ALLA RICERCA DELLO SPIRITO DEL TEMPO: UN’INCHIESTA SUL LAVORO NELL’ITALIA DI OGGI (PARTE II)

Di Marika Martina, Luca V., Federico Degg, Konrad Nobile e Adam Bark per ComeDonChisciotte.org

Nella seconda parte della nostra inchiesta “Alla ricerca dello spirito del tempo”, ritorniamo con le nostre interviste, ora però rivolte a persone che hanno già dato o che lavorano da anni.

Siccome è bene localizzare le risposte che abbiamo raccolto (come giustamente segnalatoci da un nostro lettore), specifichiamo che queste testimonianze, come le precedenti riportate nella prima parte del nostro lavoro, sono state tutte raccolte nel Nord-Est della penisola.

Anche in questo caso il nostro è veramente un piccolo campione di società, ma è un campione di cuore, un campione che si auto-interroga sulla realtà, che si guarda intorno e che soprattutto si è mansuetamente e gentilmente sottoposto alla nostra curiosità. Non vi resta che leggere il seguito tenendo sempre a mente che alle domande potete rispondere anche voi, trovando magari nei nostri intervistati uno specchio in cui riconoscervi, oppure una persona dalle diverse vedute con la quale divergere.

Qui presentiamo i nostri intervistati direttamente con le loro parole.

C’è Marzio, pompiere in pensione di 57 anni che dopo l’esperienza obbligatoria del servizio militare ha colto l’opportunità di fare il vigile del fuoco: “Sono passato dalla passione meccanica per i motori, le moto, le automobili ed i camion alla forzata esperienza – obbligatoria all’epoca – del servizio militare. Esperienza che però mi ha offerto un’opportunità che ho deciso di cogliere facendo il pompiere”;

Egle, signora di 82 anni che, dopo aver lavorato per anni come parrucchiera, ha gestito con il marito ed i cognati una pizzeria: “I miei genitori, pur in anni di miseria (anni ’50), avrebbero dato il mondo per farmi studiare, tuttavia nonostante questo furono molto comprensivi e mi lasciarono seguire la mia passione e mi sostennero nello scegliere il mestiere che volevo fare, quello della parrucchiera. E così a 16 anni iniziai… poi conobbi l’uomo che sarebbe diventato mio marito, che gestiva un bar-pizzeria, e la vita ha voluto che io finissi a lavorare con lui, nella pizzeria di famiglia.”.

Poi abbiamo Lisa, 80 anni, che sposò il fratello del marito di Egle e che lavorò con loro in pizzeria; Alessandra, donna di 55 anni che lavora con la sorella nel bar comprato e gestito per tutta la vita dai genitori: “Bisogna considerare che attualmente siamo io e mia sorella, quindi ormai un rapporto rodato, ma negli anni si sono succedute diverse dipendenti e ci siamo sempre trovate bene. Diciamo che diventavano parte della famiglia”; infine abbiamo Andrea di 32 anni, proprietario di una piccola impresa: “Adesso faccio il giardiniere e ho una ditta mia da due anni: ho aperto la partita IVA durante il periodo Covid, quando di fatto non si poteva lavorare, e dunque mi sono licenziato dalla mia precedente posizione di dipendente per cominciare la mia attività”.

Abbiamo interrogato i nostri intervistati cominciando con il chiedere loro qual è stato il percorso che li ha portati sul posto di lavoro in cui sono stati per la maggiore o in cui stanno ancora, come nel caso di Alessadra e Andrea. Costante comune è il provvedere alle necessità della vita. Certo, ci sono i sogni e i tentativi ma in genere i nostri protagonisti ci hanno raccontato di percorsi di vita che li hanno portati su una strada non per forza preventivata e forse è qualcosa che dovremmo riscoprire: sognare sì, ma non vivere solo per i sogni.

