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«Nè la rivoluzione nè la riforma possono, in ultima istanza,
cambiare una società, senza che ci sia da raccontare una storia nuova e potente,
tanto persuasiva da bloccare i vecchi miti e trasformarsi nella storia preferita…
Se si vuole cambiare una società si deve narrare una storia alternativa».
IVAN ILLICH
Panni sporchi
I
«Qui a Limite noi i panni sporchi li laviamo insieme».
Il rumore dell’acqua nel grande lavatoio quasi copriva la voce di Gemma. A Limite non esisteva un vero e proprio acquedotto, almeno non nel senso che la gente di pianura solitamente dà a questo termine. Un ruscello di buona portata che, non si sa come, riusciva a mantenere un flusso relativamente costante, estate e inverno, sgorgava sull’altopiano poco sopra l’abitato. Già nel lontano passato, nel periodo pre-bellico, quando il luogo era frequentato solo da pochi pastori, si era provveduto ad una rudimentale canalizzazione, allora al fine di alimentare un abbeveratoio per le greggi.
Molto tempo dopo, quando i primi fuggitivi arrivarono dalla pianura, il ricordo dei racconti dei nonni li spinse subito a cercare quella piccola struttura ed a ripristinarla.
«Perché fate questo? – aveva chiesto subito Fiorenza, una delle nuove arrivate – E perché non avete l’acqua nelle vostre case?»
Gemma si strinse nelle spalle: «Che bisogno c’è di avere l’acqua in casa?». Dal suo punto di vista era una cosa ovvia. Il paese era piccolo e il tragitto per andare alla fonte e al lavatoio era breve. Nessuno lo riteneva scomodo, anzi, per loro era bello incontrarsi a lavare insieme. Va detto che essendo le abitudini quotidiane dei limitesi abbastanza omogenee, avvenne che il momento della giornata dedicato al bucato fosse più o meno il solito per tutti e che quindi tutte le donne (e anche qualche uomo a dire il vero…) si incontrassero al lavatoio alla stessa ora, il che aveva indubbiamente i suoi vantaggi, anche di ordine pratico. Lavare e strizzare un lenzuolo matrimoniale è assai diverso se si è in due piuttosto che da soli… Al lavatoio tutti si aiutavano a vicenda, e poi via! Tutti insieme a stendere i panni nei campi.
Al getto d’acqua che sgorgava al lavatoio si attingeva anche per gli altri bisogni domestici; anche in questo caso, pur non essendoci orari prestabiliti ed essendo liberi di andare quando volevano, accadeva spesso che i limitesi si incontrassero ed anche questi erano momenti di scambio e di condivisione che tutti stimavano della massima importanza.
Fiorenza non era del tutto convinta…
Tutte le volte che rientrava a casa, dopo esser stata al lavatoio, veniva assalita da tanti dubbi, che a volte condivideva col suo compagno, Duccio. Erano passati molti mesi da quando avevano lasciato la pianura ed erano arrivati a Limite. Ormai avevano quasi terminato i lavori all’edificio che era stato destinato a loro, e in diversi – tra cui appunto Fiorenza e Duccio – già abitavano in quella struttura.
Quel giorno Fiorenza era più polemica del solito.
«Ma ti sembra possibile – tentava di incalzare – Neanche la mia bisnonna viveva così! E sì che a sentir dire allora non se la passavano troppo bene economicamente… ma l’acqua in casa ce l’avevano. Che fai, non dici niente?» apostrofava poi, visto che Duccio non mostrava segni di reazione alcuna.
«Cosa vuoi che dica… a sentir loro, sembra che tutto funzioni bene anche così»
«Non lo metto in dubbio… Il punto è che, forse, potrebbe funzionare meglio di così, non trovi?»
