Ci risiamo, si dice.
E purtroppo ci risaremo. Ancora e ancora, finché non si farà marcia indietro rispetto alle scelte che continuano a violentare il territorio.
In quest’anno e mezzo, dopo le alluvioni del maggio 2023, abbiamo scritto molto, abbiamo partecipato ad assemblee e convegni, abbiamo dato le nostre voci a un documentario, Romagna tropicale, spesso esprimendo frustrazione e anche rabbia, perché si continuava con la retorica dell’evento eccezionale, della catastrofe una tantum, e non solo si continuava a fare come prima, ma addirittura – e vantandosene pure! – si intensificavano i processi che avevano causato il disastro: cementificazione, urbanizzazioni in zone a rischio idraulico, annichilamento della vegetazione e degli ecosistemi lungo le rive di fiumi e torrenti ecc.
Nel documentario si vedono scene di presunta «pulitura degli argini» – e non degli alvei, dunque il contrario di quanto dicono le stesse linee-guida regionali – raggelanti, soprattutto alla luce di quanto accade in queste ore.
Ora i fiumi hanno rotto negli stessi punti della volta prima o appena più a valle, in tratti presuntamente «messi in sicurezza» e in realtà resi più pericolosi perché rapati, pelati, ridotti a cumuli di materia inerte – anche questa volta le immagini parlano chiaro – destinata a essere spazzata via dall’acqua e dalla realtà.
Anche dove i fiumi sono esondati senza rompere, è stato a causa dei disboscamenti, come nel caso del Lamone.
E a essere colpite sono esattamente le stesse zone, urbanizzazioni che non dovrebbero esserci. Spesso toponimi e odonimi dicono già tutto, se li si vuole ascoltare. A rigore, in una via che si chiama “Sottofiume” non dovrebbe abitare nessuno. Anzi, una via Sottofiume non dovrebbe proprio esistere. A dirla tutta, non dovrebbe esserci un sotto–fiume: i corsi d’acqua non dovrebbero essere sempre più costretti, sopraelevati e pensili, ma avere spazio libero per espandersi.
Che possiamo fare, se non riproporre quanto avevamo già scritto? Ecco alcuni link. Buona (ri)lettura.
Fanghi velenosi e narrazioni tossiche: sulle alluvioni in Emilia-Romagna (29/05/2023)
«È necessario, prima di tutto, smontare un po’ di cornici narrative. Troppo spesso si invoca una “manutenzione” che in realtà è manomissione, e si parla di “messa in sicurezza del territorio” intendendo altre infrastrutture, altri disboscamenti. Si parla di “ripartire”, si scaricano le responsabilità su capri espiatori, ci si rifà al “cambiamento climatico” come se si parlasse di una fatalità.»
Conseguenze del cemento e dell’arboricidio: l’esempio del Savena
«Emblematico il caso del Savena, i cui argini furono rasati a zero nel 2014. In pochi giorni sparirono circa sessantamila alberi, anche in zone classificate SIC, Siti di Importanza Comunitaria. Furono distrutti trenta ettari di vegetazione ripariale.»
«Le attività e produzioni su cui si basano il mitico “benessere” e il mitico “buongoverno” emiliano e romagnolo sono quanto di più tossico e climalterante si possa immaginare. I presunti punti di forza dell’economia di queste parti – un mix di plastica, motori, cemento e tondino, poli logistici, agroindustria, allevamenti intensivi e turismo di massa – si stanno rivelando punti deboli. Sembravano punti di forza, e si menava vanto del loro successo, perché si tenevano ambiente e clima fuori dal quadro. Ora ambiente e clima sono rientrati con violenza, e l’economia emiliano-romagnola si rivela la peggiore possibile.»
Romagna tropicale: un documentario di Pascal Bernhardt
Con link alla piattaforma OpenDDb, dove la donazione minima consigliata per il film è €4.
Gli atti dell’importante convegno tenutosi a Bologna nel febbraio 2024. C’è anche un intervento di Wu Ming 2.