L’inopportuno diletto

Qualche giorno fa sul quotidiano Il Foglio usciva un articolo titolato “Todos romanzeros”.

“Nessuno legge ma tutti scrivono” denunciava il pezzo in questione, definendo questo fenomeno come una “fiera delle vanità”. Contemporaneamente ne usciva uno simile sul Post intitolato “Perché molti scrivono se nessuno li legge?” ed a conferma di questo, girava in rete un sondaggio ISTAT che ci diceva che Il 60,7% degli italiani sopra i 6 anni in un anno non ha letto neanche un libro, il peggior dato registrato negli ultimi vent’anni. Tutto molto preoccupante, la maggior parte degli italiani non legge ma scrive lo stesso, soprattutto sui social, e questi lettori mancati ci spiegano di biologia, di relazioni internazionali, di teologia, diritto, climatologia, strategia militare, sicurezza nucleare … insomma dei dilettanti allo sbaraglio.

A volte però queste affermazioni, in teoria condivisibili, se ne vanno altrove. Nascono in un contesto, per dire una cosa, e finiscono per generarne un’altra. L’articolo del Foglio, ad un certo punto, tira in ballo anche i recensori o i blogger coinvolgendo così molte persone che scrivono nelle webzine o nei blog per passione o solo per il piacere di farlo, spesso in maniera competente. Secondo me, l’abitudine diffusa di liquidare come “inutili” le parole scritte da “dilettanti” è profondamente sbagliata. Sbagliata perché trasmette l’idea di superiorità, di una élite che comunica: meglio ignorare i non professionisti. E soprattutto, inutile nasconderlo, lo trovo sbagliato perché mi sono sentito chiamato in causa.

Mi occupo di musica da sempre, ma in questo sono un dilettante. Non ci guadagno niente nel dedicare le ore libere, quelle in cui dovrei fare i cazzi miei o riposare, a fare radio, a scrivere articoli e recensioni… Lo faccio solo per diletto, da dilettante. Non appartengo ai professionisti, quelli del mondo degli “arrivati”. Sono un non appartenente.

E non è una posizione semplice. Non lo era ieri, non lo è oggi. Molto probabilmente lo sarà sempre meno perché il mio fare “per diletto” è sempre più bistrattato, nonostante lo ripeta da sempre: «Se cercate professionisti cercate altrove, non sono professionale perché sono un dilettante. È vero, faccio radio e talvolta scrivo ma, come diceva il cantautore bolognese, vendere o no non passa tra i miei rischi».

Qualche anno fa ho commesso un peccato grave, per quanto veniale, forse spinto da vanità: ho pubblicato un paio di libretti contenenti riflessioni e racconti sul mondo sonoro indagato ogni settimana dalla sua trasmissione radio . Mosso dalla mia formazione, dall’attitudine anarcoide dei ‘70, dalle rimembranze di ottime autoproduzioni musicali ’80 e dallo spirito DIY ‘90 li ho auto-pubblicati. Ma i tempi sono cambiati e queste cose, una volta segno di indipendenza, oggi sono considerate una scorciatoia, un contributo all’iperproduzione semiotica e all’inflazione di senso.

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Autopubblicazione? Pussa via! È cosa giudicata “inopportuna” dai professionisti della scrittura e della cultura.

Quell’aggettivo (inopportuna) mi ha illuminato.

Perché per certe persone bisogna essere sempre opportuni. Far parlare e scrivere solo chi ne ha facoltà, chi ha frequentato la scuola Holden, chi ha il tesserino, chi è scritto all’albo dei … e quindi sa essere compatibile con le regole e le forme corrette. Tanto compatibile e opportuno da risultare spesso inutile, inconsistente. Se non proprio odioso.

Mi piace, da sempre, cercare suoni e parole con sguardi incompatibili” col sentire generale. Non sempre ci riesco. Ma ci provo, talvolta rischiando di dire qualcosa di non gradito, ma lo dico lo stesso: non sono gli scrittori o i blogger dilettanti a ridurre la qualità delle offerte editoriali, ma i politici che da decenni tagliano i fondi all’istruzione e la cultura e i manager che credono che fare cultura “popolare” significhi abbassare il livello culturale al minimo. E l’alternativa non credo sia ostacolare la creatività delle persone.

Anche in questo caso credo che i problemi stiano in alto e non in basso e che solo dal basso possano nascere cose incompatibili. E inopportune.

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Per il gusto di contraddire i professionali professionisti, ecco i libri finora letti in quest’estate da un dilettante che a volte di diletta con la scrittura. Alcuni mi sono piaciuti molto, altri meno, alcuni mi hanno addirittura stupito:

Introduzione alla realtà – Edoardo Camurri (Timeo)

La vera storia della banda Hood – Wu Ming 4 (Einaudi)

Drama – Annina Vallarino (Neo)

Trudy – Massimo Carlotto (Einaudi)

A scuola non si muore – Gaja Cenciarelli (Marsilio)

Atti puri – Alice Scornajenghi (Not)

Alla gola – Henry Hoke (Mercurio books)

Potrei vivere qui per sempre – Hanna Halperin (Bollati Boringhieri)

Santi e bevitori – Lawrence Osborne (Adelphi)

Il negozio di musica – Joyce Rachel (Giunti)

** Tratto dalla newsletter Il Taccuino

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