Il 16 ottobre è stata approvata la proposta di legge presentata da Fratelli d’Italia per rendere la gestazione per altri (GPA) un “reato universale” e quindi perseguibile in Italia anche se praticata all’estero. Nonostante i dubbi sull’effettiva applicabilità di questa legge, essa segna un ulteriore passo avanti del governo Meloni verso il controllo dei corpi e contro l’autodeterminazione delle donne, persone trans, queer e disabili.
Non importa che in Italia chi ha fatto ricorso alla GPA siano state per lo più coppie cis-etero con problemi di fertilità; né che l’applicabilità effettiva di questo “reato universale” è rilevante. Ciò che conta è il disciplinamento dei corpi e la crescente criminalizzazione delle persone queer e trans, il tutto in nome di un ideale di famiglia nucleare cis-etero, contro tutti gli altri modelli familiari.
Discutere di Gestazione per altri, in questo momento di criminalizzazione sempre maggiore delle varie forme di riproduzione che potrebbero permettere anche a famiglie non cis-het abili di avere bambin3, non deve bloccare il dibattito sull’utilizzo delle tecnologie riproduttive. Il dibattito, soprattutto all’interno del transfemminismo nero e dell’ecotransfemminismo è tutt’altro che concluso. Sostenere che la criminalizzazione della GPA rappresenti un ulteriore passo verso il disciplinamento dei corpi e verso l’immaginario di un mondo fatto di persone bianche, etero, cis, abili non deve far si che il dibattito si appiattisca sulla dicotomia di chi è a favore o contrario alla GPA. Partendo da una posizione chiara contro la criminalizzazione, è necessario aprire un confronto su quale sia attualmente la situazione ascoltando tutte le voci, in particolare quelle delle persone razzializzate, per creare una narrazione più complessa che non ignori i problemi che esistono quando si parla delle tecnologie riproduttive.
In Italia la GPA era già illegale dal 2004 tramite l’art.12 della legge, la nuova legge è infatti composta da un solo articolo, che modifica proprio questo divieto aggiungendo la frase «Se i fatti di cui al periodo precedente sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana». Nel mondo ci sono diversi tipi di regolamentazioni della GPA, che variano da paese a paese, in alcuni paesi d’Europa come Gran Bretagna, Olanda o Grecia è legale la GPA a scopo altruistico, quindi senza scambio di denaro, mentre in altri come l’Ucraina è legale anche a scopo di lucro.
L’attacco alle famiglie omogenitoriali e a tutti i modelli che non siano quello ideale della destra non è iniziato oggi, questa legge è solo un ulteriore tassello. A partire dagli anni ’80 un numero crescente di lesbiche e persone queer ha iniziato a sfruttare le tecnologie riproduttive, tra cui l’inseminazione artificiale e quella autogestita, per diventare genitori al di fuori delle relazioni eterosessuali. Tuttavia, queste nuove forme di genitorialità non eterosessuale sono state accompagnate da forme di oppressione sul piano riproduttivo.
Il governo Meloni si è accanito contro queste conquiste, frutto dell’impegno e dell’intelligenza delle famiglie omogenitoriali, opponendosi non solo alla registrazione degli atti di nascita dei nuovi nati, ma anche alla cancellazione dei riconoscimenti già concessi. Questo drammatico peggioramento di una situazione già precaria, che già gravava sulle famiglie non etero – in particolare quelle composte da persone lesbiche, queer e trans – rappresenta un ulteriore passo nella strategia di controllo sui genitori che non rientrano nei canoni etero o cisgender.
Un esempio chiaro di questo lo si può vedere in quello che è successo a Padova, quando nel 2023 la procura aveva impugnato gli atti di nascita di 33 bambini nati da coppie omogenitoriali, mettendo in discussione il riconoscimento delle madri non biologiche come genitori legali. Questa decisione, se accolta, avrebbe potuto privare le madri non biologiche dei loro diritti genitoriali, lasciando le famiglie in una condizione di grande precarietà giuridica ed emotiva. Tuttavia, in seguito, il tribunale ha stabilito che tale impugnazione non era ammissibile, confermando la validità degli atti di nascita e garantendo la continuità dei diritti per le madri non biologiche, rappresentando un’importante vittoria per le famiglie omogenitoriali.
