Bolivia, il lento declino etico e morale del “sogno socialista”

Come un fulmine a ciel sereno, domenica scorsa l’ex Presidente Evo Morales ha denunciato di aver subito un attentato mentre si recava nella sede di Radio Kawsachun dove conduce abitualmente una trasmissione. L’auto sulla quale viaggiava è stata infatti colpita da almeno quattordici proiettili sparati da uomini incappucciati appartenenti alle forze armate e solo fortunatamente non hanno avuto conseguenze drammatiche. 

Nelle ore successive, lo stesso Morales ha raccontato la sua versione su quanto accaduto: «Come ogni domenica, ci stavamo dirigendo a Lauca Ñ per realizzare il nostro programma domenicale, quando, di fronte alla caserma della nona divisione dell’esercito siamo stati intercettati da due veicoli, apparentemente Tundras, dai quali sono scesi 4 soldati incappucciati e vestiti di nero con armi alla mano e hanno cominciato a sparare». Dopo i primi colpi, ha raccontato sempre Morales, ha cambiato vettura ma anche questa è stata attaccata, fortunatamente recando solo qualche danno alla vettura e il ferimento lieve dell’autista. In un altro video, Morales ha poi raccontato che per ben due volte ha sparato alle ruote delle auto che lo stavano inseguendo, dichiarazione che qualche ora dopo ha ritrattato. 

Diversa la ricostruzione fatta dal ministro di Governo Eduardo del Castillo secondo cui Morales avrebbe tentato di saltare un posto di blocco antidroga sparando per primo verso gli uniformati. Del Castillo ha definito “bugiardo” Evo Morales, denunciando come i video pubblicati in rete dallo stesso ex presidente siano stati editati e infine ha concluso la sua conferenza stampa con un pesante avvertimento: «Nessuno e niente lo salverà da questo procedimento penale, nessuno che attacchi un poliziotto può rimanere impune (…), nessuno può cercare di uccidere un poliziotto e vittimizzarsi». Da parte sua Morales ha accusato il governo, in particolare nelle persone del ministro della Difesa Edmundo Novillo e del ministro di Governo Eduardo Del Castillo, di aver organizzato l’attentato nei suoi confronti per impedirgli di partecipare alle elezioni e ha esortato il presidente Arce a rimuoverli dalle cariche per dimostrare di non essere complice dell’attentato. 

L’attentato e le successive narrazioni dell’evento che ora dopo ora acquistano nuovi particolari, hanno suscitato forti polemiche politiche e azioni dirette da parte degli evisti che hanno occupato temporaneamente l’aeroporto di Chimoré. Probabilmente sarà difficile capire realmente cosa è accaduto all’alba di domenica nel lontano Chaparé, luogo dell’attentato e bastione di Evo Morales. Quel che è certo è che anche questo evento non si può non inserirlo nella faida tra le due anime del MAS (Movimiento al Socialismo), quella “evista” e quella di governo, “arcista”.  Se non altro per le successive strumentalizzazioni messe in essere dalle parti in conflitto. Tutto ruota attorno alle elezioni presidenziali del 2025 e alle mire di potere di Evo Morales che vuole a tutti i costi potersi ricandidare. Partendo da molto lontano, nel 2016 Morales perse di poco il referendum da lui stesso indetto per permettergli una terza rielezione. Con una sentenza un po’ originale e con l’avvallo del “nemico” Almagro ottenne comunque dal tribunale elettorale la possibilità di ricandidarsi nel 2019. Tutti ricordiamo come andò a finire, con il black out dei risultati a spoglio quasi terminato, la successiva indignazione popolare per i risultati radicalmente cambiati una volta riavviato il sistema e infine l’insurrezione civico-militare che porto al golpe guidato da Camacho e da Jeanine Añez. 

Dopo la terribile parentesi fascista di Añez, l’anno successivo il MAS ritornò al potere con Arce, che fu scelto proprio da Morales mentre la base chiedeva a gran voce un leader indigeno per dare una svolta. Se i primi anni di governo hanno visto i due andare più o meno d’accordo, con il passare del tempo e con l’avvicinarsi delle elezioni è iniziato un progressivo allontanamento. A fine 2023, un’altra sentenza sfavorevole a Evo gli ha chiuso le porte in faccia a una nuova ricandidatura, ma anche questa sentenza non ha fermato la sua smania di potere. Nell’ultimo anno il conflitto tra le due anime del MAS è peggiorato ulteriormente. A giugno scorso il tentato colpo di stato da parte di un generale sostenuto da Evo, è stato il motivo di attacchi pesanti da entrambe le parti con Evo che non ha avuto remore a definire l’evento un “autogolpe” orchestrato da Arce per riacquistare popolarità. 