Marzio (ex pompiere) ha svolto svariati lavori nella vita cominciando negli anni Ottanta senza molte opportunità: “Sono passato dalla passione meccanica per i motori, le moto, le automobili ed i camion alla forzata esperienza – obbligatoria all’epoca- del servizio militare” per poi cogliere la possibilità di fare il pompiere; Egle, invece, ci ha raccontato nei dettagli della sua passione per i capelli, che l’ha accompagnata fin da piccola e che scelse di seguire a discapito degli studi superiori, in cui proprio non trovava uno stimolo “[i miei genitori] furono molto comprensivi e mi lasciarono seguire la mia passione e mi sostennero nello scegliere il mestiere che volevo fare, quello della parrucchiera”. Così, a 16 anni iniziò a lavorare presso un parrucchiere che le insegnò moltissime cose. A 19 anni, assieme ad un’altra signora che lanciò la proposta, riuscì ad aprire un negozio tutto suo: “Ero giovanissima, avevo 19 anni, e creare il nuovo salone da zero fu veramente un lavorone. Era una responsabilità non da poco, ma io rimasi convinta della proposta e accettai, e riuscire ad avviare quell’attività mi riempì di soddisfazione. Lavoravo tanto, facevo anche degli straordinari. Spesso anche al domicilio di persone benestanti e molto ricche”. La vita però aveva in serbo per lei altri piani e, dopo aver imparato un’arte, l’ha messa da parte a livello professionale: conobbe l’uomo della vita che sposò e con il quale andò poi a lavorare, nel suo bar-pizzeria che divenne un locale a gestione familiare, ancora oggi conosciuto e molto apprezzato nella sua città.

Lisa invece cominciò a lavorare ancor più giovane, a 14 anni, quando sua madre le disse che poteva andare ad imparare un mestiere da un sarto o andare a fare la cameriera: “Sulle prime, scelsi di andare a cucire, sperando di poter imparare il lavoro. Però non ebbi la fortuna che ebbe Egle e presto mi resi conto che là mi facevano fare solo piccoli lavori e che, geloso del suo lavoro e delle sue conoscenze, il capo non insegnava nulla a me e alle mie colleghe. Allora lasciai quel posto e andai a lavorare in un bar per 5 anni”. Dopo una pasticceria, un posto come infermiera in uno studio dentistico ed, infine, l’incontro con il futuro marito (fratello del marito di Egle) ed il conseguente approdo in pizzeria.

Quanto ci piacciono questi localini, ormai sempre più rari, dal clima così familiare, dove non vai solo per mangiare ma anche per chiacchierare, dove i camerieri non hanno il palmare ma il blocco degli appunti, dove risate e arrabbiature, vere e proprie commedie all’italiana, rendono partecipi i clienti.

A dispetto delle grandi catene, dei franchising commerciali con le loro reclute in divisa, dei cibi esotici dalla dubbia provenienza, dei camerieri dallo sguardo triste e distante, di ordinazioni online e consegne a domicilio.

Anche Alessandra, a tutt’oggi in attività, ha svolto molte professioni prima di fermarsi a lavorare con la sorella nel bar di famiglia, arrivato dopo anni di lavoro sempre in una pizzeria, aperta e gestita dai suoi genitori: “Ho iniziato a lavorare verso i 18 anni ma ho sempre dato una mano dal momento che i miei genitori avevano questo locale. Quindi, la vita familiare e lavorativa sostanzialmente coincideva: come in famiglia si chiede generalmente ai figli di fare cose come preparare tavola, riordinare.. così in pizzeria facevamo io e mia sorella”.

Dopo è diventata centralinista, poi promoter, dopo operaia in fabbrica e presso una ditta di pulizie.

Infine ecco Andrea, oggi il più giovane (32 anni) dei nostri intervistati, che ha iniziato a lavorare subito dopo la fine delle superiori, anche se non gli sono mancati lavori estivi (e non solo) da quando aveva 14 anni, come quello nel bar della madre: “Subito finita la scuola ho fatto lavori specializzati nel settore dei trasporti pesanti e delle macchine operatrici, per i quali ho dovuto conseguire le patenti di categoria superiore: camion, rimorchi, abilitazione professionale alla gru.. . In questo contesto mi sono state insegnate nozioni pratiche e teoriche che poi mi sono realmente servite”. Ora, come abbiamo visto all’inizio dell’articolo, fa il giardiniere in proprio. La sua predisposizione per i lavori manuali è indiscutibile, un po’ come per Egle, prima come dipendente, oggi come autonomo.