Ma quando si parla del controllo e disciplinamento dei corpi per un certo immaginario di famiglia non si parla solo di questo, ma di un sistema molto più complesso. Per esempio, l’accesso all’aborto è sempre più ostacolato dalla piena applicazione della 194 che permette ai gruppi antiabortisti, nati e finanziati dai partiti di destra, di entrare nei consultori e negli ospedali e alla sempre più crescente obiezione di coscienza e non rilascio dei dati da parte del governo. Altro esempio è la criminalizzazione dei confini e delle persone in movimento con politiche sempre più securitarie e repressive che dichiarano implicitamente come le persone che si vogliono sono unicamente quelle corrispondenti all’ideale di famiglia bianca cis-het e che quindi qualsiasi legge per le famiglie che viene fatta, se nel frattempo si respingono le persone in movimento, ha come unico scopo quello di portare avanti un certo immaginario di nazionalismo e non dà nessuna tutela reale delle persone. Un altro esempio ancora è di come si possa conciliare uno sviluppo reale di giustizia riproduttiva e della tutela delle famiglie durante una crisi climatica, di inquinamento della terra, dell’acqua e dell’aria (Eva Virale, Angela Balzano).
Nella tecnoscienza transfemminista si dibatte molto, e si immagina molto, di come potrebbe essere un mondo dove le tecnologie riproduttive siano libere, ma il punto fondamentale è che non saranno libere in questo sistema patriarcale, capitalista e razzista e che quindi possiamo usare il nostro immaginario per creare “corpi e macchine per un mondo nuovo” (Clair Horn, 2024) ma dobbiamo confrontarci con la realtà attuale.
È proprio questo il punto che rende in questo momento il dibattito sulla GPA complesso: nonostante possa essere uno strumento per permettere alle famiglie omogenitoriali o quelle disabili un accesso alla genitorialità, se non parliamo di GPA altruistica, se la possono permettere solo persone benestanti perché i costi solo molto alti e vi riescono ad accedere per lo più coppie cis-het. Il movimento transfemminista nero ha prodotto molte riflessioni riguardo allo sfruttamento che queste pratiche creano, evidenziando che i corpi bianchi del nord globale non ne fanno esperienza.
Oggi è particolarmente urgente connettere le lotte per una giustizia riproduttiva queer a quelle per la giustizia riproduttiva antirazzista. In Italia il razzismo strutturale e istituzionale rende la genitorialità delle donne e delle persone razzializzate particolarmente complicata. È il razzismo di stato che uccide bambin* migranti alla frontiera della fortezza Europa. È il razzismo istituzionale che ostacola la genitorialità delle persone razzializzate attraverso la criminalizzazione delle migrazioni, gli ostacoli al ricongiungimento familiare, la violenza razzista delle forze dell’ordine, le discriminazioni nell’accesso al welfare, ai servizi, alla casa. Le condizioni socio-economiche all’interno delle quali le tecnologie riproduttive vengono sviluppate, applicate e rese accessibili o inaccessibili le orientano in direzioni che spesso mantengono o approfondiscono la marginalizzazione misogina, anti-classe lavoratrice e razzista.
In un articolo dal titolo “Surrogates and Outcast Mothers : Racism and Reproductive Politics in the Nineties” Angela Davis prova a dare un quadro di quella che è la situazione della GPA negli Stati Uniti per le persone afrodiscendenti. In questo articolo Davis non si ritiene contraria ma cerca di analizzare gli impatti che ha in questo momento storico per le persone con utero afrodiscendenti concludendo, con quello che è in realtà il punto di partenza, che bisogna riconcettualizzare la famiglia e i diritti in termini che si spostino dal privato al pubblico, dall’individuale al sociale analizzando quindi i rapporti di razza e classe. In particolare in questo articolo fa vedere come la gestazione per altri può essere considerata un continuum delle pratiche di allevamento imposte nelle piantagioni di schiavi negli stati uniti, poiché in tutti e due i casi le donne sono destinate a perdere i propri figli e figlie per il profitto dei ricchi.
