Brigitte Vasallo è un’autrice e giornalista galiziana che si occupa principalmente di temi come le relazioni affettive e sessuali che superano la monogamia, l’islamofobia e il femminismo. In italiano sono stati tradotti tre libri: Pornoburka, Per una rivoluzione degli affetti e Linguaggio inclusivo ed esclusione di classe. Ospite il 24 maggio – presso il dipartimento di Psicologia dell’Università di Padova – del collettivo Squeert ha analizzato la questione del linguaggio inclusivo.
Vasallo precisa, innanzitutto, che il suo lavoro non è parlare di ciò che è corretto dal punto di vista del linguaggio, bensì il suo obiettivo è di analizzare la realtà, consapevole che le risposte che si trovano collettivamente sono complesse quanto la realtà stessa.
Nel suo libro, infatti, analizza le proposte esistenti verso un linguaggio inclusivo, per capire dove portano e quante sfide e difficoltà bisognerà affrontare lungo queste strade, sempre senza la pretesa di arrivare a una soluzione assoluta, ma cercando di fornire alternative per espandere l’immaginario politico.
Il valore politico delle formule dirompenti del linguaggio (come lo schwa, l’asterisco, il neutro, il femminile universale) non è nella formula in sé, ma nella sua condizione di illegalità. Riprendendo il pensiero di Marx sul feticismo della mercanzia (un effetto attraverso il quale si attribuiscono agli oggetti qualità che emergono dal sistema e dalle relazioni di produzione e non dall’oggetto di per sé), Vasallo afferma che questo processo caratterizza anche le nuove formule del linguaggio: attribuiamo ad esse qualità liberatrici quando la liberazione viene dall’esercizio rivoluzionario. Vasallo riconosce che molte persone provano una forte emotività per il fatto di essere nominate, come se d’un tratto una lettera attribuisse loro esistenza, ma ritiene che non possiamo cedere la nostra esistenza al potere, a chi ci nomina o non ci nomina, bensì dobbiamo appropriarci di essa: esistiamo persino nel silenzio, esistiamo persino assassinate.
Non intende con questo togliere diritto alla rivendicazione di essere nominate, ma ricolloca questi sforzi nella richiesta di essere nominate perché ne abbiamo il diritto, e di usare il linguaggio che abbiamo voglia di usare perché il linguaggio è di tutte. La lettera non ci attribuisce più esistenza, dato che ce l’abbiamo già tutta, ma dimostra, esercita il potere dell’enunciazione, lo fa ritornare a noi e afferma qualcosa di molto importante: che il linguaggio non è delle grammatiche, né delle leggi, né degli stati, né dei dizionari, ma di chi lo usa. Si pensa all’inclusione a partire da uno schema coloniale e patriarcale, uno schema soggetto-oggetto in cui il soggetto, attivo, manipola l’oggetto, passivo. Il linguaggio non funziona così: per quanto il soggetto abbia il potere di nominare, è l’oggetto che decide se quello che viene detto lo include o no.
Riguardo all’incapacità del linguaggio di agire sulla materialità, Vasallo sostiene che è pericoloso attribuire un valore politico a tutto ciò che ci fa sentire bene, come l’essersi emozionate nel trovare conforto e riparo nel linguaggio. Marx, quando parla della religione come oppio dei popoli, poi spiega anche che è necessario attaccare le cause del dolore e non concentrarsi sul dibattito riguardo all’oppio: in questo caso, il fatto che il linguaggio conforti è positivo, ma esso non elimina le cause del dolore.
Uno strumento rudimentale che può avere la sua utilità consiste nel chiedersi se le questioni sono importanti, urgenti o interessanti. Le questioni importanti sono quelle che modificano in meglio le condizioni di vita delle persone e dell’ambiente non umano al quale sono riferite; le questioni urgenti sono qualcosa di più reattivo, ma che necessita di priorità; le questioni interessanti sono quelle che ci intrigano, quelle che ci portano a riflettere e a dibattere.
Bisogna poi considerare tutto ciò alla luce di una società capitalista. Alcune questioni non fanno altro che portare capitale sociale a chi le enuncia; ci sono dibattiti politici, anche all’interno della sinistra radicale, che sono solo capitalismo dialettico e non migliorano le condizioni di vita di nessuna persona né della collettività, né rispondono a un’urgenza.
Allo stesso tempo il simbolico può essere molto importante, come per le tendate e le manifestazioni contro il genocidio a Gaza, che operano nel simbolico ma hanno il desiderio che ci sia una ripercussione che vada oltre. Questo mostra come non ci sia una risposta unica sul valore dello spazio del simbolico: è un terreno molto pericoloso, soprattutto nel contesto del semiocapitalismo (il capitalismo delle idee), pertanto va attraversato con intelligenza, collettività e amorevolezza.
Audre Lorde con la sua famosa citazione “gli strumenti del padrone non smantelleranno mai la casa del padrone” parla di metodo. Secondo Vasallo, il problema è la convinzione che il metodo sia volontario, perché questo implica che allora siamo responsabili delle violenze sistemiche che subiamo: “subisci violenze di genere perché hai un genere, allora non avercelo”.
Bisogna distinguere tra il non sentirsi rappresentate nelle categorie di un sistema e l’essere fuori dal sistema. Il sistema è così potente che ingloba tutta la realtà e non c’è un modo di pensarsi al di fuori di esso, se non provando a costruire percorsi di immaginario collettivo. Per questo stesso motivo, come scrive nel libro “Per una rivoluzione degli affetti” spesso non-monogamie e poliamore mettono in atto lo stesso sistema del monogamo, senza invece costruire un nuovo paradigma, ed anche qui serve quindi esplorare nuove alternative.
Se il genere e il sesso binario sono un costrutto sociale, con una loro geografia e un momento nella storia, allora niente è essenzialmente maschile o femminile. Il sistema di genere binario, però, attribuisce queste qualità a tutto.
Quello che si può fare quindi è rifiutare il genere, nominarsi in maniere altre infinite e illegali, performare il genere in maniere impossibili, mescolando tutti quegli elementi che il sistema vieta di mescolare, trovare termini per comunicare come ci sentiamo all’interno di tutto questo contesto.
Mettere enfasi nel proprio genere particolare è un segno dei tempi; l’importante è avere il diritto di fare con corpo, identità e vita quello che vogliamo fare. Diritto che però non è concesso dal sistema e che porta ai suicidi trans, ai femminicidi e i transfemminicidi, alle terapie ormonali che mettono a rischio la salute per la loro irregolarità. Come non esiste un “al di fuori della monogamia”, e quindi bisogna osservarne la struttura per decostruirla e immaginare altre alternative, così bisogna fare con il linguaggio e con il genere.