Più analisi sulla lotta di classe, meno geopolitica!

Sabato 7 settembre, dopo un corteo che ha attraversato tutta la città di Vicenza con 2000 manifestanti pronti a rivendicare i bisogni delle comunità cittadine coinvolte dalla devastazione del cantiere del TAV, ha avuto luogo il penultimo dibattito del Woods Climate Camp.

Con la presenza della giornalista freelance Rita Cantalino, del professore di Unisa Gennaro Avallone e della giornalista indipendente e fondatrice del Collettivo Fada Collective Sara Manisera, il dibattito è stato moderato dal direttore di Global Project Antonio Pio Lancellotti.

La guerra, come principia Gennaro Avallone, è nemica della vita sociale e delle nazioni. Essa non solo impone disciplinamento e repressione, ma chiude ogni possibilità di trasformazione immediata, pur potendole aprire nel medio periodo, come accadde con la rivoluzione bolscevica. La guerra è una realtà corporea, fatta di sofferenze, lutti e morte, che tocca direttamente le persone, analogamente a ciò che accade con le crisi climatiche. Le guerre colpiscono soprattutto le popolazioni già devastate dai cambiamenti climatici, rendendo evidente l’intreccio tra violenza, potere e trasformazione sociale.

Servirebbe concentrarsi più sulla lotta di classe che sull’analisi geopolitica. La geopolitica infatti riflette gli interessi delle classi dominanti e dello Stato, non quelli dei soggetti subalterni, che pagano il prezzo della guerra. Chi muore nei conflitti, come in Ucraina, sono i poveri, mentre le élite vivono del loro sacrificio. Il movimento internazionalista, ricordando anche Rosa Luxembourg, si oppone sempre a chi manda la povera gente a morire per gli interessi dei potenti.

La guerra e il cambiamento climatico sono interconnessi in un processo di distruzione ecologica che ha radici storiche profonde. La guerra è ecocidio, una violenza non solo contro le persone ma anche contro la natura. Questo termine è emerso durante la guerra del Vietnam, ma l’ecocidio moderno ha inizio con la conquista dell’America e l’espansione dell’imperialismo, che si basa strutturalmente sulla devastazione ambientale. Dal colonialismo alla modernità, la logica capitalista e imperialista ha sempre comportato il saccheggio della natura per il profitto e il potere.

La guerra oggi viene vista come una necessità dalle classi dirigenti per rispondere alla crisi che non è solo economica, ma anche sociale e politica, che rappresenta dunque una crisi di egemonia. I gruppi dominanti non propongono alternative al regime di economia di guerra, anzi, c’è consenso globale, come dimostra il sostegno unanime all’invio di armi in Ucraina e all’investimento del 2% del PIL in difesa. Questo punto rappresenta un dramma per i movimenti sociali, che si trovano senza possibilità di coalizioni e senza alternative concrete per uscire dal regime di guerra imperante.

Ma come si esce dal concepire la guerra come unica alternativa alle crisi?

Gennaro Avallone conclude il suo intervento citando il libro di Dario Faccino  che in “Guerra chiamata pace” libro scritto dopo la Guerra del Golfo, nel 1992, poneva il problema della sovranità intesa quale decisione politica: “una sinistra che rimuova il problema della sovranità altra, cioè di costruire un luogo della decisione alternativa ai gruppi dominanti, su cosa può contare se non sulla speranza di convertire il padrone all’onestà, alla ragione, in una parola al suicidio?”.