Ulteriori contraddizioni nella contemporanea spinta sociale verso la maternità, contraddizioni radicate in razza e classe, possono essere trovate nel persistente problema degli abusi di sterilizzazione. Mentre le donne povere in molti stati hanno effettivamente perso l’accesso all’aborto, possono essere sterilizzate con il pieno sostegno finanziario del governo. Sebbene il “diritto” di optare per la sterilizzazione chirurgica sia una caratteristica importante del controllo delle donne sulle funzioni riproduttive dei loro corpi, il dislivello tra la difficoltà di accesso agli aborti e la facilità di accesso alla sterilizzazione rivela la continua e tenace insinuazione del razzismo nella politica della riproduzione. Allo stesso modo, i corpi di un numero vasto di donne indigene sterilizzate all’interno dei presunti confini degli Stati Uniti portano le tracce di una tradizione di genocidio lunga 500 anni. Sebbene al momento non ci siano prove di sterilizzazioni su larga scala di ragazze afroamericane e latine, ci sono prove documentate della promozione e del finanziamento da parte del governo federale di operazioni di sterilizzazione per giovani ragazze nere negli anni ’60 e ’70.
Un elemento ulteriore è che le donne nere vengono educate a conformarsi a un ideale di maternità, ma in pratica vengono negate le opportunità di esercitare quella maternità. Ciò evidenzia le tensioni tra le aspettative sociali e le realtà delle vite delle donne, in particolare per quelle di colore e delle classi meno abbienti, le quali si trovano intrappolate in un ciclo di controllo e giudizio.
In Killing the black body Dorothy Roberts parla del razzismo intrinseco della GPA, facendo notare come le nuove tecnologie riproduttive rafforzino uno standard di procreazione razzista: a potersela permettere sono in prevalenza famiglie bianche ricche, al contrario le famiglie nere tendono a non avere i mezzi per fare una procreazione assistita e sono più soggette alla violenza medica. Senza contare che si continua a parlare di famiglia intendendo quella nucleare e mai quella comunitaria.
L’analisi di queste dinamiche mostra chiaramente che il dibattito sulle tecnologie riproduttive e sulla maternità è intrinsecamente legato a questioni di razza, classe e giustizia sociale. In un contesto in cui le opportunità per le donne di esercitare la loro maternità sono limitate da fattori economici e strutturali, è fondamentale interrogarsi su come le politiche di riproduzione siano strutturate e su chi ne beneficia realmente.
La GPA è una pratica a prevalenza bianca e un esempio di come il diritto riproduttivo sia limitato, dimostra come la tecnologia serva ad accrescere la specializzazione oltre che i privilegi di classe ed a acuire le differenze. Mentre la tecnologia non lascia nulla di insondato per garantire a coppie ricche bianche sterili di avere un bambino lo stesso diritto è negato alle persone nere, alle persone queer e trans (Silvia Federici, 2022).
Il tema dello sfruttamento dei corpi razzializzati è quindi centrale e simile a quello del sex work: le persone bianche e privilegiate possono rivendicare il diritto all’autodeterminazione del proprio corpo ma non si trovano in condizioni di sfruttamento. Criminalizzare non porterà altro che ad ulteriore sfruttamento, dove esso esiste, però questo non deve portare a far finta che la questione non esista, come fanno notare femministe non bianche. Per una reale autodeterminazione dei corpi è necessario prima garantire risorse economiche, ovvero un reddito di autodeterminazione per il lavoro di cura già svolto gratuitamente in ambito domestico e sottopagato all’esterno, oltre a salari significativamente più alti per tutte, specialmente nei settori “femminilizzati”. È altrettanto importante garantire tempo, attraverso un welfare che assuma parte del carico del lavoro di cura, non per rendere le persone più disponibili allo sfruttamento nel mercato del lavoro, ma per permettere di liberare tempo dal lavoro.