Alla fine Fiorenza ebbe la meglio. Riuscì a coinvolgere tutti i nuovi arrivati in una sorta di riunione, per parlare della questione dell’acqua. A quel punto, mentre erano tutti insieme, Pier Maria ebbe l’illuminazione: «Scusate – disse, rivolto all’uomo che sedeva vicino al caminetto – Ma tu, Jacopo, non facevi l’ingegnere giù in pianura prima della guerra?»
Fiorenza non si lasciò scappare l’occasione. «Ingegnere? Allora saprai sicuramente progettare un modo per portare l’acqua in ogni casa! O no?»
«Bè, io… – tergiversò Jacopo – Insomma, non ho più progettato da molto tempo»
«Credo che prima di questo dovremmo affrontare un altra questione» avanzò timidamente Eri.
«Cioe?» il tono di Fiorenza era vagamente autoritario.
«Dovremmo cercare di capire bene questo sistema, prima di modificarlo»
«Non mi sembra che ci sia molto da capire: non abbiamo l’acqua in casa. Si può fare il modo che l’acqua arrivi in ogni casa?» tuonò nuovamente Fiorenza lanciando un’occhiata eloquente a Jacopo.
«Tecnicamente… – iniziò l’uomo – Proprio dentro casa non saprei… forse sarebbe più semplice, ecco, diciamo davanti casa…»
«Sarebbe già qualcosa – convenne Fiorenza – Almeno non dovremmo fare la strada fino al lavatoio»
«Dovremmo pensare a delle condutture molto semplici…»
«Come dei piccoli ruscelli che partono dal torrente diretti verso le case?»
«Non partirei dal torrente… – rifletté a voce alta Jacopo – Forse dall’invaso che c’è subito sotto il bosco»
Si deve sapere che, appunto, sopra l’abitato, anni addietro i primi fuggitivi avevano scoperto una sorta di piccola conca naturale. Il terreno e le rocce circostanti avevano subito dato loro l’impressione che, con una breve deviazione del corso del torrente, si sarebbe potuta trasformare facilmente in un piccolo laghetto. Così fecero, in modo da avere sempre una riserva di acqua, nell’eventualità che la portata del torrente diminuisse. Furono sufficienti una piccola deviazione a monte ed una sorta di “troppo pieno” a valle, in modo che, una volta riempito l’invaso, l’acqua in eccesso ritornasse al torrente stesso.
Jacopo stava pensando appunto di prelevare l’acqua alla base di questo invaso, per alcuni motivi, che a suo dire erano essenziali. Primo: si poteva garantire un flusso più costante in quanto il bacino avrebbe sopperito alle momentanee variazioni di portata che il torrente inevitabilmente aveva. Si sarebbe anche potuto regolare la quantità di acqua da prelevare, con semplici accorgimenti costruttivi. Jacopo era certo di riuscire a realizzare la cosa, e riuscì a trasmettere agli altri questa tranquillità.
«Certo scavare delle lunghe condutture implicherà una certa dispersione nel terreno…» rifletté poi. Al che Duccio, per la gioia di Fiorenza, ebbe anche lui un’idea.
«Avete visto che dietro la casa di Nunzio c’è quel mucchio di lastre di pietra? Potremmo usarle per il fondo delle condutture…»
Non era una cattiva idea. I tetti delle case di Limite erano tutti coperti a pietra. Forse era stato anche questo che aveva convinto i primi pastori a realizzare lì il loro alpeggio. Nelle montagne vicine c’erano zone in cui la pietra si sfaldava naturalmente; se ne potevano ottenere facilmente lastre che erano ottime per i tetti. Nel tempo i pastori avevano anche accumulato una piccola scorta, per poter sostituire velocemente le lastre in caso di rottura. Cosa che però non avveniva che molto raramente. Di conseguenza il mucchio di lastre di scorta – già di per sè sovradimensionato – era da tempo inutilizzato. Effettivamente, disse Jacopo, disporre quelle pietre sul fondo degli scavi, avrebbe migliorato il funzionamento e ridotto le dispersioni.
