Elezioni Venezuela: Maduro proclamato presidente con il 51% dei voti

Il consiglio elettorale ha dichiarato la vittoria del presidente uscente Nicolas Maduro, che secondo tale organo si è affermato con il 51,2% dei voti. Le opposizioni si fermano al 44,2 % e gridano ai brogli.

Situazione tesa ma senza incidenti da registrare nella notte in Venezuela, dopo la tornata elettorale che si è conclusa con una affluenza vicina al 60% e una forte voglia di cambiamento. L’avvicinamento a queste elezioni è stato di difficile interpretazione, in un contesto mutevole e con segnali diversi ed opposti. Negli ultimi due anni, il Venezuela di Maduro aveva ristabilito rapporti diplomatici con la Colombia (grazie anche all’elezione del socialista Petro) e ripreso il dialogo con gli Stati Uniti. Dal punto di vista interno, da un lato è stato impedito alla candidata vincitrice delle primarie delle opposizioni unite, María Corina Machado, di candidarsi, interdetta per una precedente condanna per corruzione, dall’altro erano stati invitati diversi osservatori internazionali a seguire il processo elettorale, compresi quelli dell’Unione Europea.

Con il passare dei mesi la situazione si è però deteriorata, con una lenta ma costante crescita del gradimento del candidato della Plataforma Unitaria Democrática (PUD) Edmundo González Urrutia e un nervosismo crescente da parte di Maduro e dell’apparato del PSUV (Partido Socialista Unido del Venezuela). Si è presto sviluppata una guerra di sondaggi, con i media vicini al governo che davano un vantaggio a Maduro di 20/30 punti, e i media vicini all’opposizione che invece favorivano González con un margine per alcuni vicini ai 40 punti percentuali. È molto difficile valutare l’adesione alla realtà di questi sondaggi, ma la certezza è che il gradimento verso la coalizione di opposizione è cresciuto e da diversi giorni prima del voto si è reso evidente come quest’ultima avesse chance di vittoria. Questo perché le conseguenze della grande crisi iniziata nel 2017 sono ancora fortemente presenti: oltre metà del paese vive in condizione di povertà o di estrema povertà, l’approvvigionamento dei beni primari è scarso o razionato, l’inflazione, pur non più ai livelli degli scorsi anni, ha deteriorato il potere di acquisto della popolazione, l’emigrazione di massa ha portato a un totale di oltre 6 milioni di persone quelle uscite dal Paese negli ultimi dieci anni. La disastrosa situazione economica è solo in parte ascrivibile all’embargo statunitense e al famoso sequestro dell’oro sovrano venezuelano nella banca di Inghilterra: la corruzione e la mala gestione pubblica sono ormai la norma nel Paese latinoamericano, trasversalmente a tutti i settori e con il suo picco nella società pubblica che controlla la produzione del greggio, la PdVSA. La popolazione venezuelana, stremata, chiede un cambio, ed è su questo che le opposizioni (con il sostegno di Washington) hanno costruito la loro campagna elettorale (oltre che mediatica).

Nelle ultime due settimane, la maggior parte degli osservatori internazionali sono stati esclusi o si sono ritirati. È stato ritirato l’invito all’Unione Europea, Colombia e Brasile hanno ritirato i propri osservatori esprimendo grandi preoccupazioni e sancendo una distanza fra Maduro e le altre sinistre continentali abbastanza evidente. Gli unici osservatori accreditati sono rimasti quelli di Russia, Cina, Iran e Nicaragua. Tutto ciò, sommato alla campagna di informazione che dava la coalizione di opposizione vincente, ha aumentato al tensione intorno alla tornata elettorale.

Il commento di Machado alla proclamazione è stato netto, denunciando brogli elettorali e dichiarando la vittoria delle opposizioni a queste elezioni (con percentuali a suo dire vicine al settanta percento). Scenario anticipato da Maduro, che anche nel suo discorso di chiusura della campagna elettorale aveva previsto un mancato riconoscimento da parte delle opposizioni del risultato, preoccupandosi per l’incitamento di proteste di piazza da parte della destra fascista (il famoso bagno di sangue, dichiarazione estrapolata dal contesto dalla maggior parte dei media che l’hanno riportata).

A livello internazionale, sia il segretario di stato USA Blinken che l’alto rappresentante alla politica estera europea Borrell esprimono dubbi sui risultati e chiedono trasparenza del processo elettorale con un riconteggio. A livello continentale si certifica la rottura con la maggior parte dei Paesi, inclusi quelli a guida progressista. Sono nove i Paesi a richiedere più garanzie sull’affidabilità dei risultati: Argentina, Costa Rica, Ecuador, Perù, Guatemala, Panama, Paraguay, Repubblica Dominicana e Uruguay. Al momento è proprio in alcune sedi consolari del Venezuela in questi paesi che si registrano momenti di tensione e proteste, specialmente nell’ambasciata venezuelana di Buenos Aires. Più attendisti Colombia e Brasile, paesi confinanti che nonostante la guida progressista hanno espresso molte perplessità nei giorni scorsi, e che attendono risultati ufficiali. A congratularsi invece gli alleati storici di Caracas, Bolivia, Cuba, Nicaragua e Honduras.

I dubbi sulla legittimità dei risultati aumentano, oltre che per la mancanza di osservatori imparziali, anche per le dichiarazioni dello stesso Maduro, che ammette un “attacco hacker” al consiglio elettorale, incolpando l’opposizione di averlo orchestrato per non dare la possibilità di dichiarare un vincitore, gridare ai brogli e chiamare alla violenza di piazza. Ma “ha prevalso la voce della pace”, ha dichiarato, chiedendo anch’esso il rispetto della volontà popolare

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