In Black afterlives matter si legge “le parentele sono il risultato di un processo creativo che ha lo scopo di rimodellare la cura e i modi in cui lo si può fare sono potenzialmente infiniti” e per questo avere chiaro l’obbiettivo che la riproduzione, la sessualità e la genitorialità non devono essere terreno di controllo, ma di liberazione (Mary Maggic, estrogeni open suorce) e che la norma della famiglia eterosessuale nucleare è una norma che è funzionale al mantenimento dell’ordine etero-capitalista e dell’organizzazione del lavoro riproduttivo da cui questo dipende.
La fantascienza sembra già realtà, ma questa realtà non è ancora abbastanza transfemminista. Lo dimostrano le sperimentazioni, come quelle sull’ectogenesi e le biobag, bloccate per il momento, ma che aprono interrogativi cruciali sul futuro della riproduzione e del corpo umano, le ricerche sulle cellule somatiche e sulle staminali pluripotenti (Shanbataev, Raanan, 2017) sollevano la questione: l’ectogenesi può essere una soluzione per evitare lo sfruttamento dei corpi, come avviene nella gestazione per altri e nell’aborto? Pensare che queste tecnologie rappresentino una soluzione universale implica ignorare che spesso i diritti di base non sono garantiti a tutti, soprattutto per persone razzializzate e LGBTQ+. Il dibattito, come detto in precedenza, non può essere disgiunto dalla riflessione sugli impatti sociali ed etici dell’applicazione di queste tecnologie, né sui loro limiti.
Donna Haraway, in Staying with the Trouble, parla della creazione di legami che vanno oltre la genitorialità biologica. In un’epoca segnata dal Chthulucene, il compito di costruire relazioni tentacolari tra umano e non umano diventa urgente. Questa giustizia ecologica multispecie mira a riconoscere una vulnerabilità condivisa, in cui il corpo umano è visto come un medium instabile, contaminato e trasformato. L’opera di Malin Al King ed Eva Hayward (Toxic Sex: Perverting Pollution, Queering Hormone Disruption) invita a un’azione collettiva che abbracci un paesaggio queer, in cui adattarsi alle trasformazioni ambientali e biologiche diventa il modo di costruire resilienza per un futuro sempre più tossico.
Braidotti e Haraway sottolineano l’importanza di decolonizzare il concetto di estinzione e di impegnarsi nella costruzione di rifugi transpecie, spazi in cui l’umano e il non umano si fondono, generando nuove forme di intersoggettività. Queste alternative alle politiche pronataliste e al biocapitalismo sfruttatore propongono una visione rivoluzionaria: fare parentele, non popolazioni. La decrescita riproduttiva potrebbe essere una risposta non solo ecologica, ma anche sociale, in un mondo in cui le tecnologie cyborg potrebbero aprire nuovi scenari di giustizia multispecie.
In conclusione, questa legge che criminalizzare ulteriormente la GPA rendendola “reato universale” è un ulteriore attacco ai corpi delle donne, delle persone queer e trans e disabili, ma il tema delle tecnologie riproduttive è sicuramente attuale di cui non si può parlare senza ascoltare le voci del transfemminismo nero e quello ecotransfemminista.
Le tecnologie riproduttive rappresentano un tema cruciale nel dibattito contemporaneo, ma è fondamentale affrontarlo con cautela. Attualmente, queste tecnologie sembrano privilegiare una ristretta élite di ricchi bianchi che desiderano plasmare il mondo secondo i propri schemi, senza considerare le potenzialità e i rischi legati al loro utilizzo. Fintanto che lo Stato continua a criminalizzare i confini e a controllare i corpi di donne, persone queer e trans, è necessario comprendere che le leggi che verranno create in questo contesto mirano a emarginare determinate categorie di persone e a perpetuare una visione omogenea della società, distante da quella che auspichiamo. È importante opporsi a normative che criminalizzano la gestazione per altri, ma allo stesso tempo è essenziale costruire una narrazione che metta in luce le problematiche esistenti, senza ignorarle o limitarci a raccontare solo storie positive. I problemi continueranno a esistere, e lasciarli in mano a discorsi esclusivamente di destra non farà altro che amplificare la criminalizzazione e l’emarginazione delle persone.