Da quel punto in avanti, la riunione procedette spedita. Tutti parevano convinti, solo Eri manifestava una certa insicurezza, che presto venne notata anche dagli altri.
«Che dubbi hai Eri?» gli chiesero.
«Non so… siamo sicuri che tutto funzionerà? Rimarrà abbastanza acqua per irrigare i campi?»
La domanda non era fuori luogo. Le diramazioni che dal torrente andavano verso i campi partivano subito sotto all’abitato di Limite, prima del lavatoio comune (i campi erano poco più in basso delle abitazioni), e prelevando l’acqua a monte, effettivamente c’era il rischio che Eri paventava. Ma Jacopo lo tranquillizzò:
«In realtà la quantità di acqua che useremo non cambierà. Solo la preleveremo a monte invece di prelevarla al lavatoio in basso, tutto qui. Ai campi arriverà esattamente la stessa quantità di acqua di prima»
«Mmm…» bofonchiò Eri, non del tutto convinto.
***
Così i “rivoluzionari” iniziarono la loro impresa, senza dare nell’occhio. Lavoravano a scappatempo alle condutture, assentandosi uno alla volta dal lavoro dei campi per non far notare la loro assenza, o usando le ore serali normalmente dedicate al riposo ed alla vita in famiglia. Il terreno era morbido da scavare, con l’inizio della buona stagione l’erba iniziava a crescere rigogliosa, il che aiutava i nostri ad occultare le piccole tracce che realizzavano a monte dell’abitato. Quella zona era in realtà poco frequentata dai limitesi. Le uniche occasioni erano le spedizioni nel bosco per approvvigionarsi di legna da ardere per l’inverno. I nostri, prima di iniziare la loro opera, avevano appunto atteso la conclusione di questo periodo, e così credevano che sarebbero riusciti a passare del tutto inosservati, almeno fin quasi alla conclusione del lavoro. Certo, al momento di sottrarre le pietre, gli altri avrebbero notato la cosa, ma a quel punto – Fiorenza ne era certa – avrebbero potuto rivelare tranquillamente il loro intento. La loro operosità non sarebbe stata criticata. Il buon cuore dei limitesi avrebbe certo apprezzato quella loro intraprendenza che, di fatto, migliorava non di poco le condizioni di vita del villaggio.
Così fù. Effettivamente le cose procedettero come Fiorenza aveva immaginato. Accadde solo una cosa che i nostri non avevano previsto. Dopo aver rivelato il loro progetto, come era prevedibile, i Consiglieri si riunirono. Duccio, Jacopo e gli altri vennero convocati dopo che gli anziani avevano confabulato a lungo. Essi pensavano che sarebbero stati sottoposti ad una sorta di esame, che i Consiglieri – comprensibilmente – avrebbero voluto accertarsi delle loro intenzioni e della sussistenza dei presupposti tecnici per il corretto funzionamento di quel sistema. Con loro grande stupore, quando si furono accomodati nella cantina, la solita che veniva usata per tutte le loro riunioni, Nunzio stesso, dopo aver acconsentito all’utilizzo della scorta di pietre per rivestire le condutture disse agli altri: «Ora vorremmo fare un gioco».
Fiorenza restò di sasso. Ormai avevano imparato le piccole manie e gli usi e costumi un po’ strampalati dei limitesi, ma quello che stava accadendo andava oltre le sue facoltà di comprensione. Tutti gli altri presero a guardarsi; i loro volti non potevano celare quello smarrimento che, vedendo il sorriso che lentamente si affacciava sul volto di Nunzio, ad alcuni sembrò essere esattamente lo scopo della sua affermazione.
«È una cosa molto semplice… un gioco a squadre – proseguì, prendendo una piccola lastra di ardesia che erano soliti usare come lavagna durante le riunioni – Quindi, per cominciare… formate due squadre!»
I nuovi arrivati, ancora basiti, decisero alla meno peggio e si divisero in due gruppi.
