Le olimpiadi dell’odio: quando commenti e mass media alimentano un sistema malato

Scrivere qualcosa che abbia una capacità di analizzare complessivamente quello che viene trattato come fenomeno mediatico ai fini delle più becere propagande, per noi che viviamo lo sport nelle sue molteplici forme, non è cosa semplice. Forse non riusciremo a restituire fino in fondo un dibattito articolato che, per non lasciare ambiguità, va sicuramente trattato nei diversi punti che tocca.

Nel tentare di fare tutto questo, non abbiamo intenzione di risparmiare, però, alcune cose lette, anche da chi crede di aiutare questo dibattito nella direzione della necessaria difesa delle soggettività trans e dei corpi messi sotto attacco da questo cinepanettone preconfezionato ad hoc.

Da oltre dieci anni la nostra palestra, come molte altre, utilizza lo sport, anche da combattimento, per dimostrare che ogni persona può provare e riuscire nella pratica di uno sport individuale in un ambiente che promuove la collettività. Lo può fare a seconda delle proprie necessità, condizioni economiche, capacità fisiche, identità sessuale, senza per questo sentirsi migliore o peggiore. Cerchiamo di trasmettere dei valori non impositivi che non utilizzino la denigrazione della persona (o di un altro sport ad esempio) per primeggiare.

Questo lavoro viene svolto in sinergia e la nostra palestra, ci sentiamo di dire, ricopre un ruolo sportivo-politico-sociale che spesso passa erroneamente in secondo piano. Nel fare tutto questo, però, cerchiamo di tenere un equilibrio mai semplice tra chi i nostri allenamenti li attraversa per migliorarsi, sentirsi meglio e non giudicata e chi, oltre a questa necessità, sente la voglia di andare oltre e intraprendere anche la strada dei combattimenti agonistici o semi agonistici.

Abbiamo decine di esempi, e la nostra storia lo descrive. Sappiamo benissimo che cosa significhi prepararsi per un match. Conosciamo benissimo i pregi ed i difetti di questi percorsi. Proviamo sulla nostra pelle le diete, gli allenamenti che stressano il corpo, la tensione della preparazione e l’agitazione pre-match che spesso può accompagnarci (purtroppo) anche sul ring.

Cogliamo, ascoltando le nostre sorelle ed i corpi non conformi, le difficoltà di vivere degli sport troppo spesso mascolinizzati senza essere giudicate. Sappiamo cosa significano i commenti di quelle persone che, magari anche ingenuamente, alimentano dei discorsi che dividono gli sport in base al genere, come se ci fossero sport praticabili da soli uomini o da sole donne. Sappiamo anche delle differenze economiche che ci sono nelle differenti federazioni o sport da combattimento, che tarano l’hype e l’attenzione medico sportiva in funzione del ranking economico che i combattimenti possono avere.

Non sappiamo tutto e non abbiamo ragione su nulla, ma ci sembra necessario elencare alcune cose punto per punto.

Troppe persone parlano delle olimpiadi senza sottolineare una questione di base: il meccanismo perverso che il sistema olimpiadi ha nella sua complessità.

Olimpiadi che, al netto della bellezza degli sport che amiamo, denigrano, deturpano, sfruttano territori e persone. Per tantissimi atlete e atleti le olimpiadi sono un traguardo importante, ma va vissuto nella contraddizione e nella conoscenza di come questo sistema è fatto. Ricordiamoci anche come il modello olimpiadi non premi le persone più meritevoli, ma dia la possibilità di partecipare, sia in termini di accessibilità sportiva che di rapporto di classe, solamente alle atleti e atlete delle varie sezioni delle fiamme italiane. Il meccanismo olimpiadi è spesso legato a doppio filo con gli enti militari, ed in tutto questo le differenti federazioni non incentivano un’apertura ma anzi, alimentano questo sistema. Chi non ha un reddito da lavoro sportivo agonistico, prima deve svolgere la propria mansione lavorativa, poi, forse, alla fine del suo orario di lavoro, può allenarsi. La facilitazione dei soggetti inseriti e stipendiati dagli organi di stato rimane il tema contraddittorio e centrale in un’analisi sulle olimpiadi, altrimenti si rischia di perdere dei passaggi importanti per leggere quello che accade al suo interno. 

Per non parlare della totale mancanza di alcuni sport a discapito di altri, solamente in funzione delle scelte economiche del capitale e dei suoi investimenti, non sicuramente in nome di una maggior equità degli sport da sostenere. 

Il tema della militarizzazione dello sport olimpico, non può essere posto in secondo piano nel momento in cui le persone coinvolte, difese, attaccate, idolatrate, vengono proprio da quei mondi. 

La “pulizia etica” che i mass media compiono è in certi casi paradossale ed allucinante, come ad esempio nel caso del tiratore sportivo turco Yusuf Dicek.

Dicek, grazie ad un lavoro di social washing, viene descritto come uno sgangherato tiratore fenomenale, talmente particolare da dover risultare simpatico al pubblico per forza di cose. Una descrizione che omette le nefandezze compiute assieme all’esercito turco, le responsabilità politico-militari avute nel suo periodo in arma con il ruolo di caporale,  nei confronti della popolazione civile curda. Non si parla di danni collaterali nel caso specifico, ma di operazioni che comportarono l’uccisione di circa diciottomila civili nei differenti anni.