Rita Cantalino denuncia una crisi umanitaria e ambientale senza precedenti a Gaza, un genocidio, chiaro agli occhi di tutti, ma soprattutto un’ecocidio, concetto poco evidenziato. Sottolinea che, anche qualora arrivasse il cessate il fuoco, le condizioni già tragiche renderebbero la sopravvivenza della popolazione estremamente difficile. La carenza di acqua pulita, con la capacità di produzione ridotta drasticamente, e l’inquinamento del territorio da detriti tossici e corpi in putrefazione, accentuano la devastazione. Non esistono infrastrutture per i rifiuti, non ci sono impianti di elettricità, la popolazione per riscaldarsi o per mangiare brucia detriti o plastiche, rilasciando nell’atmosfera fumi che si aggiungono all’aria già inquinatissima da 6000 ore di bombardamenti. La CO2 prodotta dai bombardamenti e dalle distruzioni è quantificabile in migliaia di tonnellate. Senza parlare delle infrastrutture sotterranee presenti a Gaza (i tunnel di Gaza) che produrrebbero inquinamento dell’area ancora maggiore dal loro allagamento.

Quanto detto è tutto rinvenibile nel report ONU sui disastri ambientali a Gaza.  Cantalino avverte che, anche con la fine dei conflitti, il recupero di Gaza – territorio saldamente legato all’agricoltura sia nell’economia che culturalmente – richiederà decenni e ingenti investimenti, che forse nessuno sarà disposto a fare.

L’intervento della freelance, si conclude con una riflessione taciuta politicamente sulle emissioni ambientali prodotte dalle attività militari, escluse da ogni tipologia di Reportistica e dai protocolli ambientali di Kyoto e Parigi sebbene – su dati parziali – quel che si sa è che il 5% di emissioni viene prodotto dalle attività militari.

Sara Manisera, racconta di Fada Collective, il collettivo di freelance italiani con l’obiettivo di sviluppare e promuovere un giornalismo d’approfondimento e di interesse pubblico, con al centro i diritti, la giustizia sociale e l’ambiente. L’attività di Fada Collective inizia con le guerre in Iraq, tra le inchieste giornalistiche rilevanti si ricorda il webdoc multimediale “Iraq without water” – premiato dall’Associazione dei Corrispondenti delle Nazioni Unite a New York –  un viaggio sull’acqua da Mosul a Basra, lungo i fiumi Tigri ed Eufrate, che racconta la crisi idrica attraverso le voci degli ambientalisti iracheni, ed il webdoc “Donne fuori dal buio”, prodotto grazie a un crowdfunding e al supporto dell’ONG Un Ponte Per, che raccoglie le voci di quattro donne irachene quindici anni dopo l’invasione a guida statunitense in Iraq.

La giornalista, nel raccontare le inchieste effettuate, denuncia il silenzio dei media italiani riguardo i giacimenti petroliferi in Iraq, dove opera anche la compagnia italiana ENI. Nonostante l’impatto devastante delle multinazionali petrolifere, che contaminano acqua e terreno e provocano malattie, le gravi conseguenze rimangono ignorate in Italia. Manisero evidenzia come le cosiddette “proposte di sviluppo” si trasformino sempre in distruzione ambientale e sociale, e sostiene che è cruciale offrire una narrazione alternativa, lontana dalla mera rappresentazione pietista dei conflitti. Per costruire un vero cambiamento e una sovranità diversa, è fondamentale che movimenti e giornalisti si alleino per raccontare la verità dei subalterni e opporsi a questo silenzio complice.

Per approfondimenti invita anche alla lettura su Voice Over Foundation dell’ultimo articolo “La terra lega i margini”.

L’intreccio tra guerra e trasformazioni climatiche, dunque, è espressione diretta del capitalismo globale e dell’imperialismo, che sfruttano la natura e le persone per profitto. I conflitti in Ucraina e Palestina mostrano come la lotta per il controllo di risorse vitali, come energia e acqua, sia sempre più cruciale, mentre i cambiamenti climatici aggravano queste tensioni. La guerra globale non è solo un’escalation di violenza tra nazioni, ma una manifestazione del collasso ecologico che il capitalismo perpetua. L’unica soluzione reale è unire le lotte contro la guerra e per la giustizia climatica, opponendosi a un sistema che distrugge sia l’ambiente che le vite umane.

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