Ma quanto è stato ed è influente nella loro vita il valore dei soldi? E soprattutto, per chi è stata una forza propulsiva? Se Egle e Lisa ci dicono di non potersi lamentare delle pensioni che soddisfano le loro esigenze, chi sta ancora lavorando deve fare qualche conto in più, così Andrea ci dice che, mentre da dipendente aveva paghe medio-alte, “Come artigiano proprietario di una ditta, invece, non sai mai esattamente quanti soldi ti restano in tasca in un anno: tra le tasse, i cantieri e i materiali, la cifra resta indicativa, per quanto tu possa essere bravo a gestire la “parte di cassa” . Per ora non si lamenta, anche se presta sempre molta attenzione a non sperperare il denaro e a rinunciare al superfluo, tuttavia ci dice che oggi non è il quantitativo di lavoro che fai a renderti più ricco: “Non sempre è conveniente lavorare molto… siamo all’assurdo e al paradosso, ma così è con lo Stato italiano”.

Alessandra sottolinea l’aspetto delle spese superflue a cui spesso non vogliamo rinunciare sul bilancio mensile: “devo ammettere, si sono aggiunte tante spese superflue alle quali non riusciamo a fare a meno: cambiare spesso cellulare, cambiare spesso vestiti, andare qualche volta a mangiare fuori…”.

Marzio ci dice di non aver percepito grande mutamento nel valore del denaro e comunque i modesti cambiamenti non causano nulla se non “le solite lamentele di routine”, quasi a dimostrare che se non ci sono grandi opposizioni popolari significa che poi così male non stiamo. O forse, “come sanno bene i padroni del vapore”, ci dice, i salari bloccati o sempre più bassi non sortiscono grandi effetti sulle popolazioni annichilite assuefatte dal consumismo. Il buon vecchio sistema del panem et circenses, ahinoi, sempre funzionale al potere.

Quali sono i consigli che queste persone lavoratrici e intraprendenti possono dare ai giovani che sono alle prime armi, quelli che si stanno oggi affacciando al mondo del lavoro?

Sicuramente l’esempio e l’ispirazione sono aspetti impagabili che talvolta oggi dimentichiamo di valorizzare. Ascoltare gli anziani e farci guidare dall’esperienza di chi lavora da tempo, di chi ha imparato strada facendo vale più di mille diplomi e attestati di specializzazione.

Egle si concentra sulla pazienza e ci dice che vede grande fretta nei giovani: “una voglia di andare veloci, senza magari “perdere tempo” ad imparare per bene a fare le cose. Una cosa che mi sento di dire, a proposito di giovani generazioni, è che mi dispiace vedere l’abuso e l’onnipresenza dei cellulari. In tutte le cose, dal lavoro alla vita privata, si è perso il rapporto umano. Parlarsi di persona, guardandosi e cogliendo l’espressività personale, è ben altra cosa dallo scriversi messaggi o il collaborare in forme digitali. Tutto oggi mi pare molto più freddo, e ciò può avere ripercussioni negative. Molti giovani non hanno voglia di studiare, è troppo impegnativo, ma al tempo stesso il lavoro manuale viene rifiutato. Almeno ciò nella maggior parte dei casi. Il lavoro fisico-manuale è visto  come umiliante, cosa che ai miei tempi era impensabile. Ai miei tempi, trovare un lavoro per mantenere sé stessi o la propria famiglia, anche se umile e faticoso, non era mai considerato umiliante. Era anzi un onore. Questo modo di intendere il lavoro non c’è più, mentre vedo un sempre maggior rifiuto dei lavori manuali, che non vengono più stimati ed apprezzati.

E Lisa aggiunge “Secondo me, non si riesce a capire chi ha avuto un’educazione e chi ha dei valori… ci sono persone che vedi essere educate e volenterose, altre invece nei quali vedo dello sbandamento. Secondo me al giorno d’oggi c’è più voglia di lavorare in molti immigrati rispetto a molti giovani italiani”.

Quello dei rapporti umani è un aspetto che non manca di sottolineare anche Marzio, che – con sentimento ottimista e propositivo – consiglia ai giovani di “organizzarsi in piccoli gruppi, secondo le proprie competenze, e interfacciarsi col resto del mondo valorizzando peculiarità e risultati specifici”.