«Molto bene – proseguì Nunzio – Adesso ognuna delle due squadre nomini un portavoce». Seguirono alcuni istanti di brusio diffuso, al termine dei quali toccò ad Eri e Pier Maria ricoprire quest’incarico che, come tutto il resto, aveva ancora del misterioso.
Nel frattempo Nunzio aveva disegnato uno strano schema alla lavagna ed aveva proseguito a parlare: «Il gioco che stiamo per fare, e che forse alcuni di voi hanno sentito rammentare, è una variante di quello che tradizionalmente viene chiamato Il dilemma del prigioniero.
C’era una volta un re, i cui soldati arrestarono due uomini, accusati di aver commesso un crimine. Date le circostanze, era pressoché evidente che il responsabile dovesse essere uno dei due, ma quale? Il re fece imprigionare i due in celle separate e poi li interrogò ripetendo ad ognuno lo stesso ragionamento, che ora vi illustrerò. Il re disse: sappiamo che uno di voi due è il responsabile di quanto accaduto. Se tu confessi e il tuo compagno nega, significa che sei stato tu. La tua pena sarà dunque di 5 anni di reclusione, mentre il tuo compagno in quanto innocente, verrà subito liberato. La stessa cosa accadrà se tu neghi e il tuo compagno confessa, in quel caso tu verrai liberato e lui sconterà 5 anni di carcere. Se confessate entrambi, indipendentemente dal fatto che abbiate effettivamente commesso il crimine assieme, io apprezzerò la vostra onestà, e in quel caso sconterete entrambi un solo anno di carcere e poi sarete liberi. Bada bene però… se entrambi negate, poiché è evidente che uno di voi deve per forza aver commesso il crimine, io punirò la vostra menzogna ed avrete entrambi 10 anni di carcere. Che cosa rispondi? Confessi o neghi?»
Il disegno alla lavagna era uno schema che riassumeva la situazione, più o meno così:
-
Prigioniero A
Confessa
Nega
Prigioniero B
Confessa
1 anno
ciascuno
A: libero
B: 5 anni
Nega
A: 5 anni
B: libero
10 anni
ciascuno
Prima ancora che potessero fiatare, Nunzio proseguì; «Questo è il gioco, che noi faremo trasformando gli
anni di carcere in punti e penalità da assegnare alle due squadre che, come avrete capito, rappresentano i due prigionieri. Ovviamente io sarò il re!» disse, provocando una sincera risata da parte di tutti, che contribuì alquanto a stemperare quell’atmosfera tesa che si stava generando.
«E sarò un re magnanimo! – proseguì Nunzio – Poiché, prima di ogni “giocata” consentirò a che i due ambasciatori delle due squadre si incontrino, alla mia presenza, per concordare una strategia. Sappiate che i punti e penalità che verranno assegnati nella prima giocata, saranno raddoppiati nella seconda giocata, e così via…»
«Ho capito… – disse Jacopo (non per nulla era ingegnere…) – In questo modo ogni giocata può ribaltare il risultato di tutte le giocate precedenti, e cambiare le sorti del gioco»
«Esattamente! – sorrise Nunzio – Hai colto nel segno. Solo un’ultima cosa. Io riceverò i due ambasciatori, dopodichè essi torneranno nelle rispettive squadre dove…. – aggiunse scandendo bene le parole – condivideranno nei rispettivi gruppi la strategia. La decisione su come rispondere al re sarà presa a maggioranza. Tutto chiaro?» gli altri annuirono.
«Due Consiglieri vigileranno, uno per ogni squadra. Per comodità e per poter parlare più liberamente, le due squadre si sposteranno ora nei locali che usiamo come magazzini, qui di lato. I Consiglieri vi indicheranno la strada. Io resto qui perché questa cantina, ovviamente, sarà la sala del re! Buon divertimento!»
