Inevitabile quanto impossibile

di Giorgio Bona

Vladimiro Bottone, Il peso del sangue, pp. 332, € 19, Solferino, Milano 2024.

Il titolo del romanzo di Vladimiro Bottone non è meramente a effetto: il senso profondo della vita – che a volte occorre indagare non per interesse filosofico astratto ma per capire meglio la natura concreta degli esseri umani, e del mondo attorno – si raggiunge facendosi male, con ferite profonde, andando fino al sangue. E pesandolo per bilanciare sentimenti e contraddizioni: col risultato che a volte, quasi inaspettatamente, la Storia finisce col non avere la meglio sulle vicende individuali.

Siamo a Torino nel 1944. Una città in guerra in un tempo di poco successivo all’8 settembre 1943. anche se la fine del conflitto è vicina. Le bombe degli alleati piovono dal cielo, ma fascisti e nazisti resistono alla difesa del fortino che sta per crollare. Myriam Pescarolo è una ragazza bella, colta, istruita e si trova in pericolo perché ebrea. Mentre tra le sue pareti domestiche irrompono i nazisti portando via la famiglia, il padre la fa passare per la ragazza di servizio e riesce a farla allontanare in incognito mentre i suoi saranno deportati. Rimasta sola, senza alcun riferimento, circondata da spie, delatori, profittatori, con pochi soldi in tasca per darsi alla fuga e che non dureranno a lungo.

Il Commissario Troise, napoletano appena trasferito a Torino con il compito di attivare la rete di informatori, vive in una casa appena confiscata a una famiglia ebrea. Troise è un agente speciale dell’Ovra che agisce con ampi poteri e ha carta bianca sulle sue decisioni, usa gli informatori trattandoli male perché dei delatori è il primo ad avere una scarsa stima.

Il Commissario non si è nemmeno scoperto la testa, entrando in casa d’altri. Così i tirapiedi al seguito: quest’invasione di facce grame, il trapestio delle loro scarpe porta con sé lo sporco della strada, il luridume della vita. Il Commissario è di proposito sgarbato. Ha fatto radunare i Pescarolo nell’ingresso del loro appartamento per notificare il provvedimento di arresto. Palesemente li considera peggio delle sanguisughe, alla stregua dei malfattori; in ogni caso la circolare Buffarini-Guidi equipara gli ebrei a una “nazionalità nemica”.

 

Un incipit che ti tira subito dentro la storia senza concedersi di divagare eccessivamente, disegnando uno scenario vivido, attraversato da lampi di emozioni fortissime. Queste pagine ci immergono nel bel mezzo della guerra civile. Nel frattempo Carlo, un giovane storico dell’arte che fa da informatore a Troise, comincia a capire che i figli del suo professore, Emanuela e Manfredi, sono coinvolti nella resistenza. Carlo ha perso la testa per Emanuela e non sopporta Manfredi e per questo si attiva per darlo con i suoi amici in pasto a Troise. Tra le pieghe di una Torino angosciata ecco che la vita di Myriam Pescarolo si incrocia con quella di Troise: sarà lui a salvarla dalla polizia e a condurla nel proprio appartamento facendola passare per sua sorella. Da quel momento tra i due scatterà una scintilla e nascerà un amore inevitabile quanto impossibile. Ma i due protagonisti sono due nemici, e il rapporto ha premesse molto difficili trovandosi contro la Storia: i due personaggi – ben delineati – sono assolutamente antitetici, e nel loro squilibrio l’anello debole è Myriam. È possibile amare un nemico della propria gente?

Un fatto realmente accaduto trova spazio in queste pagine a proposito di un ebreo che vendeva la propria gente: Myriam è fermamente convinta che quell’uomo spregevole vada immediatamente neutralizzato. Supera le pastoie del sentimento che la lega a Troise e aderisce così alla resistenza torinese, dopo aver stretto amicizia con Emanuela che scoprirà la sua vera identità.

Questo di Vladimiro Bottone è indubbiamente un romanzo storico perché ha molto a che vedere con la storia vera. Ecco spuntare per esempio il nome di Guido Leto (1895-1956), il capo dell’OVRA dal 1938 al 1945, che aderì subito al fascismo e iniziò a lavorare dal 1926 al fianco del capo della polizia Francesco Crispo Moncada (1867-1952), un fascista ben noto agli studiosi del ventennio e che avrà un ruolo importante anche in seguito. D’altra parte Il peso del sangue porta con sé ingredienti di altri generi narrativi, in particolare il noir – per le atmosfere e la vicenda nel dedalo di una città terrorizzata dalle imboscate, dalle soffiate, dalle delazioni. E insieme, tra rabbia e sopraffazioni, mette a nudo i sentimenti in maniera potente e spietata: e alla fine è l’amore, un amore che andrà controcorrente, a far superare tutte le paure.

Condividi questo contenuto...

Lascia un commento