Domenica 28 gennaio 2024 a Sherbooks Festival, si è tenuta la presentazione di L’ascaro (Tamu Edizioni, 2023), primo romanzo del teologo eritreo Ghebreyesus Hailu. Questo evento ha avuto luogo con un insolito tempismo: se normalmente tra pubblicazione e presentazione di un titolo passano poche settimane, o al più mesi, in questo caso tra la prima edizione e la presentazione dell’opera nella sua traduzione dal tigrino all’italiano sono trascorsi ben 73 anni, di cui 30 dalla morte del suo autore.
Sono intervenute Alessandra Ferrini, curatrice della pubblicazione e traduzione in italiano, e Mackda Ghebremariam Tesfaù, PhD in scienze sociali, moderate da Ilaria Serino di Open Your Borders.
In una prima introduzione volta a illustrare il contesto storico e sociale in cui è stata scritta l’opera, stesa per la prima volta nel 1927 nel periodo di occupazione italiana dell’Africa Orientale, si è sottolineato come per l’opinione pubblica italiana fosse più accettabile che le truppe coloniali fossero composte da soldati africani, oltre che più vantaggioso a livello economico. La popolazione maschile africana altro non fece che cogliere una delle due sole opportunità di mobilità sociale, essendo l’altra l’accesso alla carriera ecclesiastica, come fu per Hailu.
Ferrini ha esposto l’inconsueta genesi di questa pubblicazione, nata da un progetto artistico datato 2022 e situato a Bolzano, sottolineando l’analogia tra l’italianizzazione forzata del territorio bolzanino e di quello africano orientale, e grazie alla collaborazione con la casa editrice indipendente Tamu. Nell’inquadrare le motivazioni che nel romanzo spingono il protagonista ad arruolarsi, Ferrini ha evidenziato la fondamentale assenza di alternative ma anche una valenza di mascolinità che legava i giovani alla carriera militare. Anche Tesfaù rimarca quest’ultimo aspetto, legandolo al rovesciamento del paradigma sociale locale come fenomeno tipico del colonialismo.
Ottima parte della presentazione si è soffermata sul forte portato politico della lettura di quest’opera, quasi centenaria, al giorno d’oggi. L’Italia, come ribadito da Mackda Ghebremariam Tesfaù, ha per lungo tempo nascosto il suo passato coloniale. Durante questo periodo storico sono nate delle figure della razza precise legate alla colonizzazione dei corpi, come quella del servitore, dell’addomesticato o dell’ascaro. Il corpo dell’uomo nero è stato per lungo tempo rappresentato come minaccioso, e tutt’ora la nerezza è profondamente criminalizzata. Il portato politico di questa lettura risiede nel legame tra passato e presente e il flusso postcoloniale di persone dal Sud globale. L’Italia ha fatto un’impresa coloniale, ha prodotto un’identità nazionale in opposizione a quella coloniale etiope, senza poi contribuire in nessun modo a un processo di riparazione.
Un’ultima riflessione si è indirizzata su come il colonizzatore italiano abbia realizzato la colonizzazione basandosi anche sui ruoli di genere nella società colonizzata. Quello dell’ascaro è un esempio di razzializzazione di genere maschile, mentre quello femminile è stato principalmente soggetto alla schiavizzazione sessuale del madamato. La costante in questi rapporti è la dialettica servo-padrone, che l’Italia ha prima imposto e poi dimenticato ancor prima di fare uno sforzo di memoria.