Le due squadre presero posizione, e ognuna iniziò a ragionare sul da farsi all’interno del magazzino che occupava. Eri fu uno dei primi a farsi avanti con i compagni di squadra. «Lo scopo del gioco mi sembra chiaro! – disse – Vogliono metterci alla prova per capire se siamo in grado di fidarci l’uno dell’altro. Se confessiamo mettiamo la nostra sorte in mano dei nostri avversari, ma se manteniamo il patto e confessiamo entrambi, avremo il punteggio maggiore per entrambe le squadre (ovvero quello che nel dilemma del prigioniero è la pena minore per i due carcerati). Diversamente potremo, è vero, aspirare a punteggi maggiori (come i detenuti potevano aspirare alla libertà), ma ci esporremo anche a rischi maggiori! Dobbiamo accordarci e prometterci vicendevolmente di confessare entrambi!» Lì per lì sembrò un ragionamento plausibile. Eri venne inviato quale ambasciatore al cospetto del re, assieme a Pier Maria, ambasciatore dell’altra squadra. I due mostrarono al re di aver compreso la situazione e stabilirono di confessare entrambi, poi tornarono ognuno nella propria squadra per comunicarlo.
E qui iniziarono i problemi.
Alcuni infatti, iniziarono a teorizzare: «Eri, se tu sei convinto di aver avuto la fiducia di Pier Maria, puoi stare certo che loro confesseranno?»
«Assolutamente sì – rispose Eri – Questo è ciò che intendiamo per fiducia, no?»
«Allora neghiamo! Se loro confessano, noi avremo molti più punti di loro e vinceremo!»
«Ma è assurdo, se anche loro facessero lo stesso ragionamento, finirebbe che neghiamo entrambi e avremo le penalità più alte! È esattamente quello che si deve evitare!»
Ad Eri la cosa sembrava palese, ma non riuscì a convincere i suoi compagni di squadra. Alla fine ebbero la meglio coloro che proponevano di negare. «Tutt’al più – dicevano – Saremo sempre in tempo a cambiare strategia con le giocate successive, quanto la posta in gioco si farà più alta». E così scelsero di negare. Gli avversari fecero esattamente lo stesso e vennero così distribuite le penalità maggiori alle due squadre. Al che, alla successiva giocata, i due ambasciatori si accalorarono.
«La prima giocata è andata male – ammisero – Ma d’ora in poi dobbiamo essere più rigorosi! Confessare entrambi è l’unico modo per ottenere il punteggio complessivo maggiore!» Ma anche questa volta, appena ritornati nelle rispettive squadre, iniziarono i dubbi.
«Tu dici che dobbiamo fidarci, ma hai visto anche tu cosa è accaduto la volta scorsa no? Se ci fossimo fidati avremmo consegnato loro la vittoria su di un piatto d’argento. Come puoi chiederci di fidarci di quelli che già una volta sono venuti meno agli impegni presi?»
«Ma anche noi siamo venuti meno ai nostri! – tuonò Eri – Anche loro si erano fidati e sono stati traditi!»
Il ragionamento di Eri non faceva una piega, ma di nuovo la voglia di sopravanzare la squadra avversaria ebbe il sopravvento, inducendo di nuovo le due squadre a negare entrambe. E ottenere ancora le penalità più alte. La cosa, ahimè, si ripetè per tutte le giocate successive, e alla fine del gioco risultò che le due squadre, nel complesso, avevano ottenuto il risultato peggiore che potessero avere (forse come Nunzio aveva presagito).
L’esito del gioco non mutò tuttavia la decisione dei Consiglieri riguardo alla proposta avanzata dai nuovi arrivati. «Soltanto – sottolineò Nunzio – Meditate su quanto è accaduto questa sera».
Quando i partecipanti al gioco furono usciti, alcuni Consiglieri si attardarono nella cantina, notando che Nunzio era rimasto in disparte, silenzioso. Uno di loro gli si avvicinò.
