Giochi di dolore: un viaggio nella sessualità dissidente

Federica Zenobio del Collettivo sQUEERt, introduce il tema del BDSM (il cui acronimo sta per Bondage, Disciplina, Dominazione e Sottomissione, Sadismo e Masochismo). Può sembrare una cosa lontana, nuova, radicalmente diversa a quella che è l’immaginario di sessualità, ma, come scrive Virginia Niri nel libro Giochi di dolore, edito da effequ, il BDSM aiuta a comprendere l’esistenza di una potenzialità altra, di un movimento dinamico e vivo in cui l’erotica trova e crea una spazialità umana e libera. Attraverso il consenso, si costruisce un potere diverso, in cui i rapporti di forza si traducono in fiducia e rispetto senza nessun tipo di aspettativa, solo un affidamento della propria volontà verso l’altra persona, verso uno spazio sicuro, verso una potenza trasformativa della realtà e di noi stessi.

Virginia Niri continua spiegando come il sadomasochismo abbia la capacità di destrutturare i rapporti di potere manifestandoli. Giocare con il potere, sia da dominante che da sottomessa, è un movimento intrinsecamente queer, proprio per la sua potenza destrutturante. Alla fine della scena, il potere è stato dominato e smascherato, e ci permette di farci i conti nella vita quotidiana. In questo scambio di potere, il dolore (l’autrice ci tiene a precisare che ci sono alcune relazioni kinky che non prevedono dolore) ne è il simbolo. L’evitamento del dolore è uno dei primi insegnamenti che, in modo anche estremamente naturale, riceviamo. L’idea di riappropriarsene, soprattutto nel momento in cui è relazionale quindi destruttura le stesse basi su cui la nostra relazione umana è costruita.

Si parla poi di umiliazione, uno dei temi del libro, la parte “vergognosa di noi”; vergognosa perché segno di impotenza e dipendenza e non di prevaricazione e forza come invece vuole il modello capitalista. Tuttavia, ne sfrutta la “componente” edonica ad esempio nei reality show come il Grande Fratello attraverso tutti gli spettatori che li guardano, perché intrattiene.

“La differenza tra il BDSM e la società dello spettacolo per quanto riguarda l’umiliazione, è sicuramente il consenso e la reciprocità, e il riappropriarsi di una dinamica relazionale che invece nello spettacolo non esiste, in quanto non richiede la partecipazione. Lo spettatore può godere dell’umiliazione proprio perché è parte esterna. Il BDSM permette di agire la potenzialità dell’umiliazione in un ambiente controllato, e quindi permette di agire il fallimento nella sua essenza queer, rendendolo più accessibile e umana”.

Un altro tema centrale nel libro che emerge dal dibattito è quello della cura. L’autrice scrive infatti in Giochi di dolore che il BDSM può essere autoterapeutico. Attraverso dei canali diversi da quelli della parola, che è il modo in cui nella società occidentale siamo abituati a rielaborare i traumi, e che la società bandisce e rende inesplorabili, è possibile indagare difficoltà proprio attraverso l’esplorazione.

Le scene di BDSM (si chiamano tecnicamente così) inoltre prevedono una chiusura, dopo la quale c’è un momento di aftercare, in cui le parti dominanti si mettono a disposizione per le parti sottomesse. Non è solo un momento fondamentale di cura ma è anche il momento in cui si ricostruisce il sé che è stato destrutturato durante la scena. In quel momento si attua la potenzialità terapeutica, perché se non ci fosse questo momento di chiusura, la scena sarebbe emotivamente molto faticosa, e anche pericolosa.

Si è parlato poi di commercializzazione della pratica sadomasochista. Questo fenomeno si può vedere Shibari in cui l’arte della legatura viene cristallizzata togliendone il portato politico, anche attraverso un immaginario simbolico. Infatti, gran parte delle volte in cui assistiamo a un evento/pratica Shibari la persona legata è costituita da una donna. Se quindi non si viene resi partecipi della riflessione teorica delle pratiche sadomasochiste e ci si limita all’aspetto meramente istantaneo il rischio della riproduzione di costrutti sociali di genere in cui la donna è sottomessa c’è, è enorme, ma è il rischio intrinseco della società capitalista. Il capitalismo si è certamente appropriato del sadomasochismo, anche perché il significato politico del BDSM non era fin da subito chiaro anche ai praticanti stessi, in una mossa per rendere bello e commerciabile tutto quanto e soprattutto in un processo di normalizzazione delle dissidenze. Bisogna però tenere conto di tutta la parte culturale e relazionale, di cui il capitalismo non si occupa, appropriandosi unicamente del mero lato estetico.

Il sadomasochismo, continua Virginia Niri, mette in evidenza anche altri aspetti della società, come il fatto che la figura della vittima, quindi la persona sottomessa nella scena BDSM, non piaccia ma sia alla fine socialmente accettata, mentre quella del carnefice viene rappresentato come corpo estraneo alla società, come mina vagante e quindi non come prodotto sociale. Il BDSM ci aiuta a scoprire invece che la violenza è intrinseca alla società capitalista e patriarcale, che promulga una serie di messaggi educativi volti alla violenza che ognuno di noi introietta, e che la scena BDSM può far emergere in maniera decostruente e controllata. Questo porta ad un parallelismo con quelle che venivano chiamate un tempo “istituzioni totali”, luoghi come scuole, ospedali, posti di lavoro, in cui ancora ora il potere e la violenza vengono agiti senza essere problematizzati.

Si conclude con un paragone tra il BDSM e il teatro, che hanno molto in comune. Nella scena BDSM, poi, si crea uno spazio di utopia: come nel teatro, l’assunto è “tutto è vero tutto è falso”. Ciò che succede durante la scena è circoscritto a quel momento, ma, come per quanto riguarda il teatro, esiste in potenza anche altrove.

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