Questo per dire che non ci si può aspettare la “purezza dell’etica” da un evento come quello delle olimpiadi e quindi non ci si deve stupire se accadono anche episodi che poi i media, specie nei Paesi più reazionari, utilizzano per alimentare l’omolesbotransfobia, il razzismo, la pulizia etica di alcuni personaggi…

Sulla questione dell’incontro Carini-Khelif: chiunque utilizzi un caso specifico e non semplice nello stabilire situazioni che hanno una particolarità, per alimentare la fiamma dell’odio, va attaccato, combattuto, annientato ove possibile. Ma per farlo, se si entra in un dibattito delicato come questo, serve scindere il piano della politica da quello tecnico sportivo.

Chi “da sinistra” lo sta sovrapponendo, lo sta banalizzando, non sta aiutando un percorso mai semplice di costruzione di dinamiche inclusive ed accessibili negli sport. Anzi, chi scrive o alimenta punti di vista entrando nel merito della questione tecnico-sportiva, senza aver la minima conoscenza di che cosa significhi ad esempio stare su un ring, vi assicuriamo, ci mette in difficoltà nei dibattiti che poi dobbiamo svolgere in questi mondi spesso difficili nell’accettare i cambiamenti ed i rinnovamenti.

Non vogliamo entrare a gamba tesa con un commento tecnico sull’incontro.

Ci sentiamo solamente di dire che quando si sceglie di partecipare ad un incontro di una federazione, essa ha delle sue regole e delle sue modalità di selezione.

Queste erano chiare fin da prima, ergo, se si decide di accettarle, non ci si può lamentare a posteriori. Se proprio si dovesse entrare nel merito dell’incontro, il problema non è stato l’abbandono ma il gesto non rispettoso  del non saluto finale ad un’altra donna, atleta, che come lei si è preparata per queste competizioni.

Altri commenti lascerebbero troppo margine all’interpretazione, e non farebbero altro che alimentare lingue velenose, non svilupperebbero un dibattito utile alla formazione di proposte tecnico-sportive che dovrebbero avere maggior spazio in questo contesto. Ci sentiamo sommersi di consigli, in questa bagarre confusa dove la troppa politicizzazione su un incontro genera un teatrino mediatico e prese di posizione che non ci aiutano nell’affrontare un tema complesso, nel caso specifico e particolare dello sport agonistico.

Vorremmo dare noi invece un consiglio a chi, forse erroneamente, sta alimentando un discorso che svolto in questa maniera è perdente, oltre a chi si sbilancia in commenti che sfiorano il machismo più becero che tanto dovremmo combattere.

In questa settimana abbiamo visto centinaia di persone diventare esperte delle diversi arti da combattimento: pugilato, judo, karate, kick boxing, muay thai e tante altre.Vi diamo un consiglio, se volete essere utili alla discussione e difendere chi tutti i giorni combatte o almeno prova a farlo, le discriminazioni nello sport: non fatelo così! Sembrate tifosi che invece di entrare nel merito delle questioni, aiutano solo la polarizzazione di un dibattito che svolto con slogan e propaganda, ci vede oltretutto perdenti. 

Vogliamo “utilizzare al meglio” questo scempio mediatico? Aiutiamo nelle nostre città i percorsi di sport popolare e non solo a mettersi in relazione, a costruire reti dentro e fuori i propri quartieri, i propri “orticelli”. Andiamo un pò oltre, costruiamo strategia, sogniamo un percorso lungo e tortuoso, ma costruiamo le basi per farlo.  I commenti agostiani (non autorevoli e non informati che spesso prendono pure grandissime cantonate), fanno vincere la Meloni di turno oltre che non avere proposte oggettive perché difficili nella sua costruzione.

Noi ci siamo, da sempre, e ci mettiamo a disposizione.

Non vorremmo nemmeno dover commentare chi utilizza la denigrazione di uno sport per attaccare una scelta di abbandono del ring. Non abbiamo tempo da perdere con commentatori da tastiera del “vai a fare danza” o “potevi andare a correre così evitavi il contatto fisico”;  lasciano il tempo che trovano e vanno solo ridicolizzati.

Invece agli  sportivi del “non sono transfobico ma…” sottolineiamo solo un piccolo particolare senza entrare troppo nel merito anche questa volta.

Difendere a spada tratta la professionalità dell’atleta italiana, della sua enorme preparazione, delle sue innumerevoli fatiche, e del rispetto che va posto in qualunque atleta, può essere cosa corretta e giusta. Ci aspettiamo però venga fatto con tutte le sportive di qualunque nazionalità, genere, razza e classe sociale, non basando il commento tecnico sportivo in funzione dei confini di uno Stato nazione o per nascondere la vergogna nell’avere paura delle diversità.

Non si può essere paladini della giustizia sportiva e difendere sul piano etico morale una pugile che abbandona il match dopo che è stata posta nelle condizioni di potersi preparare al meglio ed, allo stesso tempo,  svilire la gioia di una diciannovenne felice “seppur” arrivata quarta, come nel caso della nuotatrice Benedetta Pilato.

Questo non è un esempio di onestà intellettuale e di sportività.

Sperando di aver scritto qualcosa di utile, torniamo a fare i lavori nella nostra palestra, ad allenarci, a prepararci al meglio per un 2024 che ci riserva ancora grandi emozioni, novità e possibilità, perchè finiranno anche queste olimpiadi, ed al nostro posto ci troverete.

Contro ogni discriminazione, dal Rione Portello Padova, Palestra Popolare Galeano 

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