«Hai dato loro un bellissimo spunto di riflessione…» azzardò.
L’altro restò immobile, meditabondo. Alla fine di un minuto che all’interlocutore parve lunghissimo, disse: «E noi? Saremo in grado di fare una riflessione altrettanto sincera?»
«Noi? – chiese stupito – Cosa intendi?»
«Prima o poi tutti rischiano di rimanere prigionieri delle proprie comodità…».
II
Nel giro di pochi giorni le condutture furono completate e l’acqua arrivò davanti ad ogni singola casa. Fiorenza era soddisfatta: si convinceva sempre più che, se non fosse stato per lei, Jacopo, Duccio e gli altri non avrebbero mai intrapreso quell’opera. Era sorprendente come una piccola comodità come quella, che in pianura avrebbe fatto sorridere, potesse dare un senso di appagamento così profondo. Fiorenza vedeva già i viaggi al lavatoio come un ricordo del passato, una parentesi triste servita solo a far comprendere loro come valorizzare adeguatamente l’ingegno umano, grazie al quale ora tutti a Limite potevano avere una vita, seppur di poco, più agevole.
Le altre donne limitesi, lì per lì, furono un poco titubanti nell’accogliere quel cambiamento. A loro, tutto sommato, piaceva incontrarsi per lavare. Non continuarano ad andare al lavatoio, per non apparire irrispettose nei confronti dei nuovi amici che si erano prodigati per costruire le condutture, però presero a farsi visita a vicenda, per continuare comunque, seppure in piccoli gruppetti, a condividere il momento del bucato. Certo, non era come prima, quando al lavatoio c’erano tutte, però era un compromesso accettabile.
Accadde anche che si trovarono ad avere più tempo a disposizione. Al lavatoio era normale che le donne si intrattenessero un po’ a chiaccherare. Con l’acqua vicino casa, le cose procedevano più spedite. Allora, istintivamente e senza rifletterci più di tanto, presero a lavare di più. Cioè a lavare più spesso i propri capi, di fatto anche più del necessario. Non solo: anche in cucina si iniziò a usare più acqua, sia per lavare le stoviglie che per cucinare. Col passare dei giorni le visite iniziarono a ridursi, e le donne presero via via a lavare ognuna per proprio conto. Di lì a poco fare il bucato era diventato per tutti una questione individuale. E i consumi di acqua aumentarono, senza che nessuno se ne accorgesse. Frattanto, la conduttura che alimentava il lavatoio comune sotto il paese venne chiusa. Le settimane passarono, e nessuno rifletteva più di tanto su quanto stava accadendo. Finchè…
***
«Credo che abbiamo un problema…»
La voce di Lino tremava leggermente, Gemma lo aveva subito avvertito. Prima che la donna potesse esternare una qualsiasi emozione, Lino aveva proseguito: «Giù ai campi c’è poca acqua…»
«Sei sicuro?» chiese. L’uomo annuì e fu allora che quel tremito che Gemma credeva solo il frutto della sua immaginazione si mostrò realmente per ciò che era: paura. «Lo hanno notato in diversi – aveva proseguito Lino – tutti ormai ne sono certi: manca l’acqua».
Ma nel cuore di Gemma stava sorgendo una preoccupazione ben più grande.
«Da quanto tempo succede questa cosa?» chiese. Lino si strinse nelle spalle, forse avrebbe voluto cavarsela con un “non saprei”, ma lo sguardo della donna non ammetteva tentennamenti.
«Direi… una settimana... forse di più».
Gemma sospirò e non disse niente. Continuò a fissare il vuoto, mentre la sua supposizione lentamente assumeva una forma ben precisa.
«So cosa stai pensando – aveva proseguito Lino, che si stava rendendo conto, in qualche modo, della pena interiore della donna – Ti stai domandando perchè te ne parlo solo oggi, vero?»
