Tunisia – Prolungati gli arresti per chi denuncia il regime di Kaïs Saïed

Una collaboratrice di Melting Pot si trova da più di un mese in Tunisia. Con questo nuovo articolo, prosegue il suo racconto rispetto la situazione del Paese dove continua l’ondata repressiva nei confronti dei/delle difensori/e dei diritti umani, giornalisti/e e avvocati/e.

Tunisi – La giustizia tunisina prolunga gli arresti che hanno raggiunto nelle settimane scorse diverse personalità incolpate di essere attive nel supporto alle persone migranti, subsahariane e sudanesi presenti nel Paese. Restano infatti in carcere fino a data indefinita Saadia Mosbah, presidente dell’associazione Mnemty, e Sherifa Riahi, ex direttrice dell’associazione Terre D’Asile; stessa sorte anche per il direttore e vicedirettore del Consiglio tunisino per i rifugiati (CTR).

La macchina repressiva ha iniziato a colpire personalità critiche verso il regime di Kaïs Saïed come giornaliste/i e avvocate/i. Oltre a Sonia Dahmani, avvocata brutalmente arrestata durante una diretta di France24, il giorno dopo è toccato al giornalista Mourad Zeghidi (per un post su facebook di solidarietà al collega Mohamed Boughalleb arrestato a marzo) e al presentatore tv Borhen Bsaies. Il 13 maggio è stata la volta del giornalista Mehdi Zagrouba per aver partecipato al sit-it al tribunale per il processo a carico di Sonia Dahmani. È del 18 maggio, la notizia dell’arresto dell’attivista Houssem Hajloui per un post su facebook condiviso tempo fa. Mentre le epurazioni proseguono, si contano persone indagate che subiscono quotidiane intimidazioni, in particolare perquisizioni o interrogatori, come nel caso degli interrogatori agli amministratori delegati delle emittenti radiofoniche DiwanFM e IFM. Anche l’attivista Ghofrane Binous è stata chiamata a interrogatorio per gli stessi motivi e altre persone sono state arrestate per aver ospitato nelle proprie abitazioni persone migranti. 

Se da un lato i media organici al regime non fanno altro che pubblicizzare la riuscita di operazioni di intercettazione in mare e deportazioni transfrontaliere di persone non tunisine, aumenta invece nel 2024 – come riportato dal National Migration Observatory che cita fonti del Ministero dell’interno italiano[1]– il numero di persone tunisine che lasciano il Paese: si tratta del 14% del totale di coloro che raggiungono clandestinamente l’Italia. 

2024 anno di nuove elezioni?

Il 19 maggio, si è tenuta a Tunisi una manifestazione a sostegno del rais per la sua lotta contro la corruzione, le ingerenze straniere e la sovranità nazionale. Nel paese dove si dovrebbero tenere quanto prima le nuove elezioni presidenziali il tema della corruzione connesso a quello dei finanziamenti, specie se esteri, diviene particolarmente delicato. Per quanto gli organi deputati al controllo in materia dei finanziamenti ai partiti promettono al presidente e alla società particolare rigore, per quello che riguarda invece un uso non strumentale della giustizia in questo senso è difficile immaginare una procedura elettorale equa. La Tunisia resta infatti un paese senza una Corte costituzionale che possa fare da contrappeso allo strapotere del presidente, il quale anzi con il decreto 117 del 2021 ha molta più libertà di gestione delle Corti di giustizia[2].

Najla Abrogoui membro del consiglio dell’Alta autorità elettorale indipendente (ISIE) afferma che i termini per le nuove elezioni presidenziali non dovrebbero superare il 23 ottobre 2024, ma di fatto l’annuncio della chiamata al voto resta anch’essa una prerogativa presidenziale[3]

Non cessano le iniziative di solidarietà

Da parte della società civile tunisina, che non accetta di essere complice o restare passiva verso l’involuzione autoritaria che sta attraversando il paese, si stanno sollevando diverse voci critiche. Sono soprattutto avvocate/i e giornaliste/i che denunciano apertamente le torture e le intimidazioni subite dalle categorie. 

Il 18 maggio l’UGTT, la storica Unione sindacale tunisina, assieme ad altri 10 gruppi di difesa dei diritti umani hanno marciato lungo le vie della capitale, per opporsi al regime che dal 2021 governa attraverso decreti presidenziali volti alla cancellazione delle libertà civili e politiche. Invece per la giornata del 20 era stata indetta una manifestazione che doveva muoversi in corteo dal teatro centrale fino alla sede del Ministero degli interni, ma è stata annullata poco prima dell’avvio per ragioni apparentemente ignote: ebbene, le quasi cento camionette della polizia schierate nei paraggi ci sono apparse una ragione abbastanza eloquente.


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