Sono di poche settimane fa invece le pesanti accuse a Evo di violenze sessuali e tratta di persone contro una minorenne. Le sempre più numerose voci di un uomo a cui venivano “offerte” minorenni per soddisfare i propri appetiti sessuali, hanno aperto una nuova fase coi nemici di Evo a chiedere l’arresto, il governo a far finta di essere “neutrale” e di promettere indagini accurate mentre dall’altra parte gli evisti, spinti dallo stesso Evo hanno iniziato i blocchi stradali, bloccando in particolare la regione di Cochabamba. Blocchi che durano ormai da più di 15 giorni e sono tuttora attivi in ben 22 diversi posti ma che non hanno portato a una rivolta generalizzata essendo sostenuti solo dai fedelissimi di Evo mentre tutto l’arco politico e sociale li stigmatizza per la violenza usata in questo contesto e per i gravissimi danni recati all’economia già in crisi. Solo poche ore prima del presunto attentato il governo, attraverso un comunicato ufficiale, metteva in guardia la comunità internazionale: «sono in corso nel nostro paese una serie di azioni destabilizzanti guidate dall’ex presidente Evo Morales Ayma, che mirano a interrompere l’ordine democratico». 

Sullo sfondo, le crisi economica e ambientale. Il governo non è riuscito a gestire una crisi economica sempre più pesante, con il malcontento popolare che cresce ogni giorno di più. Scriveva così l’economista Huáscar Salazar Lohman solo pochi giorni dopo il tentato colpo di stato del giugno scorso (ma ancora attuale): «questa faida per imporre una narrazione non solo occulta ma esacerba una crisi economica galoppante […]. La scarsità di divisa, le difficoltà ad acquistare combustibili, la precarietà lavorativa, e l’aumento dei prezzi dei beni di consumo primari, sono sintomi di un problema strutturale: la dipendenza del Paese dall’estrattivismo». L’altra faccia della stessa medaglia è la  crisi ambientale di proporzioni spaventose, con oltre dieci milioni di ettari di bosco e aree protette andati perduti a causa dei gravissimi incendi, molto spesso dolosi, che negli ultimi tre mesi hanno colpito in particolare la regione amazzonica e le popolazioni indigene che le abitano. 

In vista delle elezioni del 2025, la faida tra evisti e arcisti rischia seriamente di far perdere le elezioni al MAS. Sul tema, molto chiara l’analisi di Raúl Zibechi: «Al momento c’è una brutale disputa tra il presidente Luis Arce ed Evo Morales. Entrambi usano i movimenti. Evo non accetta di non essere presidente e piuttosto che perdere la possibilità di governare preferisce affondare il MAS/Movimento per il Socialismo (questo sarà il risultato più probabile dell’attuale disastro). In questa lotta non ci sono differenze politiche o programmatiche, Evo non ha mai lasciato governare Arce, che era stato eletto con il suo appoggio, e l’unico motivo è l’aspirazione al potere». Dello stesso parere anche il giornalista Pablo Stefanoni, secondo cui «Oltre ai sondaggi, la guerra interna nel MAS coincide con un clima di fine ciclo del lungo regno di questo partito emerso dalle regioni della coca che è stato in grado di articolare un ampio blocco popolare urbano-rurale e diventare elettoralmente imbattibile». 

Ma al di là del probabile declino elettorale colpisce molto di più la decadenza etica e morale di un movimento che per molti aspetti è stato una guida e un simbolo di riscatto degli emarginati e di difesa della Pachamama. Le gravissime accuse di violenza sessuale nei confronti di Morales aprono uno squarcio inquietante non solo sull’uomo Morales ma anche sulla sfera del potere vissuta come una guerra di conquista dove tutto è permesso, anche a discapito non solo della giustizia ma anche dell’etica e della morale. Spiega bene tutto questo Raquel Gutiérrez Aguilar, storica attivista boliviana, in questo fondamentale articolo dal significativo titolo “Il lento strappo della cultura politica della violazione in Bolivia”: «Le organizzazioni sociali settoriali, tra cui le Sei Federazioni dei Produttori di Coca del Chapare e la Confederazione Sindacale Unica dei Lavoratori Contadini della Bolivia, tra le altre, che sono diventate molto potenti nei decenni precedenti, sono state gradualmente subordinate al MAS durante i 13 anni del mandato di Morales (2006-2019). Tale rapporto di subordinazione ha amplificato le dinamiche di scambio di lealtà, obbedienza e silenzio per cariche e vantaggi tra leader sociali e comandanti del partito al potere. L’asse di questo dispositivo che scambia l’obbedienza per i favori è stato Morales, che ha concentrato l’ultima parola in tutti i tipi di decisioni che riguardano l’insieme. Questo è il nodo del suo feroce confronto con Luis Arce Catacora, attualmente presidente della Bolivia, che appartiene anch’esso al MAS. La perversa dinamica mercantile di regolamentazione della sfera pubblica che gradualmente stava soffocando l’indipendenza politica delle organizzazioni sociali e l’espressione del dissenso, si è estesa fino a includere la consegna di giovani donne a Morales in cambio di grandi e piccoli vantaggi politici ed economici». 

«La strumentalizzazione governativa della questione – conclude Raquel Gutiérrez – è evidente. Arce, il vicepresidente David Choquehuanca e molti altri militanti del MAS che oggi denunciano Evo sono stati testimoni compiacenti di queste pratiche per molti anni». Più che il probabile tracollo elettorale, pesa dunque il lento declino etico e morale del “sogno socialista”: e né Evo né Arce possono risollevare il MAS e risolvere i gravi problemi del Paese perché essi stessi sono parte del problema.

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