«Perchè… da qualche tempo non ci incontriamo più al lavatoio?» azzardò Gemma triste.
«Beh, insomma… – annaspò l’uomo – Quando ci vedevamo tutti i giorni alla stessa ora era più semplice parlare ecco… sapevamo tutti che quello era il momento in cui ci si confrontava».
Aveva ragione Lino. C’erano i consiglieri, è vero, che convocavano i consigli. E Lino era andato subito dal Consigliere Capo a lamentarsi, giusto due giorni avanti. Ma si sa, gli uomini non sono perfetti. Il Consigliere gli aveva detto che ci avrebbe pensato – chissà – forse pensava che fosse solo una sua impressione, che non era vero che mancasse l’acqua, anche perché non era mai successo a Limite! Forse voleva domandare anche ad altri, prima di agire, forse la sera era stanco e aveva deciso di rimandare al giorno dopo, forse voleva prima controllare l’invaso a monte, forse, forse, forse…
Gli incontri al lavatoio erano una sorta di “consiglio” informale. Senza convocazione, senza formalità nè ordine del giorno, ma proprio per questo assai più spontanei e “veri”. Mentre questi ed altri pensieri simili affollavano la mente di Gemma, Lino aveva proseguito: «Se avessimo ancora il lavatoio, probabilmente non ci sarebbe nemmeno stato bisogno di dirla, una cosa simile: lo avremmo visto direttamente. Meno acqua nei campi, meno acqua al lavatoio…»
Gemma decise che non c’era tempo da perdere. Fece il giro delle abitazioni e chiamò tutti, per dire loro cosa stava accadendo. I nuovi arrivati furono particolarmente colpiti da quella notizia.
III
«Lo sapevo! – tuonò Eri – Sentivo che c’era qualcosa che non stavamo considerando!»
«Capisco cosa intendi… – riflettè Duccio a voce alta – Lo avevi detto, ricordo bene, che prima di cambiare il sistema avremmo dovuto conoscerlo bene…»
«Esattamente! Ma non avevo capito cosa dovevamo guardare… mi concentravo sugli aspetti tecnici…»
«Mentre la cosa importante del lavare insieme era anche una questione, diciamo, sociale… Devo ammettere che hai ragione – concluse Duccio – siamo stati ciechi»
Fiorenza si voltò fulminandolo con uno sguardo: «Ragione? Così lui avrebbe ragione?». Era furente. Duccio fu in difficoltà, si trovava tra l’incudine e il martello. Da una parte non voleva andare contro Fiorenza, dall’altra doveva riconoscere che le argomentazioni di Eri erano alquanto condivisibili.
«Riconoscerai – tentò, con un tono pacato – Che incontrarsi, parlare e condividere alcuni momenti della routine quotidiana ha il suo valore…»
«E questo cosa c’entra con il non avere l’acqua in casa?» Fiorenza non ammetteva divagazioni da quella che, secondo lei, era la questione centrale di tutta la faccenda. Certo, concordava con Duccio riguardo all’importanza dei rapporti umani, ma a suo dire il fatto di aver portato l’acqua presso ogni casa di Limite non avrebbe dovuto minimamente incrinare questo equilibrio, se era un vero equilibrio. Infatti, diceva Fiorenza, inizialmente si era continuato a farsi visita a vicenda…
«Sì, ma poi il desiderio di comodità ha avuto il sopravvento, e ognuno ha iniziato a far da sè»
«E cosa c’è di male nell’approfittare di una comodità? Mica abbiamo fatto voto di povertà!»
«Quello che Duccio intende dire – si intromise Eri – Se ho capito bene il suo ragionamento, è che venendo meno quel momento in cui tutti erano insieme, ognuno ha iniziato a considerare l’acqua come un bene proprio anzichè come un bene comune, e quindi ad usarne di più. Abbiamo commesso lo stesso errore del gioco del prigioniero… non abbiamo capito che per il bene della comunità avremmo dovuto rinunciare ognuno a qualcosa. L’acqua in casa non è un problema Fiorenza, su questo continuo a pensare che tu abbia ragione, ma questo ci ha portato ad usarla senza avere presente il bisogno degli altri, solo perché non li vedevamo più!»