Intanto Andrea fa fatica a trovare personale per la sua ditta perché “La voglia di lavorare è sempre più scarsa, il livello di specializzazione è sempre minore, e questo tra artigiani è un vero problema. Talvolta si offrono proposte di contratto con addirittura di più della paga base (super-minimi, premi e quant’altro) – non quindi lavoro a nero o cose simili, dato che si tende a pensare che molti non lavorino perché o la paga è troppo bassa o perché tocca “fare a nero” -, ma comunque non si trova gente: molti sono in disoccupazione, qualcuno ha il reddito di cittadinanza, qualcuno vive ancora coi genitori, altri non hanno voglia e fanno soltanto lavoretti occasionali. È un “disastro” diffuso che non riguarda solo i giovani e nemmeno il solo livello lavorativo, è una vera e propria questione sociale che negli ultimi anni si è parecchio aggravata”.

Per quanto riguarda la diatriba sulla voglia di lavorare dei giovani, Alessandra ci parla dei suoi figli: “Penso che i giovani d’oggi siano più pigri e viziati rispetto ai miei tempi. Lo vedo anche io con i miei ragazzi e sono consapevole che la colpa è, in parte, di noi genitori. Dico in parte perché penso anche che i giovani di oggi siano demotivati nel cercare o mantenere un lavoro a causa delle poche, se non assenti, gratificazioni sia in termini del tipo di lavoro sia di stipendio. Inoltre, oggi non c’è neanche una prospettiva di miglioramento e di salita di carriera dopo anni di gavetta”.

Siamo passati poi, al complesso e discusso tema della tecnologia che sta inglobando tutto. Sarà “bene” o “male”? Il fatto stesso che ci siano degli antipodi così universali rende chiara l’idea che la tecnologia, soprattutto quella informatica, sta cambiando profondamente la vita delle persone.

Lisa ci dice che per tutto ci vuole testa: “Secondo me ci sono delle potenzialità in questi nuovi strumenti, ma vanno usati con cervello. Ad esempio, poco fa, ho trovato molto utile lo smartphone per contattare diverse persone con cui avevo necessità di comunicare. Però, purtroppo, spesso la tecnologia viene adoperata male, in maniera impropria o stupida.

Andrea, che è costretto ad usarla per lavoro, ne ritrova sì degli aspetti positivi ma, da padre, ci tiene a sottolineare la distruttività dei dispositivi tecnologici su ragazzi e bambini, mettendo al centro del problema la perdita della socialità, come aveva notato anche Egle: “La tecnologia è molto utile ed io, un po’ come tutti, la uso ogni giorno nel mio lavoro, sia per cercare informazioni sulla mia professione che per la pubblicità o la ricerca di clienti e fornitori; ma al contempo vedo che, se uno non la sa usare – o meglio, se non sa usarla adeguatamente e con i giusti limiti -, può diventare distruttiva. Specie nei bambini e nei ragazzi, assuefatti alla tecnologia fin dalla più tenera età (vedo bambini che giocano con il cellulare già a un anno e mezzo e questo, secondo me, è abominevole!), noto un crescente distaccamento dalla realtà: non sanno rapportarsi al mondo reale, figuriamoci a un futuro contesto lavorativo!”.

Anche Alessandra porta alla nostra attenzione le sue perplessità sull’uso della tecnologia in ambito privato e lavorativo: “Secondo me la tecnologia sta riempiendo sempre più aspetti della nostra vita e ormai quando devi uscire di casa la prima cosa che controlli di non aver dimenticato è il cellulare. Con i figli, una delle cose che riempie spesso discussioni e impone una regolamentazione è proprio il cellulare e spesso anche motivo di litigi. Per il lavoro mio e di mia sorella, che abbiamo un bar, è una necessità nel momento in cui sei costretto ad adeguarti alle abitudini dei consumatori: la gente sceglie il bar con le migliori recensioni, con più foto, con più condivisioni, e se possibile anche con menù e video promozionali. Questo sistema favorisce le catene che hanno più dipendenti e possono permettersi anche delle figure specializzate nella gestione dei social.

I giovani non sono più abituati a capitare per caso in un bar o in un ristorante ma devono essere “sicuri” di quello che scelgono preventivamente anche per una semplice colazione.”

Giungendo al termine anche di questa seconda parte di interviste, concentrandoci sui sogni e le aspettative per il futuro migliore possibile che i nostri intervistati si augurano non solo per loro stessi, ma anche per figli e nipoti.

