non gli manca nulla della vera ricchezza, cioè una vita dignitosa, una comunità vicina e presente quindi le relazioni, la natura quindi la bellezza, la semplicità, pochi pensieri su aspetti inutili per avere felicità e tanti pensieri utili che la possono dare. Avere del tempo per vivere quindi per arricchirsi di bellezza interiore, cosa che l’uomo denaro non conosce più da tempo. E così il superiperfanta tecnologico homo stupidus viene ridicolizzato da gente indigena che lo guarda come si può guardare uno strano essere che rincorrendo i soldi vive male e distrugge pure il mondo in cui vive; come farà mai ad essere felice un soggetto simile?
Quando si decantano tutti i fantastici progressi e i balocchi che la società del denaro ci mette a disposizione, ci si chieda se per davvero ci fanno felici, se forse non ci siano altri occhi con cui vedere la realtà, magari proprio immedesimandosi con quei “poveri” di cose e straricchi di essere.