Mentre discutevano udirono dei passi frettolosi fuori, e prima ancora di poter realizzare, Pier Maria irruppe ansimando nella stanza: «Dovete venire subito all’invaso… è terribile!»
L’invaso a monte, da cui avevano deciso di attingere per le loro condutture, era quasi completamente vuoto. Probabilmente c’era stata una concomitanza di fattori, forse il torrente aveva ridotto, chissà perché, la sua portata, e questa cosa, unita al fatto che tutti consumavano di più, aveva ridotto di molto le loro scorte. Ovviamente questo avrebbe avuto come conseguenza ciò che tutti presagivano: si doveva tornare al sistema precedente e chiudere le condutture “private”. Quando Duccio si voltò verso Fiorenza e non seppe trattenere un: «Visto? Te l’avevo detto» la donna andò su tutte le furie.
Da quel giorno iniziarono ad udirsi urla che provenivano dalla casa di Duccio e Fiorenza, cosa che a Limite non era mai accaduta. I due litigavano di brutto. Non era piacevole per i loro amici, che avrebbero voluto fare qualcosa, ma non sapevano cosa.
I Consiglieri, come era prevedibile, ripristinarono il lavatoio pubblico e chiusero le condutture che portavano l’acqua alle singole abitazioni, anche se decisero di non smantellarle. Chissà che un domani non si rivelassero di aiuto per qualche motivo che adesso ignoravano… Eri decise che da quel momento avrebbe partecipato tutti i giorni all’incontro al lavatoio, indipendentemente dal fatto che dovesse lavare o meno. Gemma e Lino furono i primi a notarlo e non tardarono a mostargli il loro apprezzamento.
«È una cosa molto particolare la vita in una comunità, se è una vera comunità – gli disse un giorno Gemma – C’è un equilibrio particolarissimo. Qualcosa di forte e di precario al tempo stesso. Si impara a prendersene cura, perché è il bene più prezioso che si possa avere. A volte c’è bisogno di fare dei sacrifici affinché questo equilibrio si mantenga, ma una cosa non deve mai venir meno: tutte le decisioni vanno condivise. Spesso quando siamo di fronte ad una scelta si pensa solo al risultato che avranno le nostre azioni, al punto di arrivo. Ma talvolta si impara che il percorso da fare per raggiungere l’obiettivo che ci si è proposti, è importante tanto quanto l’obiettivo stesso, o addirittura di più!»
Mentre parlavano, videro un uomo che si era avvicinato a capo chino, come se non volesse interromperli. Era Duccio. Ma quando lo guardarono bene, videro che l’espressione sul suo volto non era prodotta dal rispetto verso di loro. C’era dell’altro: era vergogna.
Gemma lo abbracciò sorridendogli, e quel semplice gesto lo convinse a parlare.
«Vedi… – balbettò Duccio – Io e Fiorenza… insomma, credo che abbiamo dei problemi…»
«Problemi? Che genere di problemi?»
L’uomo si strinse nelle spalle incerto se proseguire o tacere. Al che Gemma prese il toro per le corna: «Venite tutti e due domattina al lavatoio, così ne parliamo, d’accordo?»
«Al lavatoio? Cioè… per parlarne… davanti a tutti?»
«Esatto… cosa c’è che non va?»
«Mah… ecco… Ma perché parlarne davanti a tutti?» azzardò Duccio imbarazzato. Gemma lo guardò dritto negli occhi, con una espressione che non ammetteva repliche.
«Ricordati bene – disse – qui a Limite noi i panni sporchi li laviamo insieme».
***
Ci vediamo a Limite, tra due mesi, con il prossimo racconto.
Non mancare!