“Mi auguro che le cose migliorino nel futuro”, dice Alessandra: “Per i miei figli o che tornino a migliorare visto che guardo sempre con malinconia i tempi passati, non solo ricordando la mia gioventù, ma anche le migliori condizioni di vita che c’erano: si lavorava tanto ma erano tante anche le soddisfazioni (riuscivi a comprarti la casa, mettere su famiglia, etc) e comunque  non mancava il tempo per divertirsi (anzi, forse ce n’era anche troppo)”.

Dalle speranze di Alessandra, dobbiamo passare al netto pessimismo di Andrea: “Sono ahimè convinto che i bimbi e gli adolescenti di oggi, quando diventeranno dei giovani uomini, saranno già vittime di un massacro mentale completo: saranno facilmente soggiogabili in ogni campo (lavoro compreso, ovviamente) a causa di tutta la tecnologia che gli è stata fornita senza un “minimo dosaggio”, tanto dai genitori (incoscienti o poco interessati al problema) quanto dalla scuola, che cerca di implementarla come fosse soltanto cosa buona e giusta”.

Le considerazioni finali di Egle e Lisa, con le quali chiudiamo questa nostra prima inchiesta, abbiamo voluto lasciarle in forma di dialogo, senza togliere quella vivace spontaneità che le ha caratterizzate.

Egle: “Vorrei che [i giovani] trovassero qualcuno che li possa stimolare e che gli faccia vedere il buono di un mestiere e quindi capiscano qual è il bene per il loro futuro, per la loro famiglia. Non sempre questo succede, ma io vorrei che trovassero quello che può dare a loro soddisfazione, economicamente come umanamente.”

Lisa: “Sì io sono d’accordo, però ti devo dire la verità..sono in pensiero. In pensiero per il futuro. Non ci sono nascite, i ragazzi se si sposano poi si lasciano… vedo che nascono pochi bambini. È come se si andasse sempre più incontro ad un grande periodo di difficoltà, a far nascere, a far crescere.”

Egle: “Questo accade anche perché al giorno d’oggi la donna vuole avere un suo lavoro, una sua indipendenza… e questo rende più difficile avere dei figli. Se vuoi avere grandi responsabilità lavorative allora, per una donna, questo significa aver meno tempo da dedicare ai bambini, per poi magari finire a lasciare i piccoli in asili nido, il ché è un po’ come abbandonarli…

Lisa: “Non so come dire. Sarò pessimista, ma io ho brutti presentimenti… non so come spiegarmi. Resto in pensiero…

Egle: “Forse oggi la nuova muleria (gioventù) ha meno rispetto per gli adulti e gli anziani…

Lisa: “Una volta meno avevamo e più apprezzavamo e più avevamo educazione e rispetto, oggi le cose sono cambiate, c’è meno rispetto. Poi con questi cellulari oggi non ci si parla più!

Egle: “Però di buono c’è che oggi i giovani parlano con gli adulti di più argomenti, certe barriere e tabù che una volta c’erano, oggi non ci sono più, e secondo me è anche un bene. C’è stata un’apertura negli argomenti, sebbene paradossalmente ci si parla di meno proprio per l’abuso dei cellulari.


Un grazie speciale da parte nostra a tutti i volontari che hanno accettato di rispondere alle nostre domande.


PER LEGGERE LA PRIMA PARTE:

https://comedonchisciotte.org/alla-ricerca-dello-spirito-del-tempo-uninchiesta-sul-lavoro-nellitalia-di-oggi/


Di Marika Martina, Luca V., Federico Degg, Konrad Nobile e Adam Bark per ComeDonChisciotte.org

31.07.2024

Marika Martina. Mi chiamo Marika Martina e faccio l’insegnante di lettere. Mi interesso di storia e letteratura cercando di guardare il mondo come eroi e poeti l’hanno fatto in passato per provare a districare la complessa matassa dell’oggi; mi diletto con i libri illustrati per bambini per ricordarmi di guardare la realtà con gli occhi semplici di chi ha ancora tanta speranza nel domani.

Luca V.

Federico Degg. Studente e lavoratore di 23 anni. Si occupa di comunicazione, cultura ed arte in tutte le sue forme (musica, immagini, scrittura, teatro). Attivista e membro di associazioni ed iniziative locali. Giovane collaboratore di Come Don Chisciotte

Konrad Nobile. Konrad Nobile è un giovane studente lavoratore. Attivista e militante su diversi fronti, collabora con ComeDonChisciotte.org.

Adam Bark. Giovane militante e attivista.

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